Se ne parla da anni, con un nulla di fatto. Ma le donne sono determinate quando si tratta di affermare la loro dignità e la richiesta di rispetto e parità. Perché se la strada del riscatto di genere è lunga e tortuosa, la storia delle battaglie dei movimenti femminili lo è altrettanto, e ha temprato lotta dopo lotta.
L’iniziativa è internazionale, volta a sensibilizzare e ottenere “il riconoscimento legale di qualsiasi atto, politica, pratica o omissione che, in modo sistematico e istituzionalizzato, stabilisce, mantiene o perpetua il dominio di un genere sull’altro attraverso la segregazione, l’oppressione o la discriminazione”. Questo il significato di “apartheid di genere” elaborato da giuriste del Cisda, il Coordinamento Italiano a Sostegno delle Donne Afghane.
Una nuova fattispecie di reato, dunque, diverso da quello di discriminazione razziale come definito nello Statuto di Roma che, entrato in vigore nel 2002, ha istituito la Corte penale internazionale. Un delitto non ancora previsto dai trattati globali, permettendo così impunità giuridica a chi, realtà statuali o gruppi organizzati, viola i diritti umani con angherie sessuali, stupro, negazione dei diritti riproduttivi, sia delle donne sia della comunità Lgbtqi+.
Come sottolinea la campagna lanciata dal Cisda esiste una stretta relazione tra l’apartheid di genere e tutti i fondamentalismi. Perché il tema non riguarda unicamente alcune rigide interpretazioni dei precetti islamici o le posizioni estreme dei movimenti cristiani antiabortisti, e nemmeno solo la religione. Abita dovunque, precisa l’associazione, prevalga con la forza e la violenza l’idea che tra sfera pubblica – fedeltà a un credo o a una visione politica – e vita civile non ci possa essere distinzione.
La campagna del Cisda, a cui tra le altre associazioni ha subito aderito l’Anpi con il Coordinamento Donne, è stata lanciata, o meglio rilanciata lo scorso 10 dicembre, Giornata mondiale per i diritti umani, in vista del Trattato globale per la prevenzione e la punizione dei crimini contro l’umanità in elaborazione alle Nazioni Unite. Le negoziazioni vere e proprie saranno avviate nel 2028 e 2029, quindi per l’iter necessario a stabilire accordi internazionali il tempo stringe.
L’etimologia della parola apartheid deriva dalla lingua afrikaans dei coloni bianchi nell’Africa meridionale, ma il termine è ormai utilizzato a livello globale per indicare una forma di dominio sistematico di una categoria, sia etnica sia di genere sull’altra. Proprio come in Afghanistan, dove alle donne è vietato perfino parlare in pubblico.
Si tratta anche di assumersi una responsabilità storica e politica: Paesi e potenze mondiali dove la laicità è un valore condiviso, pur di garantire “la loro egemonia coloniale hanno finanziato e armato gruppi fondamentalisti, generando decenni di guerre con migliaia di vittime civili, corruzione endemica, traffico di droga, devastazione del tessuto sociale e ambientale e migrazioni forzate”. Così con i talebani e così dopo il crollo del regime di Assad in Siria, arrivando al paradosso di sentir definire “ribelli” i paramilitari dell’impronunciabile Al Qaeda, ora dipinta in Occidente come democratica e liberatrice.
Pochi giorni fa, l’Italia grazie a una mozione presentata da Laura Boldrini in Commissione Esteri a Montecitorio (presieduta da Giulio Tremonti, che con la “cultura non mangia, ricordate”?), ha accolto all’unanimità la proposta di introdurre nella convenzione sui crimini contro l’umanità in discussione all’Onu il reato di “segregazione di genere”.
In un’oretta di dibattito. dove la Lega avrebbe voluto che “genere” si riferisse “esclusivamente ai due sessi, maschile e femminile, escludendo la tutela della comunità Lgbtqi+, e altri rappresentanti della maggioranza di governo (per esempio Forza Italia) si siano opposti ad adottare il termine “apartheid”, nonostante in sede di Parlamento europeo lo scorso settembre avessero votato favorevolmente, il risultato è stato tuttavia raggiunto. Frutto di mediazione lessicale, il vocabolo “segregazione” proposto dal Pd ha messo tutti d’accordo.
Ben disposto anche il viceministro agli Esteri Edmondo Cirielli (arrivato agli onori delle cronache una manciata di giorni fa per aver affermato che “Il tratto distintivo più profondo del fascismo era uno spirito straordinario di libertà”). Conclusione: nonostante la riformulazione non corrisponda esattamente agli obiettivi prefissati “L’Italia sosterrà l’introduzione del reato di “segregazione di genere” nella convenzione sui crimini contro l’umanità in discussione all’Onu”.
Resta essenziale quindi, politicamente ed eticamente, sostenere la campagna del Cisda. Perché bisogna salvare vite umane in Afghanistan, Iran, Arabia Saudita, Yemen, dovunque l’essere donna è in sé fonte di “persecuzione di Stato”.
Per sottoscrivere la petizione “STOP FONDAMENTALISMI – STOP APARTHEID DI GENERE” si può cliccare direttamente al link https://www.cisda.it/campagne-e-petizioni/stop-fondamentalismi-stop-apartheid-di-genere. Sulla pagina online del Cisda inoltre è disponibile utile materiale informativo https://www.cisda.it/wp-content/uploads/2024/12/Press-Kit.zip
L’associazione chiede inoltre al governo italiano di sostenere l’azione presa da Australia, Canada, Germania, Paesi Bassi, e appoggiata da altri 22 Stati, di deferimento dell’Afghanistan alla Corte di Giustizia Internazionale (dove devono rispondere gli Stati) per violazioni della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW, il primo e finora il più importante strumento internazionale giuridicamente vincolante in materia di diritti delle donne), di cui l’Afghanistan è firmatario.
