Camara Fantamadi, aveva solo 27 anni. Un ragazzo del Mali che, come tanti, era venuto in Italia per cercare lavoro, guadagnare un po’ di soldi per sfamarsi e aiutare la famiglia rimasta nel suo Paese. Perché questo fanno i migranti che chiamano “economici”, molto simili ai migranti italiani che nel dopoguerra raggiunsero il Belgio, la Germania, l’America. Sarebbero approdati in qualsiasi luogo, anche lontanissimo dalla loro casa, per trovare occupazione, dare da mangiare ai figli, mandare i soldi a casa, la vera casa. A molti giovani accade ancora oggi.
Ma nella vita di Camara, nella sua storia, ci sono anche le guerre e il terrore. Lui, come altri, non avrebbe mai lasciato la sua casa, i genitori, non avrebbe attraversato il deserto e il mare, rischiando di perdere la vita, se non per estrema necessità. Ce l’aveva fatta a non morire in Africa e nel Mediterraneo. Non è sopravvissuto, qui, in Italia, allo sfruttamento ai limiti dello schiavismo, al lavoro nei campi sotto il sole a 40 °, per guadagnare 6 euro l’ora.
“Mi gira un po’ la testa”, aveva confessato ai suoi compagni di lavoro in un campo tra Brindisi e la frazione di Tuturano. Era il 24 giugno scorso. “Vai a casa, la strada è lunga”, gli avevano risposto, preoccupati. Camara era salito sulla sua bici e si era allontanato per arrivare all’abitazione del fratello che aveva raggiunto a Tuturano solo tre giorni prima, dopo aver lavorato come bracciante a Eboli. Avrà faticato anche a pedalare sotto il sole cocente, Camara, si era fermato. Lo hanno trovato senza vita in ginocchio sull’asfalto, stroncato a 27 anni da un infarto, accanto, a terra, la bici.
La Procura di Brindisi ha aperto un’inchiesta. In quella stessa giornata caldissima, il 24 giugno, sono morti in Puglia altri due lavoratori, giovani poco più che trentenni: Antonio Valente, precario che faceva volantinaggio sotto il sole, e Carlo Staiani che guidava un’autocisterna.
Sono le uniche vittime della fatica in Puglia? No, se ricordiamo Paola Clemente e Abdullah Mohamed. No, se pensiamo a tanti giovani e meno giovani braccianti africani che lavoravano nei campi italiani e le cui morti si confermano annunciate. Di loro nulla si sa: avevano famiglia, qualcuno da avvisare, qualcuno li starà cercando o piangendo? I mass media non ne parlano, tantomeno i social. Vengono archiviate come morti naturali. Di naturale non c’è mai stato nulla.
Il sindaco di Brindisi, Riccardo Rossi, ha emesso un’ordinanza che fino al 31 agosto vieta il lavoro nelle campagne dalle 12 alle 16, in particolari condizioni di caldo certificato dall’Inail. Lo aveva già fatto giorni prima il sindaco di Nardò. Stessa ordinanza è stata poi emessa, per l’intero territorio regionale, dal presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano. “Ma servono almeno controlli adeguati affinché le misure siano rispettate e si metta fine alla barbarie”, ha avvisato la Flai Cgil.
Quelle tragedie si devono scongiurare. Lo sportello migranti della Comunità africana di Brindisi, aperto nella sede Anpi con il coinvolgimento di volontari di varie associazioni (la stessa Comunità africana Aps, la stessa Anpi Brindisi, Voci della Terra Aps, Hub Community e Arci, il sostegno di Compagni di strada, Forum per cambiare l’ordine delle cose e Migrantes) ha chiesto ufficialmente che sia il governo nazionale a prendere provvedimenti simili, attraverso decreti, in tutto il territorio italiano e non soltanto per i lavori nei campi. Perché gli “invisibili” muoiono di lavoro e di caldo ovunque.
La morte di Camara questa volta ha avuto grande risalto sui mezzi di informazione mass media anche a livello nazionale e internazionale. La notizia ha creato sgomento e dolore. Drissa Kone, presidente della Comunità africana di Brindisi e provincia, è stato contattato da Aboubakar Soumahoro, presidente della Lega dei braccianti.
Aboubakar è stato a Brindisi lunedì 28 giugno assieme a una delegazione di 6 rappresentanti della Lega dei braccianti. Una testimonianza di vicinanza e di solidarietà. Il dirigente sindacale, accompagnato da Drissa e da altri dirigenti e componenti della Comunità africana, ha voluto abbracciare il fratello della vittima e si è recato sul luogo della assurda morte di Camara. Ha poi raggiunto lo sportello migranti della Comunità africana, ospitato da Anpi Brindisi, per un incontro con i volontari dello sportello migranti ringraziando per l’impegno costante a sostegno di tutti coloro a cui vengono negati i diritti, compreso quello fondamentale: il diritto di vivere e di vivere in modo dignitoso.
L’ultima tappa, prima di ripartire, è stata il dormitorio di Brindisi, dove vengono ospitati i braccianti ai quali viene negata, per pregiudizio spesso razzista, una vera casa. Una realtà che Soumahoro non conosceva e può essere equiparata ai tanti ghetti sparsi nelle campagne brindisine, di tutta la Puglia e di tante parti d’Italia, dello sfruttamento insostenibile e lontano dalla giustizia sociale. La sua commozione era visibile.
Grande è stata la reazione solidale dei cittadini: hanno risposto all’appello della Comunità africana per raccogliere contributi e poter restituire la salma di Camara alla sua famiglia, in un villaggio del Mali. Perché è lì che l’attendono quanti lo amavano e lo rispettavano per il coraggio, è lì che vorranno dare l’ultimo saluto al giovane figlio di una terra con poco cibo e con pochissima acqua. Una terra abitata da un popolo che fa della dignità la sua ragione di vita e ora è costretta a piangere e lo piange.
Intanto, qualcosa sta cambiando nel sentire delle persone. “È morto Camara, Camara non doveva morire”. “Gli invisibili non devono morire”. È stato necessario il sacrificio estremo di un ragazzo di 27 anni per farlo comprendere?
Pubblicato martedì 29 Giugno 2021
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