Un clima intollerante si respira in Polonia. Nella ricorrenza dell’indipendenza nazionale, raggiunta sul finire della Prima guerra mondiale, oltre 60mila polacchi hanno marciato a Varsavia l’11 novembre scorso. Questa volta, tuttavia, la partecipazione è stata decisamente alta. La maggior parte dei partecipanti erano giovani che hanno sfilato insieme alla “Falange nazional-radicale” (ONR), un movimento che si considera ideologicamente il discendente dell’omonimo partito polacco esistito tra le due guerre, notoriamente nazionalista e avverso alla democrazia parlamentare. Centrato sull’integralismo cattolico, derivato dal falangismo spagnolo, questo partito sosteneva una politica di forte antisemitismo in un paese che rispetto ad altri del continente europeo ospitava la maggior percentuale di ebrei. “Dio, onore, patria, famiglia e tradizione”, sono i valori professati dall’odierno ONR, i cui militanti si autodefiniscono “nazionalisti del XXI secolo, impegnati nel rilancio dei valori nazionali e cattolici”.
Avvolta da fumogeni rossi, la marcia patriottica, che ha attratto militanti di estrema destra provenienti da tutta Europa, ha gridato slogan e mostrato cartelli con scritto: “Dio, Onore, Patria”, “Gloria ai nostri eroi”, “Polonia pura, Polonia bianca”, “Fuori i rifugiati” e “Vogliamo Dio”. L’umore del corteo manifestava apertamente uno sdoganamento delle idee portate avanti dalla destra radicale, proprio nella Polonia che con l’aggressione nazista fu tra le vittime più colpite dal nazifascismo. Eppure il governo del partito “Diritto e Giustizia”, il cui leader è Jaroslaw Kaczynski, non ha preso le distanze da questa “marcia nera”. Anzi, il ministro dell’Interno, Mariusz Baszczak, ha commentato l’evento affermando che è stato un “bel colpo d’occhio”.
Il caso polacco è assai delicato. Siamo in presenza di un governo nazionalista, che ha di recente adottato politiche che hanno messo in discussione lo stato di diritto: dalle leggi contro la libertà di stampa a quelle che pongono sotto il controllo dell’esecutivo organi giudiziari importanti come il Tribunale costituzionale, i tribunali ordinari e la magistratura, sino all’indizione prevista per il 2018 di un referendum nazionale che si dovrà pronunciare sulle modifiche costituzionali proposte dall’esecutivo per ridisegnare la Carta costituzionale in senso conservatore e presidenzialista. È un quadro inquietante, che suscita anche sgomento, se si pensa che due settimane dopo la “marcia dei 60mila”, si è svolta a Katowice, importante città della regione storica della Slesia, non lontana da Cracovia, una manifestazione della destra radicale (ONR), in cui sono state esposte, ai piedi di un monumento ai caduti, delle forche con le foto di sei eurodeputati dell’opposizione liberale centrista “Piattaforma Civica (PO), colpevoli di aver votato a favore della risoluzione, con cui il parlamento dell’UE ha aperto una procedura d’infrazione contro il governo di Varsavia per il mancato rispetto dello stato di diritto. La polizia, che era presente, non è intervenuta. I sei eurodeputati erano già stati criticati sia dalla premier, Beata Szydlo, sia dal presidente della Repubblica, Andrzej Duda, entrambi esponenti del partito di destra (PiS).
