In occasione del Giorno della Memoria, come ogni anno, vi sono state numerose iniziative per commemorare le vittime della Shoah e trasmettere alle nuove generazioni quanto accadde nella civilissima Europa circa 80 anni fa. A volte sembra che questa “memoria” abbia dei vuoti, delle lacune.
Quest’anno ho notato uno spot televisivo che, con lodevole intento, ricordava le tipologie di vittime del nazismo. Esso mostrava i triangoli di stoffa colorata con i quali erano contraddistinte nei campi di sterminio. Un triangolo giallo per gli ebrei, rosso per gli oppositori politici, marrone per i rom, rosa per gli omosessuali e via dicendo. Quando è stato mostrato il triangolo viola veniva riportata una generica didascalia “studiosi delle religioni”… Non è la prima volta che in tanti anni di ricerche sull’argomento mi imbatto in fuorvianti identificazioni dei “triangoli viola”. Ho visto e letto un po’ di tutto da parte di chi cercava di dare un titolo a questi perseguitati: “cultori della Bibbia”, “studiosi delle Scritture”, “religiosi”, etc. Purtroppo nessuna di queste identificazioni è corretta.
Il triangolo viola contrassegnava nei lager nazisti un gruppo di persone che erano perseguitate non a motivo della razza, nazionalità, ideologia politica o orientamento sessuale ma esclusivamente a causa della propria religione, si trattava dei Bibelforscher, i Testimoni di Geova. Come riferisce il sociologo Luigi Berzano: “Quanto ha colpito i Testimoni è stata e rimane una testimonianza unica, totalmente religiosa”.
È vero che ci furono altri religiosi perseguitati dai nazisti ma questi vennero rinchiusi nei campi di concentramento non perché cattolici o protestanti ma a motivo delle loro attività ritenute in contrasto con la politica nazista oppure a causa della loro razza. Si pensi per esempio al pastore evangelico Martin Niemoller e al sacerdote cattolico Massimiliano Kolbe; entrambi vennero imprigionati nei lager e classificati con il triangolo rosso che indicava gli oppositori politici. Oppure, alla monaca cattolica Edith Stein, deportata e uccisa ad Auschwitz a motivo delle sue origini ebraiche.
Per quale ragione il nazismo decise di perseguitare le poche decine di migliaia di Bibelforscher che vivevano nei Paesi sotto il suo controllo? A motivo delle proprie convinzioni religiose, i Testimoni rifiutavano di votare, fare il saluto nazista, lavorare per lo sforzo bellico e di prestare servizio militare. Nel 1933 Hitler promise che avrebbe sterminato la “genia” dei Testimoni dal Terzo Reich.
La persecuzione che dilagò all’indomani della sua ascesa al potere coinvolse uomini e donne, vecchi e bambini. A migliaia vennero arrestati e rinchiusi nelle prigioni o nei campi di concentramento. Centinaia di ragazzi furono espulsi dalle scuole e sottratti ai loro genitori per essere educati nell’ideologia nazista. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale la persecuzione si intensificò. I maltrattamenti e le vessazioni aumentarono provocando centinaia di vittime. Chi rifiutava di indossare la divisa veniva giustiziato.
Eppure essi avrebbero potuto sottrarsi a tutto questo. Furono gli unici ai quali i nazisti permettevano di tornare liberi se solo avessero sottoscritto un modulo con il quale rinnegavano la propria fede. Bastava una firma per sottrarsi alla persecuzione ma solo pochissimi decisero di abiurare. Non a caso essi vengono spesso definiti “martiri” e non semplicemente “vittime” del nazismo. Questo ha reso singolare la loro vicenda nella storia dell’Olocausto.
Da cosa dipendono, quindi, le lacune sulla loro storia durante il Giorno della Memoria? Le spiegazioni possibili sono varie. Si trattava di una minoranza che allora come oggi è spesso invisa a molti. La storiografia del nostro Paese si è basata per molto tempo sulle testimonianze dei deportati italiani che cominciarono a sperimentare la vita nei lager a partire dal 1943. In quel periodo i Testimoni sopravvissuti a 10 anni di persecuzione erano ridotti a un numero esiguo. A questo va aggiunto il fatto che la barriera linguistica permise a pochi italiani di conoscere chi erano i triangoli viola.
Non mancarono, però, delle eccezioni degne di nota. Vincenzo Pappalettera, scrittore ed ex deportato a Mauthausen scrisse: “È noto a tutti i deportati che i Testimoni di Geova erano affabili, buoni, onesti e che nessuno di loro si trasformò in kapò per sopravvivere”. E Francesco Albertini (1906-1996), senatore della Repubblica ed ex deportato nel lager di Gusen riportò: “Il loro comportamento nei confronti degli altri deportati è stato ineccepibile e nella maggior parte dei casi improntato ai princìpi della massima solidarietà, per cui si privavano magari del pane per darlo ad un altro”.
Si tratta perciò di una vicenda significativa che dovrebbe essere ricordata dovutamente non solo durante le celebrazioni per il Giorno della Memoria. A tal proposito Luca Ferraris, portavoce dei Testimoni di Geova per la Campania e il Molise, afferma: “Il modo in cui i Testimoni mantennero la loro fede mentre affrontavano le crudeltà quotidiane nei campi di sterminio è una parte poco conosciuta della storia dell’epoca nazista. Chiunque abbia forti convinzioni troverà avvincente la loro storia”.
Sotto questo aspetto i Testimoni si stanno dando da fare per ricordare i loro compagni di fede vittime del nazismo. Hanno recentemente reso disponibile il documentario relativo ai Kusserow, una famiglia tedesca di 13 persone tutte perseguitate, alcune fino alla morte, dal regime hitleriano. Inoltre, hanno pubblicato online un opuscolo intitolato ‘Triangoli viola: Le “vittime dimenticate” del regime nazista’.
L’opuscolo di 32 pagine è disponibile per il download gratuito sul loro sito ufficiale, jw.org, e contiene immagini e documenti tratti da una mostra itinerante, visitata in totale da 600.000 persone. I 50 pannelli tridimensionali sono stati esposti in diversi musei commemorativi di ex campi di concentramento e istituzioni scolastiche in tutta Europa.
Infine, il Museo della Casa dei Combattenti del Ghetto in Israele, il primo museo al mondo dedicato all’Olocausto, ospita attualmente una mostra interattiva che mette in evidenza la coraggiosa presa di posizione dei Testimoni di fronte alla persecuzione nazista. La mostra si intitola “Wedontdothat” (Noi questo non lo facciamo), espressione che si ispira al soprannome dato a Joachim Alfermann, un testimone di Geova perseguitato dai nazisti, che ripeteva loro la summenzionata frase ogni volta che le autorità tedesche gli chiedevano di indossare la divisa e imbracciare le armi o di svolgere un lavoro a sostegno dello sforzo bellico.
Un’esposizione che cade in un drammatico periodo ma vuol ricordare ai visitatori che, allora come oggi, i Testimoni, spinti dall’amore per il prossimo e per la pace, si oppongo ai conflitti che dilaniano il mondo, anche se questo può significare pagarne le conseguenze sulla propria pelle. La mostra è presentata in arabo, inglese ed ebraico e sarà aperta fino a settembre 2024.
È speranza di chi scrive che tutto questo possa servire a colmare le lacune del Giorno della Memoria.
Matteo Pierro
Pubblicato mercoledì 14 Febbraio 2024
Stampato il 21/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/servizi/quelle-lacune-del-giorno-della-memoria/