60 anni fa, il 14 agosto del 1956, moriva a Berlino Est Bertolt Brecht. Quasi inevitabile è chiedersi quanto possa ancora essere attuale quel drammaturgo, regista, poeta lirico, teorico dell’arte drammatica nato in Baviera, ad Augusta, il 10 febbraio del 1898, che se aveva conosciuto una stagione di grandi successi era stato allo stesso tempo considerato un autore scomodo perché troppo ideologico e che in Italia dalla metà degli anni Cinquanta fino a tutti gli anni Sessanta è stato indiscutibilmente un punto di riferimento fondamentale per l’«intellettualità progressista» [Alberto Asor Rosa in B. Brecht, Poesie politiche, Einaudi, Torino 2014]. Certo il contesto storico, sociale e politico nel quale si è sviluppata la lezione brechtiana è profondamente mutato, tanto da far correre il rischio di dare ragione al drammaturgo svizzero Max Frisch che già nel 1967 ne aveva liquidato l’opera attribuendogli la «folgorante inefficacia di un classico».
Riletto oggi questo grande autore del Novecento dimostra invece, al contrario, tutta la sua attualità, il suo essere nostro contemporaneo, come aveva pronosticato l’amico scrittore Lion Feuchtwanger, secondo il quale Brecht avrebbe scritto “i primi drammi e le prime poesie del Terzo Millennio”.
Già il dramma d’esordio, Baal, scritto nel 1918, con quel “poeta maledetto”, quell’essere asociale, protagonista eccessivo, trasgressivo, irritante fino alla sgradevolezza, è costruito, come dice lo stesso Brecht, secondo un preciso “spirito di contraddizione”, un carattere esplicitamente autobiografico che non sarà certo soltanto del Brecht diciannovenne, ma che conserverà sempre “intatto”. E non basterà forse a contrassegnare la contemporaneità di questo testo l’interpretazione di David Bowie della pièce brechtiana per la BBC nel 1982?
60 anni dalla prima edizione de “L’opera da tre soldi” diretta da Giorgio Strehler. La “Ballata di Mackie Messer” interpretata da Milly
I primi lavori di maggior respiro per il teatro consentono, attraverso una messa a fuoco sui temi dell’economia e della società nella Germania della Repubblica di Weimar degli anni Venti e dei primi anni Trenta, una precisa riflessione sull’economia e sulla società del nostro tempo. Si pensi soltanto a tre testi come L’Opera da tre soldi (1928), Ascesa e caduta della città di Mahagonny (1928-1929) e Santa Giovanna dei macelli (1929-1931), che potrebbero costituire quasi una sorta di (non prestabilita) trilogia. Se infatti L’Opera da tre soldi è costruita attorno al principio secondo il quale “Il denaro regge il mondo” e utilizza un preciso vocabolario dell’economia, Mahagonny, la città-rete, suggerisce un radicale confronto con il mondo capitalista, dominato, così come la Chicago degli allevatori e degli industriali nella Santa Giovanna, dal denaro e dallo sfruttamento.
Con la sua Opera da tre soldi (Die Dreigroschenoper) – un rifacimento della Beggar’s Opera (L’opera del mendicante) dell’inglese John Gay – Brecht si era proposto di mettere in questione «le concezioni borghesi non solo come contenuto, in quanto cioè le rappresenta, ma anche per il modo nel quale le rappresenta». Se John Gay nel 1728 aveva messo in scena per il pubblico londinese un testo che intendeva smascherare le aberrazioni criminose e fraudolente del suo tempo, la riscrittura di Brecht, esattamente due secoli dopo, fa del crimine e della frode la regola dominante della società. Costruita attorno al principio secondo il quale “Il denaro regge il mondo” – un principio che tutti i personaggi, nessuno escluso, sembrano far proprio –, l’Opera da tre soldi fa ricorso a un preciso vocabolario dell’economia che elenca libri mastri, assegni, licenze e utili netti. Ad essere mostrata e dimostrata è l’equivalenza tra “Geschäftsleute”, gente d’affari, e “Banditen”, delinquenti comuni. Insomma una perfetta e perversa interscambiabilità tra l’organizzazione imprenditoriale e quella criminale, tra lo sceriffo capo di Londra e il boss dei banditi, che culmina nella morale rovesciata proclamata dal protagonista Macheath: «Che cos’è un grimaldello di fronte a un titolo azionario? Che cos’è l’effrazione di una banca di fronte alla fondazione di una banca?». La lezione brechtiana si serve qui dello strumento parodistico nei confronti del genere drammatico tradizionale. «È un trionfo della forma aperta» scriveva un critico teatrale recensendo la “prima” che aveva avuto luogo il 31 agosto 1928 al “Theater am Schiffbauerdamm” di Berlino. I tre finali con un happy end – dunque la “forma aperta” del dramma che contraddice e rovescia la “forma chius”, classicamente prestabilita e con un finale prefissato –, l’uso dei cartelli e dei titoli delle scene, il gioco della citazione con i tanti rinvii alla Bibbia, la musica del geniale Kurt Weill e i songs (che troveranno straordinari interpreti da Ella Fitzgerald a Frank Sinatra, da Milva a Sting) sono gli elementi che fanno dell’Opera da tre soldi – come dirà lo stesso Brecht – «il più fortunato esempio del teatro epico». Vale a dire di quella forma di teatro (re)inventata da Brecht che non doveva “involgere lo spettatore in un’azione scenica” portandolo all’immedesimazione, ma farne un osservatore critico, non doveva creare “suggestioni” ma fornire “argomenti”, porre al posto dei “sentimenti” la ratio.
