Corto Maltese è l’antieroe, l’antipatico, l’antipodo. È il sovvertimento delle regole: è il protagonista “classico”, quella concentrazione di valori e virtù, che viene ridotto in mille pezzi e ricomposto secondo regole nuove. Corto Maltese parte proprio da questo anomalo mosaico per diventare il cinico e malinconico protagonista di storie completamente fuori dagli schemi, anarchiche perché rigettano i classici riferimenti letterari, viscerali perché intimamente imparentate con fumose e magiche esperienze perse in estremo Oriente, come tra i vicoli di Venezia.
Corto Maltese è tutto ciò che non ci si aspetta. Che non ci si aspetta, almeno, dal protagonista di un fumetto avventuroso e la sua grande forza comunicativa risiede proprio nel coraggio di rompere bruscamente con il passato e con la tradizione narrativa per ragazzi, aprendosi verso la contemporaneità del fumetto.
Il suo debutto ufficiale avviene nel 1967 per mano di Hugo Pratt, il quale decide di presentare sulle pagine della rivista Sgt. Kirk il suo personaggio in modo anomalo: Corto viene immortalato legato su una zattera alla deriva nell’oceano Pacifico. Insomma, non esattamente la più classica delle pose eroiche, tanto più che la situazione si sbloccherà – di lì a breve – non grazie alle portentose virtù fisiche o intellettuali del marinaio, ma all’intervento di un altro personaggio comprimario: l’amato-odiato Rasputin.
Così, già dalle prime vignette, si apprendono molti dettagli su Corto Maltese che non si addicono propriamente a un eroe senza macchia e senza paura. Corto è un uomo e, in quanto tale, è vulnerabile, fallibile e non può fare affidamento su poteri magici, a parte, a volte, la sua fortuna. Proprio con la fortuna, il razionale Corto Maltese ha un rapporto controverso: lui, figlio di una gitana, si dice nacque senza la linea della fortuna sulla mano sinistra, e così pensò bene di inciderla da sé con una lama. In lui, la solida razionalità convive con il misticismo, l’arcano e le formule magiche incise in alfabeti sconosciuti, che decide di seguire con vigore e passione. Si può dire che lo stesso Corto sia un microcosmo in cui si incontrano e si scontrano i secoli, Illuminismo e Romanticismo, ragione e sentimento, rigore scientifico e una primitiva e istintuale forma di comunicazione.
E la grande modernità incarnata da Corto Maltese – il fumetto, non solo il personaggio – risiede, appunto, nel linguaggio. La narrazione sembra essere quella romantica, ottocentesca, tra romanzo di formazione e avventure esotiche, ma intrecciata con leggiadria alla grande tematica dell’inettitudine novecentesca, in cui l’uomo (e l’uomo soltanto, senza aiuti provvidenziali e divini!) si confronta con i suoi limiti, come, ad esempio, quello di ritrovarsi legato su una zattera a seguito di un ammutinamento. Il dibattito intellettuale novecentesco ha acceso i riflettori anche su aspetti della cultura considerati marginali e il mondo del fumetto (fino ad allora relegato a un universo infantile) proprio con il marinaio di Hugo Pratt assiste all’introduzione di un nuovo canone.
Parlare di linguaggio e lingua comporta, inevitabilmente, il parlare delle onomatopee, uno degli aspetti più vividi dell’innovazione prattiana. Un fucile che esplode un colpo non fa bang, ma crack!, quasi fosse un ramo che si spezza, un pezzo di legno secco, un rumore di maggiore impatto e più improvviso rispetto al canonico sparo.
Se, come è vero, bang e crack differiscono nella lingua inglese per aspetti semiotici consistenti, bisogna in qualsiasi caso riconoscere che Corto Maltese, destinato a dei lettori italiani, doveva impressionare già con la sua carica linguistica astratta, con una suggestione non mediata dal senso. E ci riusciva. I fruitori, infatti, a causa della loro età che li portava a conoscere in maniera non troppo approfondita l’italiano e, ancor meno, l’inglese, dovevano poter fare affidamento unicamente sulla potenza evocativa del suono: sul principio che sorregge l’onomatopea, appunto. E così, la distinzione è netta e immediata: crack è un suono più duro, spietato, che racchiude la rabbia e la sorpresa, l’immediatezza e la violenza.
Ma Pratt si diletta tanto con le parole e con i suoni, quanto con i silenzi: il suo utilizzo del medium fumettistico è talmente consapevole da sapersi incuneare anche nella sospensione della parola, nei tempi e nei modi giusti, con pause teatrali e con effetti spesso comici: i silenzi di Corto Maltese e degli altri personaggi sono spesso allusione e sarcasmo, ma anche sofferenza e insofferenza.
Emblematica è, a tal proposito, la sequenza in cui Corto e il suo più fidato nemico, la sua nemesi, Rasputin, si chiudono in una capanna per discutere.
Il dibattito è particolarmente acceso e il lettore lo sa non per averlo visto direttamente, ma per averlo intuito: il lettore ricostruisce ciò che non vede perché, proprio come un attento regista, Pratt rimane all’esterno, “inquadrando” per tutto il tempo la capanna che dapprima vacilla, poi si affloscia e, infine, collassa su se stessa, a testimonianza di uno scontro non solo verbale tra i due.
Qualcuno ha detto che le scelte di un autore sono sempre, a qualche livello, autobiografiche. La sovrapposizione tra Corto Maltese e Hugo Pratt non lascia praticamente alcun margine di errore: entrambi conoscitori del mondo e dotati di un fascino impalpabile, sono l’uno l’alter ego dell’altro, incastro e sintesi perfetta tra ciò che si è conosciuto e ciò che si è desiderato.
Così la luce di Corto, la sua narrazione limpida, coinvolgente e nuova è visceralmente legata a una nota amara che affiora nella malinconia, ai dolori che impediscono al cerchio del racconto di chiudersi, diventando l’allegoria disegnata di quei versi in cui Pasolini, parlando della sua “umile Italia” diceva: “[…] insieme/ la preistoria e la storia che/ in essa sono convivano, se/ la luce è frutto di un buio seme».
Letizia Annamaria Dabramo
Pubblicato venerdì 7 Dicembre 2018
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