Impantanatasi l’autonomia differenziata regionale mentre la proposta di premierato segna il passo, sembra che le aspettative circa le grandi riforme istituzionali da tempo annunciate dall’attuale maggioranza di governo siano ridotte a puntare sulla residua riforma dell’ordine giudiziario. Separando la magistratura, terzo ma non ultimo potere dello Stato, tra parte requirente (quella che si identifica nell’ufficio del Pubblico Ministero) e parte giudicante (quella che definisce le controversie penali, ma anche quelle civili, con le sentenze).
L’attuale ordinamento della giustizia già attualmente traccia ben definite distinzioni tra Magistratura giudicante e Pubblici Ministeri con precise norme, sia processuali che ordinamentali, cioè relative alle rispettive carriere professionali. Ma l’opinione politica di chi oggi guida il Paese ritiene che tale distinzione debba divenire ancor più netta, e così definitiva, introducendola nella Costituzione della Repubblica e cioè nella legge fondamentale che regola la vita dello Stato e della comunità dei cittadini. Apparentemente, tale modificazione del nostro ordinamento giuridico e costituzionale sembrerebbe un fatto poco rilevante, e quasi naturale, dal momento che le leggi vigenti distinguono bene il ruolo e l’attività di chi accusa da quello di chi deve giudicare. Ma sembra che ciò non basti. Certamente nell’immaginario collettivo, e nella comune percezione, si coglie un senso di forte avversione per chi riveste il ruolo di accusatore, mentre vi è maggiore serenità (dico maggiore, ma non totale) nei confronti di chi deve dare fondamento all’accusa o disattenderla.
Si dice comunemente “il PM vuole la condanna, il Giudice può assolvere, e perciò si può avere più fiducia nei confronti di quest’ultimo”. Ma, se si considera meglio la situazione si può scoprire che non è così. Si deve infatti sapere che la legge (che più frequentemente è il codice penale, ma può essere anche il codice civile) è unica per tutti, e che tutti i magistrati, Pubblici Ministeri e Giudicanti, devono applicare quella unica normativa, con la maggiore uniformità possibile di criteri interpretativi, perché la norma giuridica è quella per tutti.
La prima conseguenza da trarne è la seguente: se un fatto è commesso o meno in violazione della legge, esso può essere valutato da entrambi i ruoli magistratizi. Si ripete, con i medesimi criteri interpretativi, e dunque anche il PM può valutare, perfino di primo acchito, se si tratti di un fatto illecito da perseguire oppure no; in tale secondo caso pronuncerà lui stesso un provvedimento di archiviazione e tutto si chiuderà senza conseguenze. Ciò accade spessissimo, in quanto le archiviazioni di procedimenti aperti, disposte dai PM, sono già numerosissime. Senonché la nostra Costituzione prescrive, a differenza di altri ordinamenti giuridici, che l’azione penale sia obbligatoria, e cioè che il PM, una volta acquisita una presunta notizia di reato, debba necessariamente procedere alle indagini, per accertarne il fondamento.
Dunque il dovere del rappresentante dell’accusa è quello di approfondire i fatti da accertare tramite indagini svolte alla Polizia Giudiziaria, quale organo ausiliario del magistrato, per esaminare se sottoporre i presunti ed eventuali responsabili a un processo. E ciò perché non è scontato che per ogni indagine aperta vi sarà un processo; esistono infatti precise norme e regole che guidano il magistrato nella decisione di aprire un processo (si badi bene, le indagini preliminari non sono il processo) contro coloro che si ritengono responsabili ma che, fino a prova contraria, si devono presumere innocenti. Ora, tali attività, come si può ben rilevare, è assai difficile e delicata; è perciò interesse del cittadino sottoposto a indagine che questa si svolga sotto la direzione di un magistrato che, pur approfondendo e indagando, non deve perdere di vista quei criteri che sono quelli stessi del giudice che eventualmente dovrà valutare la responsabilità di colui, o di coloro, che verranno, nel caso, rinviati a giudizio.
Dunque, se l’indagine di norma avviene osservando da parte del PM gli stessi principi e regole che incombono al giudicante, il cittadino sotto indagine potrà contare sul rispetto, da parte di chi lo accusa, delle regole che lo garantiscono nel corso del giudizio. Viceversa, qualora i magistrati vengano separati rispetto al loro ruolo e funzione, le cose non starebbero più così. Qualora il Pubblico Ministero avesse un riferimento diverso rispetto al sistema Giustizia, dovrebbe anche muoversi in una diversa logica e con altra prospettiva. Ma quale potrà essere il ruolo e l’indirizzo della Magistratura requirente una volta che essa venga definitivamente separata dal corpo dei magistrati giudicanti? Certamente si accentuerà il suo ruolo accusatorio e repressivo, atteso che verrà meno ogni sintonia e unità di intenti con l’altro corpo di magistrati, visto che i rispettivi corpi saranno separati e del tutto autonomi fra loro.
In altri termini, là dove il compito comune della Magistratura nel suo complesso è quello di fare giustizia (perseguendo o prosciogliendo con spirito imparziale) ma sempre applicando la legge in riferimento al proprio ruolo, con la comune finalità di punire i responsabili o di assolvere chi responsabile non è, invece a seguito di tale riforma il PM si troverà nella posizione di chi deve necessariamente conseguire la condanna dell’inquisito, perché in caso contrario vedrebbe frustrata la sua funzione accusatoria. Cioè si avrebbe una più forte contraddizione, sino a oggi gestita con sostanziale equilibrio, tra magistrati che debbono svolgere il loro ruolo di pubblici accusatori, peraltro tenuti a esercitare obbligatoriamente l’azione penale, e magistrati che debbono sanzionare gli imputati solo in presenza di prove o indizi che non lasciano spazio a dubbi o perplessità, stante la presunzione di innocenza del cittadino perseguito.