Il secondo testo che nasce dalla collaborazione tra Brecht e Weill è Ascesa e caduta della città di Mahagonny. Ma sono due le Mahagonny di Brecht e Weill. Il 17 luglio del 1927 a Baden Baden ha luogo nell’ambito del festival “Deutsche Kammermusik 1927” la “prima” del “Songspiel”, l’opera musicale (detta anche impropriamente “Piccola Mahagonny”), che ripropone, come esempio di lavoro comune tra i due, cinque testi del brechtiano Libro di devozioni domestiche (Hauspostille) per la musica di Weill. Tra il 1928 e il 1929 Brecht rimette mano al “Songspiel” e l’opera Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny (Ascesa e caduta della città di Mahagonny) verrà eseguita al “Neues Theater” di Lipsia il 9 marzo 1930. La “città inventata”, di cui si diceva nel “Songspiel”, è diventata concretamente una “città rete”: Mahagonny, insomma, è in senso concreto e insieme simbolico, il punto di partenza, con il nome evocato in apertura del testo – «Perciò in questo luogo fondiamo una città e chiamiamola Mahagonny, ossia città-rete!» – e allo stesso tempo la meta: «A Mahagonny, avanti!». La forma dell’opera è utilizzata da Brecht e Weill per un radicale confronto con il mondo capitalista, dominato dal denaro e dallo sfruttamento e Mahagonny, nonostante il suo aspetto, la sua luna verde dell’Alabama e i suoi whisky-bar non è per Brecht tanto o soltanto la città americana, ma la città tout court, la rappresentazione della società dei consumi.
“Santa Giovanna dei macelli”, 2005, ERT Emilia Romagna Teatro Fondazione – Teatro Due Mondi
In Santa Giovanna dei macelli, infine, i mattatoi di Chicago costituiscono il luogo, concreto e simbolico allo stesso tempo, delle lotte tra gli industriali della carne, delle speculazioni degli allevatori di bestiame e dei profitti del mercato azionario. È un mondo, quello che Brecht mette in scena, che, come dice Giovanna, è del tutto «simile a un macello», dove c’è chi «fa guadagno di carne guasta» e dove «persino l’aria ha un prezzo».
Certamente innovativa nella sperimentazione brechtiana è la proposta dei “drammi didattici” (nati negli anni tra il 1926 e il 1932), che attraverso la forma astratta della parabola, anche correndo il rischio di una eccessiva schematicità, vogliono presentare “esempi” in cui l’individuo possa ritrovarsi. Interessante in questo caso è l’idea di pratica collettiva dell’arte, pensata e realizzata più per chi la produceva che non per un reale pubblico, così come la scelta di luoghi del tutto esterni rispetto al teatro ufficiale, interessato, come dice Brecht, a vendere spettacoli esclusivamente gastronomici, vale a dire solo di puro divertimento.
Ma Brecht è un grande contemporaneo anche nelle sue poesie politiche: “Tebe dalle Sette Porte, chi la costruì? / Ci sono i nomi dei re, dentro i libri. / Sono stati i re a strascicarli, quei blocchi di pietra? / Babilonia, distrutta tante volte, / chi altrettante la riedificò? In quali case / di Lima lucente d’oro abitavano i costruttori?” (Domande di un lettore operaio, 1934-35) e ancora “Compagno, non temere di chiedere! / Non dar credito a nulla, / controlla tu stesso! / Quello che non sai di tua scienza / in realtà non lo sai. / Verifica il conto: / tocca a te pagarlo. / Poni il dito su ogni voce, / chiedi cosa significa. / Tocca a te assumere il comando” (Elogio dell’imparare, 1931). Così come una straordinaria intensità poetica attraversa le sue liriche d’amore e quelle poesie tarde, dove spesso i modelli cinesi sono evidenti: “Sul lago, in fondo a pioppi e abeti folti, / da mura e siepi difeso, un giardino / così bene curato con fiori d’ogni mese / che è da marzo fino a ottobre in fiore. / Qui, al mattino, non troppo spesso, io siedo / e auguro a me che anche io possa sempre / per mutare di tempo – bello, brutto – mostrare / o una o altra gradevole cosa” (Il giardino dei fiori, 1953) e “Più tardi, in autunno, / popolano i pioppi grandi stormi di corvi. / Ma lungo tutta l’estate io odo, / siccome la regione è senza uccelli, / solo suoni che vengono da uomini. / Ne sono lieto” (Suoni, 1953).
Nel suo essere segnato da “spirito di contraddizione”, nella sua costante “lode del dubbio”, Brecht non può che essere dunque nostro contemporaneo.
Antonella Gargano, autrice di diverse pubblicazioni, docente di letteratura tedesca alla facoltà di lettere e filosofia dell’Università “La Sapienza” di Roma
Pubblicato lunedì 31 Ottobre 2016
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