Dopo l’ultima, terrificante scossa, ciascuno di noi ha provato un senso d’impotenza, una sorta di rassegnata emozione. Subito i soccorsi – abbiamo pensato osservando le oscillazioni del lampadario impazzito – al più presto un rifugio sicuro per gli sfortunati abitanti di quei paesi, e poi un piano di ricostruzione. Nel sentirci – tutti – inadeguati rispetto all’ennesimo, ripetuto disastro, ci siamo rincuorati davanti all’ininterrotto moto di vicinanza verso quella gente e verso quella terra, un moto che incarna l’articolo 2 della Costituzione, ove si afferma che la Repubblica richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Ci siamo sentiti popolo, cioè insieme dei cittadini di uno Stato, e nazione, cioè parte, ciascuno, di una storia, di una cultura, di una lingua, di un costume che ci unisce. Ci siamo sentiti genere umano, ove ognuno è fratello dell’altro perché persona, e in quanto persona non può che condividerne il dolore. Ci siamo sentiti minuscoli, davanti alla sfida di un mostro incommensurabile, la forza del sisma, ed assieme Prometeo, perché da decine di migliaia di anni abbiamo resistito a questa forza, ricostruendo dove essa aveva distrutto, riconoscendola ed analizzandola grazie ad un patrimonio genetico che, unici fra i viventi, possediamo: la scienza e la tecnica.
Abbiamo assistito con riconoscenza al lavoro spasmodico degli addetti alla Protezione Civile, dei Vigili del Fuoco, dei Carabinieri, dello straordinario mondo del volontariato, dei singoli cittadini che si sono prodigati per salvare vite umane e comunque per ridurre per quanto possibile gli esiti catastrofici del sisma.
Ci sentiamo uniti, al di là delle differenze, delle polemiche e delle diverse visioni del mondo, davanti all’emergenza del terremoto che richiede la convergenza degli sforzi di tutti.
Ora però dobbiamo riconoscere che tutto ciò non basta e che occorre qualcosa di più, che finora non c’è stato. Chiediamoci: che faremo davanti alla prossima scossa? Ripercorreremo, per l’ennesima volta, l’incrocio angosciante fra senso d’impotenza e capacità/volontà di soccorso immediato? È sufficiente? Il nostro Paese è ad alto rischio sismico, com’è noto. Certo, il terremoto non è in sé una forza contrastabile. Ma si può far sì che il patrimonio edilizio non venga distrutto, mettendolo in sicurezza. Vi sono molteplici proposte, tutte ragionevoli: da un piano nazionale straordinario di messa in sicurezza dell’Italia dal rischio idrogeologico all’obbligo del fascicolo del fabbricato anche per la sua classificazione sismica a un piano di formazione sui rischi sismici al rifinanziamento della prevenzione del rischio sismico gestito dalla Protezione Civile. Abbiamo un esercito di sismologi, geologi, ingegneri, architetti e urbanisti pronti a mettersi a disposizione di un piano di prevenzione. Insomma, il terremoto non si può prevedere, ma si può prevenire.
Nel giro di pochi anni il sisma ha sconvolto L’Aquila, l’Emilia-Romagna, il Lazio, l’Umbria e le Marche, con un bilancio catastrofico in termine di perdita di vite umane, di distruzione di patrimonio edilizio e di patrimonio artistico. Un valore incalcolabile, a partire da quello delle vite spezzate. Autorevoli personalità hanno iniziato a chiedere un piano di prevenzione. A chi – ove vi sia – dovesse obiettare sui costi, è fin troppo facile ricordare i costi dei terremoti precedenti e di quelli, ahinoi, in corso. E d’altra parte la difesa della vita e dei beni dei cittadini coincide, per qualche aspetto, con la ragione stessa dell’esistenza di uno Stato. Ma la Repubblica non si limita a questo, perché, come recita la seconda parte dell’articolo 9 della Costituzione, “tutela il paesaggio e il patrimonio artistico della nazione”. Tutelare vuol dire proteggere, preservare, difendere. Diciamolo con chiarezza: questo non è mai avvenuto, o, se si vuole, non è mai avvenuto a sufficienza. La più grande ricchezza del nostro Paese è la bellezza: quella della natura e quella delle arti. Lasciarla crollare è un’inescusabile responsabilità. Quando interi paesi sono rasi al suolo, e con loro le case, gli edifici pubblici, le chiese, quella necessità di tutela imposta dalla Costituzione non può più attendere.
Anche alla luce degli eventi umbri, davvero le reiterazioni dell’idea del ponte sullo Stretto appaiono grottesche. Grandi Opere? Certo! Ecco la Grande Opera che l’Italia aspetta da cinquant’anni: un piano per la messa in sicurezza dell’intero Paese.
Pubblicato lunedì 31 Ottobre 2016
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