La Polonia è sempre più stretta nella morsa di un’ideologia populista di destra, che si è nel tempo annidata a livello statale e istituzionale. L’agenda della forza politica attualmente al governo (“Diritto e Giustizia”) s’ispira a un conservatorismo e nazionalismo radicali, utilizzati come strumenti di costruzione del consenso popolare. Un ruolo importante verso questa deriva lo ha giocato l’insofferenza economica e sociale, a cui il precedente esecutivo guidato da PO non è stato in grado di rispondere adeguatamente. La disoccupazione giovanile, l’aumento di contratti di prestazione occasionale, lo stato di abbandono delle periferie, la corruzione nelle istituzioni, la criminalità, gli scandali, che hanno investito la stessa “Piattaforma Civica”, sono temi che PiS ha evidenziato nel corso delle campagne elettorali di maggio e ottobre 2015. In più, l’alto tasso di crescita economica del paese non è stato affiancato da un’equa distribuzione della ricchezza prodotta, garantendo grandi profitti per le imprese e mantenendo bassi i salari dei ceti più deboli. A tutto ciò si è accompagnata una spesa esigua per la protezione sociale. Dopo otto anni di un governo accusato di aver perso il contatto con i figli della Polonia, “Diritto e Giustizia” si è guadagnato il consenso popolare attraverso un programma politico basato su misure di social welfare, ricette identitarie nazionaliste e “ripolonizzazione” dei settori chiave dell’economia (per esempio, l’acquisto da UniCredit Banca di oltre il 40% delle azioni della Bank Pekao; il rilancio dell’industria polacca con l’incremento delle riserve nazionali di carbone). Risentimenti anti-élite hanno fatto la loro parte: più volte, il governo di PO è stato accusato di non essersi preoccupato dei diritti dei cittadini, ma solo dei diritti del settore bancario e delle lobby aziendali, perseguendo, in questo modo, una politica pragmatica di adattamento all’UE. Una delle misure di PiS assunta dopo la vittoria elettorale del 2015 è stata l’applicazione di una tassa speciale sulla grande distribuzione straniera, sulle banche e le transazioni finanziarie. Oggi, la Polonia è un paese spaccato in due: “Diritto e Giustizia” piace agli agricoltori, minatori, operai, studenti, disoccupati e pensionati, mentre “Piattaforma Civica” attira le simpatie della borghesia imprenditoriale e del ceto medio concentrato nelle metropoli.
Il dilagante successo nazionalista è dovuto anche alla perdita di fiducia nei confronti delle istituzioni europee impegnate, secondo la propaganda populista delle destre, a trasformare l’UE in uno spazio da mettere a disposizione di scafati plutocrati, il cui unico interesse è realizzare profitti, aggirando il potere dei governi nazionali. Inoltre, l’intolleranza nell’accettare il sistema di quote per l’accoglienza dei profughi evidenzia come le direttive europee siano percepite come un’intromissione nelle questioni politiche interne e un mancato rispetto delle sovranità nazionali. Il governo polacco si è pronunciato più volte contro le élite europee, che stanno cercando d’imporre quote di migranti alla Polonia entro il piano UE di ricollocamento dei profughi dall’Italia e dalla Grecia, mettendo a serio rischio la sicurezza di popoli e nazioni. La Polonia non ospita praticamente nessun migrante nordafricano o arabo, soltanto un milione di migranti economici ucraini, che sopperiscono alla mancanza di mano d’opera nei settori dell’edilizia e agricoltura. Il rigetto è verso i migranti di culture e religioni diverse, considerati una minaccia diretta alla sicurezza e integrità nazionale. “Migranti musulmani vuol dire taglio di radici secolari”, “L’Islam ci porta il terrorismo”, “La cultura cristiana è superiore a quella musulmana” sono stati gli slogan scanditi nel corso di una gigantesca mobilitazione di polacchi ai confini del paese, che con il rosario in mano hanno pregato perché l’Europa non rinneghi, anzi riscopra, le sue radici cristiane. Simbolica la data scelta per la mobilitazione organizzata dalla Conferenza episcopale polacca e da Radio Maryja (l’emittente radiofonica cattolica), con l’appoggio del governo: 7 ottobre, giorno della Beata Vergine del Rosario, ma soprattutto anniversario della battaglia di Lepanto, che nel 1571 aveva bloccato l’avanzata in mare degli ottomani in Occidente, proprio grazie alla recita di tanti Rosari chiesta da San Pio V.
Lo spirito anti-migranti si accompagna a un montante sentimento anti-tedesco. La politica sull’immigrazione adottata a suo tempo dalla cancelliera Merkel è considerata catastrofica. Nello stesso tempo, la Germania, imponendo ai paesi UE una politica di apertura verso i profughi, si comporta allo stesso modo della Russia, quando era paese leader dell’URSS. È dovere della Polonia contrastare la “sovietizzazione” della comunità europea. Inoltre, l’11 novembre scorso, riaprendo una vecchia polemica del 2007, Jaroslaw Kaczynski, in occasione della celebrazione dell’anniversario dell’indipendenza a Cracovia, ha auspicato “una Polonia davvero indipendente”, definendo “questione d’onore” chiedere ulteriori riparazioni di guerra alla Germania.
