“Cerco il mio vecchio che non ho mai conosciuto”. Così scriveva nella Autobiografia Lawrence Ferlinghetti dalla sua City Lights, la libreria di San Francisco che per prima aveva pubblicato volumi tascabili ed era stata l’icona e il punto di riferimento della beat generation e di scrittori del calibro di Jack Kerouac e Allen Ginsberg. Il “vecchio” era il papà Carlo, che non aveva mai conosciuto, morto nell’ottobre 1918 a pochi mesi dalla sua nascita, il 24 marzo 1919 a Yonkers. Il poeta, che lo scorso 24 marzo ha compiuto 101 anni, era convinto che fosse originario di Chiari, una cittadina in provincia di Brescia, prima di emigrare negli Stati Uniti.
Vi era arrivato, come abbiamo personalmente verificato presso la banca dati di Ellis Island (dove non compare la località di provenienza), nel 1894 a bordo della nave passeggeri “La Touraine”, che batteva le rotte transatlantiche e che legherà la sua storia anche all’allarme sullo stato dei ghiacci nell’Atlantico, la prima a lanciarlo alcuni giorni prima dell’impatto fatale del Titanic, sottovalutato dal comandante Edward John Smith.
Carlo Ferlinghetti, che cambierà successivamente il suo cognome in Ferling, si era imbarcato probabilmente dal porto di Le Havre. Da lì occorrevano quasi sette giorni di viaggio per approdare a Ellis Island, l’isoletta artificiale alle porte di New York, punto di partenza degli emigranti per i sogni del “nuovo mondo”.
Per ritrovare il papà, il poeta aveva preso contatti con l’unica famiglia Ferlinghetti residente a Chiari (Riccardo Ferlinghetti e la moglie Fausta Morandini), persuaso che fossero suoi parenti anche da una somiglianza tra Riccardo e Lorenzo, il figlio del poeta.
La ricerca, condivisa con Riccardo e Fausta, era durata tre mesi tra comuni e archivi e si era conclusa pochi giorni prima del Natale 2004 con una meravigliosa notizia.
Carlo Ferlinghetti era nato a Brescia città, in contrada Cossere numero 2092, alle ore 16 di giovedì 14 marzo 1872. A ritrovarne l’atto di nascita un impiegato dell’anagrafe, Giuseppe Morandini, artista e manco a dirlo cultore della beat generation. Pochi giorni dopo, il 4 gennaio 2005, Ferlinghetti scriveva un’email che alternava inglese e un italiano incerto: “Cara Fausta e Riccardo, ho ricevuto l’originale con la traduzione del certificato, per posta ordinaria. Questo è stato un bel giallo – un vero giallo! So che è stato fatto un sacco di lavoro, e certamente apprezzo tutto quello che avete dovuto fare per scoprirlo”. In un altro messaggio di posta elettronica, scritto il 21 giugno 2006 dall’indirizzo della City Lights (il nome era ripreso dal film di Chaplin), ci esprimeva la sua “enormous gratitude”, e anticipava l’intenzione di scrivere al sottoscritto all’indirizzo di casa, non disponendo di quello elettronico. Lawrence si era recato in incognito, nell’ottobre 2005, in contrada Cossere nel cuore della vecchia Brescia e, scambiato per un ladro, erano state allertate le forze di polizia.
Alcuni giorni prima ci aveva invitato, con posti riservati nel palco reale, al teatro sociale di Trento dove si era esibito in una intensa performance, dove leggeva tra le altre una poesia su vecchi immigrati italiani morenti al sole della California. In conclusione dello spettacolo avevamo partecipato entusiasti, unitamente agli altri spettatori dei loggioni, al lancio di migliaia di foglietti contenenti poesie, dando vita ad una pioggia dall’impronta dadaista e futurista.
Il poeta, dopo la cocente umiliazione di Pearl Harbour, era stato arruolato nella Marina americana. Aveva capitanato il cacciasommergibili USS SC-1308, costruito a Daytona Beach in Florida, un’imbarcazione di legno di 110 piedi con un equipaggio di 30 marinai e 3 ufficiali. Aveva fatto parte dell’imponente contingente di 6.480 navi (da guerra, sbarco, ospedale, trasporto, officina, d’appoggio) impegnato nel D-Day, lo sbarco in Normandia, nelle operazioni del primo giorno (il 6 giugno 1944). Lawrence era animato all’epoca da uno spirito eroico, dagli ideali di un giovane ufficiale impegnato per la sua patria contro il nazismo. Si ritrovò a percorrere le strade desolate di Nagasaki, annichilita dal lancio dell’ordigno atomico “Fat Man” il 9 agosto 1945. La descriverà come “tre miglia quadrate di poltiglia, costellate di ossa e capelli”. Il frammento di una elegante tazza da tè aveva attirato la sua attenzione, si era piegato per osservarlo ed era trasalito nel verificare che alla stessa era fuso un dito umano, la testimonianza raccapricciante che al momento del lancio della bomba atomica qualcuno stava sorseggiando tranquillamente un tè.
L’episodio rappresenta un punto di svolta, le illusioni si erano ridotte in frantumi, aprendo la sua vita all’impegno pacifista e alle battaglie contro ogni forma di potere e oppressione. Aveva avuto diretta conoscenza dei campi di prigionia degli italiani, arrestati negli Stati Uniti dopo l’inizio del conflitto mondiale. Tra questi quello di Hereford, nel Texas, denominato “Fascists’ Criminal Camp”, nel quale sarà imprigionato anche lo scrittore Giuseppe Berto, l’autore de “Il male oscuro”, vincitore dei premi Viareggio e Campiello. Berto, avendo rifiutato ogni forma di cooperazione, aveva subito maltrattamenti e soprusi. Scriverà, nel volume “Guerra in camicia nera” edito da Rizzoli, che aveva fatto parte di quelli che “servirono il fascismo con la convinzione di servire l’Italia”.
L’arrivo a San Francisco di Ferlinghetti, l’apertura della City Lights, restituirà all’umanità uno dei suoi più grandi interpreti, che dedicherà una vita lunga ad un impegno etico unico, rivoluzionario, rappresentato sotto forma di poesie, romanzi, saggi, testi teatrali che hanno influenzato intere generazioni di giovani e di artisti. Tra questi Bob Dylan, che lo definirà un uomo e un poeta coraggioso. Come fare a non condividere la sua definizione di poesia: “La distanza più breve tra due esseri umani”.
Silvio Masullo
Pubblicato sabato 27 Giugno 2020
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