L’Italia democratica che non si allinea ai dettami reazionari delle destre al governo può tirare un sospiro di sollievo. Le accuse contro Mimmo Lucano, l’ex sindaco di Riace condannato dal Tribunale di Locri a oltre 13 anni di carcere sono crollate dinanzi ai magistrati della Corte d’Appello di Reggio Calabria, che hanno confermato solo il reato di abuso d’ufficio, e hanno ridotto la condanna a un anno e mezzo, sospendendo inoltre la pena. Tutte infondate, dunque, le accuse all’inventore del “Sistema Riace” e agli altri 17 indagati. Andrea Daqua e Giuliano Pisapia, difensori di Lucano, ne avevano chiesto l’assoluzione contro le imputazioni di associazione per delinquere, truffa, peculato, falso e abuso d’ufficio, descrivendo “uno stravolgimento dei fatti” e “un uso distorto delle intercettazioni” per arrivare a una condanna “a ogni costo”.
L’uomo simbolo dell’accoglienza, almeno questa volta, ha vinto contro la deriva xenofoba che sta animando la politica italiana sui temi dell’immigrazione. Vincendo l’emozione che anche in questi ultimi giorni ha toccato toni altissimi, Mimmo Lucano ha espresso il suo punto di vista sulla vicenda. “Essendo anche io un comune e mortale essere umano – ha dichiarato – è probabile che in questa vicenda abbia commesso degli errori ma di un aspetto, in particolare, sono sicuro, molto sicuro e convinto: ho sempre agito con l’obiettivo e la volontà di aiutare i più deboli e di contribuire all’accoglienza e all’integrazione di bambini, donne e uomini che fuggivano dalla fame, dalla guerra, dalle torture”.
Per Mario Vallone, coordinatore regionale dell’Anpi calabrese, quella di Lucano più che una vittoria personale è quella della giustizia “giusta”, ricordando come “non abbiamo mai fatto mancare il nostro sostegno all’operato della magistratura, tanto più in una Regione come la Calabria dove malaffare, criminalità, politica corrotta non danno tregua. Tuttavia ci viene davvero difficile accettarli come normalità. Come abbiamo ribadito in tante occasioni – ha aggiunto Vallone – a Riace ci siamo stati e di criminale non c’è mai stato nulla. In quella terra povera si incontrano altri poveri, tanta solidarietà e umanità e un ex sindaco che ha dato tutto se stesso alla causa dei migranti”.
Se a Riace si respira un’aria di festa, una cosa è comunque certa: nel borgo alle pendici Aspromonte difficilmente tornerà ai propri fasti il modello di accoglienza che, proprio su impulso di Mimmo Lucano, aveva preso vita nel 1998, quando erano sbarcati sulla costa jonica calabrese duecento profughi provenienti dal Kurdistan. Grazie all’impegno dell’associazione “Città Futura”, ancor prima della nascita dei centri d’accoglienza, l’integrazione dei profughi era diventata una realtà in un territorio che nei primi anni del Novecento si era svuotato per l’emigrazione verso l’Argentina. Si era creata così una eccellenza a livello europeo, grazie al lavoro di una settantina di mediatori culturali, una fattoria didattica, cioè una scuola, un ambulatorio e un albergo diffuso con circa 100 posti letto in cui italiani e migranti hanno lungamente lavorato insieme.
Però il cittadino Mimmo Lucano ci riprova e sulla sua pagina facebook scrive: “Vorrei fare un appello a tutti che poi rilanceremo il giorno della grande manifestazione a Riace del prossimo 29 ottobre: siamo pronti ad accogliere nelle case del villaggio globale di Riace bambini, donne, uomini vittime innocenti della guerra in Medio Oriente e di tutte le guerre del mondo”.
Tutto bene, dunque? In realtà, al di là delle stimmate aperte nell’animo dell’ex sindaco riacese che non sarà risarcito da nessuno, sta assumendo toni accesi il confronto fra il governo Meloni e il Consiglio Superiore della Magistratura. Attraverso la cosiddetta attuazione del “Decreto Cutro”, con un nuovo provvedimento le destre vorrebbero rimpatriare nei Paesi di origine i richiedenti asilo provenienti da Stati considerati sicuri, come la Tunisia. Il permesso di soggiorno verrebbe rilasciato, invece, solo in cambio di un ticket pari a circa 5.000 euro. Questo procedimento, però, non è stato ritenuto legittimo dai giudici di Catania Iolanda Apostolico e Rosario Cupri che hanno restituito la libertà ad alcuni migranti tunisini richiedenti asilo che arrivati a Lampedusa erano stati rinchiusi nel nuovo Centro di trattenimento di Modica-Pozzallo. Ora si aspetta il parere della Cassazione. A detta degli stessi magistrati, infatti, la norma introdotta nel “Decreto Cutro” andrebbe contro l’articolo numero 10 della Costituzione italiana e alcuni trattati europei.