Il rigurgito nazionalista polacco è una forte reazione al processo di soffocamento dell’identità nazionale subito nel corso dei secoli, eccetto il periodo tra le due guerre, quando la Polonia rinacque come stato libero e indipendente. Un periodo, nel quale, come accadde nel resto dell’Est Europa, lo sviluppo dei nuovi Stati partoriti dal crollo dei vecchi Imperi e le violente tensioni sociali scaturite dalle crisi economiche degli anni ’20 e ’30 spinsero la neonata Polonia, incentrata su forti partiti cattolici e agrario-conservatori, verso svolte autoritarie e parafasciste imbevute di nazionalismo etnico. In seguito, nel corso dell’ultima guerra mondiale, il paese cadde sotto il giogo della Germania nazista per finire poi, una volta terminata la guerra, in cattività sovietica.
Il nazionalismo polacco è caratterizzato da un connubio di vecchie rivendicazioni storiche e di forti legami con la Chiesa cattolica. Il cattolicesimo è il suo elemento cardine, quello che ha tenuto la Polonia “viva” anche nei lunghi secoli di vessazione e occupazione straniera. Alcuni settori della Chiesa episcopale polacca sono animati da fondamentalismo cattolico. Il 19 novembre 2016 la Chiesa polacca ha incoronato a Cracovia Gesù Cristo come re della Polonia alla presenza del presidente Andrzej Duda e di alcuni ministri, in una parata di abiti tradizionali e croci. Il governo di PiS coltiva revanscismo e narrazioni storiche cariche di vittimismo e innocenza. Il caso del progetto del museo di Danzica lo dimostra. La sezione dell’Olocausto, che voleva mostrare anche il lato oscuro dei polacchi, quello di carnefici oltre che di vittime, è stata eliminata dal progetto. Alfieri del martirologio nazionale, i rappresentanti di PiS considerano con vocazione messianica il proprio paese come l’unico in grado di redimere quest’Europa dal dilagante individualismo laico, secolare e relativista.
L’estrema destra si caratterizza per un antisemitismo di matrice cattolica. Fatto ancor più grave è che lo stesso PiS si è alleato in passato con forze politiche antisemite, vicine ad ambienti nazifascisti, come la “Lega delle famiglie polacche”. Ancora oggi, circolano preoccupazioni intorno alla figura dell’attuale ministro della Difesa, Antoni Macierewicz. Nel 1996 il giornale “Głos” ha pubblicato dozzine di testi antisemiti, alcuni dei quali firmati dallo stesso Macierewicz. Era il 50 anniversario del pogrom di Kielce del 1946, in cui alcuni polacchi hanno crudelmente ammazzato molti ebrei sopravvissuti all’Olocausto. La rivista di Macierewicz negava la responsabilità dei polacchi in questo massacro.
La Polonia sembra, in definitiva, incapace di allontanarsi da un passato che la vincola a una visione totalitaria del mondo, mettendo in luce la mancata interiorizzazione dei valori e dei sistemi democratici su cui poggia l’UE. Forse dopo secoli di soggezione non ha ancora avuto il tempo di sviluppare gli anticorpi necessari per contrastare forme d’intolleranza. Qualche debole segnale in controtendenza sta arrivando. La nascita del KOD (Comitato per la Difesa della Democrazia) è un fatto positivo. Questo movimento nato dal basso ha guidato la contromanifestazione dell’11 novembre, i cui partecipanti hanno denunciato il pericolo fascista. Bassa, tuttavia, è stata la partecipazione di questi gruppi democratici (circa 2mila) rispetto all’imponente “marcia nera”.
Cristina Carpinelli, membro Comitato Scientifico del CeSPI (Centro Studi Problemi Internazionali) di Milano per i paesi CEE
Pubblicato mercoledì 13 Dicembre 2017
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