Sarebbe quindi un dovere, quasi imprescindibile, del PM perseguire a ogni costo la condanna dell’imputato, e ciò trasformerebbe il compito di applicazione della legge, affidato a tale parte della Magistratura, in un ruolo pienamente repressivo. Inoltre il PM, nello svolgere le proprie funzioni, avrebbe come unico riferimento gli apparati dello Stato che, pur essendo al servizio del Magistrato inquirente, sono anche dipendenti del potere esecutivo dello Stato. Per dirla con altre parole, modificando il ruolo del magistrato così come è oggi, e, cioè di promotore della Giustizia, che può anche prosciogliere o assolvere sin dalle fasi iniziali del procedimento, si accentuerebbe maggiormente il ruolo repressivo di una parte della Magistratura con un maggiore peso sull’attività del PM del ruolo di quei corpi amministrativi che comunque dipendono dalla politica. Cioè in definitiva si accentuerebbe maggiormente la dipendenza dalla Politica del Pubblico Ministero.
E ciò altro non è che l’obiettivo dei regimi illiberali e repressivi, che da sempre aspirano ad assoggettare a sé quei poteri pubblici che hanno la potestà di promuovere l’azione penale, in modo da non più sottostare alle leggi dello Stato. Ma così, si stravolgerebbe quello che è il principio fondamentale dello Stato di diritto. Sì, perché il nostro impianto costituzionale, che si fonda sulla sottoposizione alla legge di tutti i cittadini, ivi comprese tutte le cariche istituzionali, dal Presidente della Repubblica all’ultimo consigliere comunale, debbano sottostare alle leggi dello Stato, che peraltro sono emanate da un organo elettivo, rappresentativo dei cittadini, cioè il Parlamento.
Nell’ipotesi di un rappresentate politico, facente parte di un ente istituzionale, che venisse perseguito dalla giustizia, avere un Pubblico Ministero (che è per legge il promotore dell’azione penale – cioè del processo) autonomo dal corpo dei magistrati e più direttamente collegato a organi amministrativi (per esempio Polizia e Carabinieri), farebbe sì che tale parte processuale si sentisse in qualche modo parte del potere politico, atteso che il potere esecutivo – e cioè quello amministrativo – è identificabile proprio con la politica, in quanto diretto dalla stessa. Quale garanzia di imparzialità avremmo, a questo punto? Ma, in fin dei conti, tutto ciò converrebbe sia a coloro che rivestono cariche politiche sia ai cittadini comuni?
Nel primo caso la risposta è positiva, perché si potrebbe contare su una diversa visione delle cose, cioè il PM avrebbe riguardi, e certamente maggiori cautele, nel perseguire un soggetto politico, con le cui articolazioni deve necessariamente collaborare, mentre ciò non converrebbe per chi non ha agganci e contiguità con il mondo della politica. Si avrebbe dunque meno riguardo nei confronti di chi non ha quei rapporti o quella posizione. Ma, indipendentemente da quanto sopra, la domanda che si deve porre è la seguente. Da un Pubblico Ministero che ha l’obbligo istituzionale permanente di perseguire violazioni della legge, essendo ormai sganciato e reso autonomo da ogni rapporto con la Magistratura giudicante, cosa ci si può aspettare?
Non sarà più un unico corpo magistratizio (quindi Giudici e PM) ad agire nell’interesse della Giustizia, che può anche prosciogliere o assolvere, ma vi sarà un corpo di Magistratura che cercherà di perseguire l’accusa con tutti i mezzi possibili, a fronte di un corpo giudicante che dovrà valutare le prove offerte dall’accusa. In altri termini, si accentuerà il ruolo persecutorio del PM, perché la sua attività si concentrerà sul dare fondamento all’azione penale promossa, non più in sintonia con il giudicante, ma in necessario contrasto con lo stesso. Perciò, non più PM e Giudici per la Giustizia, ma PM solo per l’accusa. In tutto ciò vi sarà maggiore giustizia, vi saranno maggiori garanzie per i cittadini di avere un giudizio equo e sereno? Pur non dubitando della buona fede di alcuno, e tanto più dei PM che dovranno operare in tale nuova situazione, va rilevato che il nuovo quadro istituzionale non si prospetta favorevolmente per i cittadini del Paese che si troveranno di fronte a una situazione in cui ci saranno solo i giudicanti, peraltro indeboliti nel numero e nel peso istituzionale, a garantire la corretta applicazione della legge perché il Pubblico Ministero, anche il più equilibrato, non sarà più in grado di farlo.
Pietro Garbarino, avvocato cassazionista, iscritto Anpi, sezione Caduti di Piazza Rovetta, socio di Libertà e Giustizia, legale di parte civile nei processi celebrati per la strage di Brescia, e autore con Saverio Ferrari del libro “Piazza della Loggia cinquant’anni dopo”
Pubblicato giovedì 9 Gennaio 2025
Stampato il 10/01/2025 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/servizi/riforma-della-magistratura-se-la-politica-separa-et-impera/