Il ministero della Giustizia ha intanto avviato un accertamento che però, secondo il titolare del dicastero, Carlo Nordio, non sarebbe “ispettivo né tanto meno l’avvio di un’azione disciplinare”. Particolarmenti gravi nella forma e nel contenuto, gli attacchi della presidente del Consiglio e del ministro Salvini alla magistrata Apostolico, fotografata anni fa nel corso di una manifestazione. A ciò si aggiungono, nel discredito, le rivelazioni stampa sul figlio di Apostolico, assolto dalle accuse di resistenza e violenza a pubblico ufficiale durante una manifestazione finita in scontri con le forze di polizia a Padova nel 2019. Non sappiamo, viceversa, se sono state prese misure di qualsiasi tipo nei confronti della Procura di Firenze, che ha annullato l’espulsione di un migrante, considerando il Paese di origine, la Tunisia, non sicuro.
A Crotone, città che ancora non riesce a dimenticare il drammatico naufragio di Cutro in cui, il 26 febbraio scorso, sono morte 94 persone, é iniziato il processo contro i presunti scafisti della “Summer Love”. Ci vorrà il 15 novembre per l’inizio del dibattimento nel procedimento giudiziario a carico di un cittadino turco, Sami Fuat di 50 anni, e di due pakistani, Khalid Arslan, di 25 anni, e Ishaq Hassnan, di 22 anni; mentre un altro cittadino turco, Ufuk Gun di 28 anni, ha chiesto di essere processato con rito abbreviato. Per loro, le accuse sono di naufragio colposo, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e di aver provocato morte come conseguenza di un altro reato.
Nella prima udienza, lo scorso 4 ottobre, il magistrato Edoardo D’Ambrosio ha accolto la richiesta dell’avvocato Barbara Ventura, legale delle parti offese, che aveva chiesto di citare nel giudizio anche il Fondo garanzia Vittime della Strada, ritenuto responsabile civile. Nel frattempo, invece, non sono state ancora completate le indagini su un’altra parte del processo, relative al comportamento del tenente della Guardia di Finanza Alberto Lippolis, comandante del Roan di Vibo Valentia, di Antonino Lopresti, dello stesso Roan, operatore di turno la notte del naufragio, e del colonnello Nicolino Vardaro, comandante del Gruppo aeronavale di Taranto. Mentre i nomi di altre tre persone sono stati omissati, gli inquirenti ritengono che la motovedetta della Guardia di Finanza “lungi dall’essere in navigazione alla ricerca del target, si trovava all’interno del porto di Crotone” e anche il giornale di bordo “presenta delle significative anomalie”. A detta del procuratore della Repubblica Giuseppe Capoccia, un trascorso di consulente legale della presidente del Consiglio Meloni quando guidava nel 2008 il ministero delle Politiche giovanili, queste indagini potrebbero finire per la fine dell’anno.
Intanto, lo scorso 3 ottobre, a Lampedusa, nel decimo anniversario di quello che è stato il maggiore naufragio nel Mediterraneo per la morte di circa 400 persone, si è svolta una manifestazione commemorativa e gli organizzatori hanno chiesto “di applicare a tutti i migranti la direttiva europea numero 55, come è stato fatto per i profughi ucraini”.
Assente dall’iniziativa il governo Meloni, erano presenti il sindaco di Lampedusa, Filippo Mannino; l’arcivescovo di Agrigento, monsignor Alessandro Damiano; il prefetto Filippo Romano e Maria Domenica Castellone del Movimento 5S, vicepresidente del Senato.
Sono stati loro, insieme a numerosi cittadini, a emozionarsi per le parole del pescatore Vito Fiorino che, nella notte del naufragio di 10 anni fa, accogliendo l’invito evangelico di farsi “pescatore di uomini”, ha salvato con alcuni amici 47 naufraghi. Anche allora, a detta di Fiorino, si registrarono omissioni da parte dello Stato. “A un certo punto – racconta – mi sono dovuto fermare perché l’imbarcazione a nostra disposizione su cui facevamo salire i naufraghi stava quasi andando a fondo. Ho chiesto alla Capitaneria di Porto di trasportare le persone salvate per continuare a salvarne altre e mi hanno risposto che il protocollo non lo consentiva. Vorrei dire loro che la morte non conosce protocollo. E l’istinto di un uomo di salvare la vita di altri esseri umani nemmeno”.
Francesco Rizza, giornalista,iscritto sezione Anpi di Petelia Policastro (KR)
Pubblicato lunedì 16 Ottobre 2023
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