
È un docente 36enne di discipline meccaniche ed elettronica all’Istituto G. Antonietti di Iseo (BS) – preferisce restare anonimo a tutela della privacy – e a dicembre scorso è stato vittima, a Brescia, di un’aggressione da parte di studenti che lo avevano provocatoriamente “interrogato”, per strada, sul fascismo. Non gradendo le posizioni antifasciste del professore, in uno stile squadrista dettato da ignoranza o da convinzione, i ragazzi hanno attaccato verbalmente e poi fisicamente l’insegnante. Ringrazio i colleghi professori dell’ANPI tramite cui è avvenuto l’incontro col prof.

La prima cosa che vorrei chiedere è di ripercorrere in maniera esatta ciò che è successo. Come si sono svolti i fatti nel momento dell’aggressione?
Ero in centro a Brescia, a un caffè, con un collega. Dopo esserci salutati, tornando verso la mia auto, sono passato in una delle vie del centro di Brescia, in zona Carmine, e sono stato chiamato da un gruppetto di cinque persone. Mi hanno chiamato esattamente «prof», e col mio cognome. Perciò mi sono avvicinato pensando fossero miei studenti, ma mi sono accorto che non li conoscevo. Comunque, abbiamo iniziato a parlare del più e del meno, finché uno dei ragazzi mi fa: «cosa ne pensi del duce?». A quel punto ho cercato di improvvisare una piccola lezione di storia, ripercorrendo alcuni fatti del ventennio per mettere in luce la negatività totale del fascismo. Uno dei ragazzi però interviene, con la classica frase «secondo me ha fatto anche cose buone». Ho provato a spiegar loro, con calma, che non era vero, perché si trattava di un regime, un momento storico tragico in cui si predicava il razzismo, a partire dalle scuole, e chi non seguiva la dottrina di partito era arrestato, aggredito, ucciso. Il ragazzo non ha gradito le critiche al fascismo e ha iniziato a insultarmi, a rimproverarmi addirittura. Ho cercato di fargli capire che non era giusto reagire così, che non avevo attaccato lui ma avevo solo cercato di dialogare e fargli intendere come stavano veramente le cose, dal punto di vista storico, e per tutta risposta mi ha preso a pugni in faccia. Dopo, lui e il resto del gruppo sono scappati.

Perciò erano ragazzi legati all’istituto dove insegni, perché ti conoscevano?
Probabilmente, o forse avevano amici nel mio istituto.
Però non erano tuoi studenti, passati o presenti?
No, questo no. Avevano diciotto o vent’anni, ancora studenti ma non miei. Però non ho ben capito come facessero a sapere chi fossi. Non mi risultano iscritti all’Antonietti, ma può darsi avessero qualche amico nel mio istituto, qualcuno che gli ha detto che ero un professore antifascista e da lì è partito tutto.
È stata fatta una denuncia. I ragazzi autori dell’aggressione sono stati identificati?
Sì, è stato scoperto chi è stato colpirmi ma non ho al momento un riscontro puntuale. I carabinieri non mi hanno ancora avvisato sull’evolversi della vicenda e sui passi successivi.

Sei professore di discipline tecniche, giusto?
Sì, esatto.
Spesso c’è disinteresse da parte dei docenti di materie non umanistiche nei confronti dell’Educazione civica. Sei stato aggredito per quella che è a tutti gli effetti una lezione di Storia e di Educazione civica portata fuori dall’aula, verso la realtà, qual è la tua impressione?
Di sicuro l’insegnamento dell’Educazione civica potrebbe incidere molto nell’evitare fenomeni di questo tipo, e altri analoghi di cui si sente parlare negli ultimi periodi. E naturalmente tutti dovrebbero farsene carico. Al di là delle singole discipline, e dunque dei singoli percorsi di studio, tutti noi docenti dovremmo prepararci ed essere in grado di gestire l’argomento, perché su questo si deve concentrare l’Educazione civica. Non può trattarsi di una parte della formazione relegata solo alle ore di materie umanistiche, proprio perché è una parte fondamentale del nostro vivere sociale, insomma un’educazione alla Costituzione.
Cosa pensi delle nuove linee guida per l’Educazione civica, in cui invece che concentrarsi su Costituzione, diritti, valori, storia e cittadinanza, si dà spazio a spirito d’impresa, profitto, proprietà privata?
Mi sembra un grosso passo indietro. Noi abbiamo bisogno di persone che sappiano vivere come cittadini, non come macchine per far soldi, non come consumatori, e non come attrezzi da usare in fabbrica, per assecondare le filiere produttive. La “cultura” del profitto non porta a niente, solo a spostare l’attenzione da beni e servizi che usiamo al denaro che qualcuno pensa di poter fare, mentre il denaro dovrebbe esser visto solo come un mezzo, e lo stiamo trasformando in un fine, e trasmettiamo anche ai ragazzi questa lezione sbagliatissima.