Cisda inoltre chiede che Palazzo Chigi supporti l’attività di Cile, Costa Rica, Spagna, Francia, Lussemburgo e Messico di sottoporre alla Corte Penale Internazionale (che si occupa dei crimini commessi da persone in carne e ossa) per ulteriori indagini le continue violazioni dei diritti delle donne compiute dai talebani.
Le donne di tutto il mondo possiedono una straordinaria capacità di fare tesoro delle lotte di altre donne, indipendentemente dai confini nazionali. Questa solidarietà femminile trascende le divisioni politiche, culturali e geografiche, creando una rete globale di supporto e resistenza.
La storia propone esempi. Già nell’antica Grecia, donne come Saffo e Aspasia hanno cercato di sfidare le norme patriarcali della loro epoca. Durante la Rivoluzione Francese, le femmes parigine marciarono su Versailles per chiedere pane e giustizia, un atto di coraggio che ispirò future generazioni di attiviste. Allo stesso modo, le suffragette britanniche all’inizio del XX secolo lottarono instancabilmente per il diritto di voto, influenzando movimenti simili in tutto il mondo.
Durante la Resistenza italiana le donne hanno svolto un ruolo fondamentale, non solo nella lotta contro l’occupazione nazifascista ma anche nella costruzione di una rete di solidarietà che ha superato i confini nazionali. Come corriere, infermiere e combattenti, le donne italiane hanno mostrato una straordinaria determinazione. La loro lotta non si è limitata al contesto locale; ha infatti ispirato e ricevuto sostegno da donne in tutto il mondo, creando un legame di solidarietà internazionale.
In tempi più recenti, abbiamo assistito a un incremento della solidarietà femminile internazionale.
Il movimento delle donne curde ha svolto un ruolo cruciale nella difesa e liberazione dall’Isis della regione autonoma del Rojava in Siria. Il loro motto “Jin, Jiyan, Azadî” (Donna, Vita, Libertà) è migrato in Iran dopo l’uccissione da parte della polizia morale iranianadi Masha Amini per sfidare le restrizioni imposte dal regime, con il movimento “Donna, Vita, Libertà”. Un grido che ha visto milioni di donne, da Teheran a New York, unirsi per chiedere cambiamenti significativi.
L’arresto della giornalista italiana Cecilia Sala, dal 19 dicembre scorso detenuta nel carcere di Evin, periferia della capitale, fa riflettere. Non sono state formulate precise accuse formali, solo uno scarno comunicato dell’agenzia statale Irna: “La cittadina italiana è arrivata in Iran il 13 dicembre con un visto giornalistico ed è stata arrestata il 19 per aver violato la legge della Repubblica islamica dell’Iran”. Seppur si sospetta che la vicenda possa essere una rappresaglia per l’arresto in Italia di un ingegnere iraniano, il caso evidenzia le difficoltà e le sfide che le donne giornaliste affrontano in Paesi dove i diritti umani sono costantemente violati.
Le donne afghane, sotto il regime talebano, trovano nella comunità internazionale una voce che amplifica le loro richieste di diritti fondamentali. E Kabul continua con il pugno di ferro. In una lettera pubblicata qualche giorno fa su X (il social di Musk) il ministero dell’Economia del Paese ha minacciato la chiusura di tutte le ONG che impiegano donne afghane, minacciando di sospendere le attività e revocare le licenze alle organizzazioni umanitarie che lavorano nel Paese nei progetti di sviluppo e di aiuto.
Le guerre sono le più acerrime nemiche dei diritti delle donne. Le donne di Gaza stanno affrontando da quindici mesi una realtà devastante, segnata da sofferenze inimmaginabili. L’aggressione targata Netanyau ha causato nella Striscia la morte di oltre 41.600 persone e ne ha ferite 96.000, la maggior parte donne e bambini. La mancanza di accesso a servizi essenziali come ospedali, acqua e cibo aggrava ulteriormente la situazione. Molte donne incinte e in fase di allattamento affrontano sfide critiche per accedere alle cure prenatali e postnatali.
Un altro esempio di lotte comuni dei nostri tempi è quello delle donne migranti, che spesso affrontano discriminazioni e violenze. In risposta, organizzazioni femminili in diversi Paesi hanno creato reti di supporto per offrire assistenza e protezione, dimostrando che la forza della solidarietà può superare le barriere più ostili.
La capacità di fare patrimonio delle battaglie di altre donne è una delle più grandi risorse del movimento femminista. È un richiamo potente alla giustizia e all’uguaglianza, unito dalla convinzione che i diritti delle donne non possono essere limitati da confini nazionali. La lotta di una donna in un angolo del mondo è la lotta di tutte le donne, ovunque esse siano.
Abbattiamo le mura del silenzio, ridiamo voce alle donne afghane.
La lotta contro l’apartheid di genere è una battaglia cruciale per i diritti umani non solo delle donne, nel XXI secolo è di tutte e tutti.
Pubblicato martedì 7 Gennaio 2025
Stampato il 08/01/2025 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/servizi/stop-fondamentalismi-stop-apartheid-di-genere-le-donne-anpi-con-cisda/