Invece, all’interno delle aule, cosa ti è capitato di vedere? Anche atteggiamenti che fanno il paio con questo sfociare nella violenza?
Mi è capitato di vedere più volte qualche braccio alzato e di sentire battute, come il classico «Mussolini ha fatto anche cose buone». Il punto è che questi studenti non sono preparati, si nutrono di slogan. Si vede veramente tanta immaturità, nonostante il grado scolastico vorrebbe già qualcosa di diverso da parte loro. Oggi molti ragazzi non sono arrivati al punto di poter scegliere con consapevolezza e conoscenza dei fatti e, trascinati da quello che hanno attorno, possono trovarsi a sostenere cose sbagliate senza avere al riguardo la minima capacità di giudizio.

Inconsapevolezza insomma, che galoppa fra i giovani, ma non è assente nemmeno nei piani alti della società. Forse il punto è proprio quello che dicevamo prima: la centralità dell’Educazione civica su questi argomenti, aldilà di tante aggiunte prodotte dalle nuove linee guida.
Svalutando certe materie, o anche tutte, i ragazzi sembrano non essere più in grado di elaborare convinzioni ragionate, perché non hanno gli strumenti adeguati e li rifiutano quando si cerca di trasmetterli loro. E così non capiscono bene il senso di ciò che accade: vedono questa figura, Mussolini, di cui si continua a parlare, in molti casi senza chiarezza, e poi vedono foto con gente che alza il braccio, e vengono trascinati da questo contesto, senza realizzare nemmeno cosa fanno. Di base i ragazzi hanno idee confuse, e su quelle si poggiano. Non si tratta di veri schieramenti politici, giusti o sbagliati, ma di abitudini, mode indotte da quello che hanno attorno. È un’assimilazione banalizzata della storia, diventa quasi un gioco, purtroppo, e non ne comprendono i rischi. Il nostro obiettivo deve essere quello di far passare l’idea che si tratta di qualcosa di molto serio.
Pensi che parole chiare e definitive sul tema da parte della politica tutta aiuterebbero?
Serve sicuramente più chiarezza di quella dimostrata fino a ora. Ma forse ai giovani serve un modello del tutto nuovo, qualcosa o qualcuno che li ispiri e riesca ad allontanarli dal nostro tremendo passato. La politica al momento non sembra in grado di offrire questo.

Partendo dalla tua esperienza, in classe prima di tutto e poi nel caso specifico dell’aggressione, quale è lo sguardo sulla situazione generale? Davanti alle criticità della scuola, alla violenza sempre più diffusa, di cui giovani sono spesso protagonisti fuori e dentro le aule scolastiche come la cronaca ci ricorda quasi ogni giorno, e a cui anche gli altri ragazzi sono esposti.
I giovani sembrano non comprendere che, nel piccolo e nel grande, ogni loro azione ha delle conseguenze. E poi, i modelli assunti contano molto di sicuro, anche quelli storici. Bisogna spiegare i fatti del ventennio il prima possibile. E bisogna anche porsi il problema delle testimonianze dirette, che col passare degli anni vengono meno, e però incidono molto sui giovani, hanno un impatto maggiore. Bisogna preservare le testimonianze, anche grazie a video e altri strumenti, e avvicinare i ragazzi all’argomento in un modo che li coinvolga di più. Ci sarà sempre più questo problema, delle testimonianze che spariscono, e se oggi che è ancora possibile non riusciamo a sensibilizzare i ragazzi c’è il rischio di perdere una generazione. Se è un parente a dirti quello che è successo, ha un peso più forte, mentre un estraneo in video che dice qualcosa, si può sempre pensare che sia solo un’opinione. Occorre forse lavorare in questo senso. E poi, l’Educazione civica è il punto: deve esser vista come formazione della persona, del cittadino, e non come una serie di attività sconnesse dalla cittadinanza attiva, fatte per aver dei voti da mettere, riempire dei buchi nel registro. Si tratta di formazione delle persone, per il loro stare in società in modo consapevole.

Cosa pensi delle proposte recenti su nuove norme repressive da applicare anche nei casi di violenza a scuola? Serve assolutamente intervenire, perché il fenomeno è sempre più diffuso, ma la repressione è la strada o serve un nuovo modello educativo?
Sono due strade entrambe utili, però solo se interagiscono. Dobbiamo tutelare le vittime delle violenze, dentro e fuori dalla scuola, intervenire e sanzionare i comportamenti sbagliati. Ma solo questo non basta. Un modello educativo più attento è ciò che serve per riportare i casi critici ad atteggiamenti adatti al vivere sociale e civile.
Dopo questo evento traumatico, è cambiata la tua esperienza della vita scolastica, il tuo rapporto coi ragazzi?
Naturalmente i primi giorni ci sono stati attimi di diffidenza generale, ma poi nel concreto ho cercato di recuperare il normale ritmo.
Ci sono state critiche, attacchi verbali da qualcuno nei tuoi confronti, o hai visto solidarietà?
Da parte della comunità scuola, e dei colleghi professori, ho ricevuto molta solidarietà. Per quanto riguarda i miei studenti, hanno espresso dispiacere per l’accaduto, ma non hanno ancora ben capito quanto è realmente successo, proprio perché, come dicevo prima, c’è molta immaturità diffusa nella società e anche per questo fanno fatica a capire bene cosa sta succedendo nel mondo intorno a loro.
Pubblicato martedì 4 Marzo 2025
Stampato il 09/03/2025 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/servizi/se-educazione-civica-e-storia-sono-pericolose-a-scuola/