Le associazioni dei partigiani, degli ex internati militari e degli ex deportati nei lager nazisti hanno alle loro spalle ormai settant’anni di storia, quella dell’Italia repubblicana sorta sulle rovine del regime fascista: gli archivi prodotti in questi decenni da ANPI, ANEI e ANED avrebbero quindi molto da raccontare, se solo li si interrogasse. Ma esistono in Veneto? Che documenti conservano? In quali condizioni si trovano?
L’Iveser (Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea) lo scorso giugno mi ha incaricato di svolgere una ricerca da presentare al corso di formazione regionale per archivisti, previsto per ottobre, “Archivi resistenti: un patrimonio diffuso da conoscere, difendere e valorizzare”, organizzato dallo stesso Istituto e finanziato dalla Regione Veneto, incentrato sul tema degli archivi della Resistenza italiana. La ricerca avrebbe dovuto rendere conto dello stato di salute delle carte prodotte nel corso della loro storia da tre delle più importanti associazioni antifasciste nate durante o subito dopo il secondo conflitto mondiale, in Veneto: quella dei partigiani, quella degli ex internati militari e quella degli ex deportati.
Parlando di archivi, e di legislazione archivistica, per la natura stessa delle tre associazioni – “enti morali” riconosciuti, di diritto privato – si tratta di una zona incerta del mondo dei beni culturali perché protetta dal vigente Codice dei beni culturali (DL del 22 gennaio 2004, n. 42), ma, come per tutti gli archivi privati, solo nel caso di riconoscimento “di interesse storico particolarmente importante”, cioè solo in presenza di un apposito decreto delle autorità competenti in materia: Soprintendenza archivistica, o Regione, in base ad una legge specifica. In parole povere, prima di approfondire i singoli casi non era possibile dire quale situazione di conservazione aspettarsi.
Frutto di genesi e storie caratteristiche e peculiari, le situazioni delle tre associazioni appaiono sin da subito molto diverse l’una dall’altra: l’ANPI ben conosciuta ai più, ANEI e ANED apparentemente più silenziose ed elusive. Solo mettendo in fila i numeri di telefono delle persone da contattare per avvicinarle, ci si accorge che la presenza sul territorio di ciascuna delle tre, oggi, è estremamente diseguale: anche se il Veneto è, tra le grandi regioni “resistenti” del nord, quella che conta meno iscritti, l’ANPI appare piuttosto ben radicata e ramificata con un coordinamento regionale, sette comitati provinciali e decine di sezioni dipendenti da ognuno di questi; ANEI e ANED venete possono contare invece, rispettivamente, su due federazioni provinciali, quelle di Padova e di Vicenza, e su tre sezioni attive, quelle di Verona, di Schio (Vi) e di Monselice (Pd). Per quanto detto, mentre per ANEI e ANED è stato possibile tracciare un quadro di tutta la situazione archivistica esistente, per l’ANPI, per via della sua vastità e complessità organizzativa, l’esplorazione ha incluso le realtà apparse, di volta in volta, più interessanti.
Prima di verificare l’esistenza di archivi in loco, cercando appoggio e confronto nei sistemi informativi on line messi a punto dal Ministero per i beni e le attività culturali e dall’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione (INSMLI), è risultato che le carte prodotte dalle tre associazioni, o meglio dalle prime due – ANPI e ANEI –, sono conservate generalmente dagli istituti per la storia della Resistenza, molto numerosi nel nord Italia. Un esempio significativo: il Comitato provinciale di Bologna, produttore di uno dei complessi documentari ANPI più consistenti e meglio conservati in Italia, già nel lontano 1979 aveva affidato all’Istituto Ferruccio Parri – aderente alla rete dell’INSMLI – la quasi totalità delle carte dell’Associazione, tenendo per sé “solo” le serie delle fotografie (circa 12mila) e dei manifesti (circa 700). Il Veneto rispecchia bene questa situazione: i provinciali ANPI di Belluno e di Verona da tempo hanno ceduto i loro archivi, insieme all’onore/onere di conservarli e valorizzarli, ai rispettivi istituti storici di riferimento (Isbrec, Ivrr); così ha fatto, seppur solo in parte, il Comitato di Treviso con l’Istresco. Così hanno fatto le federazioni provinciali ANEI di Belluno e di Treviso prima del loro scioglimento definitivo. Conclusione: tutti quelli che mancavano all’appello o sono andati perduti per sempre o si trovano nei luoghi dove sono stati prodotti, cioè presso le sedi locali di ANPI, ANEI e ANED.
A chi vi si affaccia per la prima volta, il “paesaggio archivistico” offerto dall’ANPI in Veneto appare piuttosto variegato: dalla totale dispersione alla buona conservazione, cura e valorizzazione del patrimonio documentario posseduto con prevalenza per le zone intermedie della scala. Significative, purtroppo, le “occasioni perdute”, ovvero i casi più o meno accertati di scomparsa, probabilmente irrimediabile, delle carte. Sezioni importanti come quelle di Chioggia, Mira (Ve), Feltre (Bl), Bassano (Vi) e Montebelluna (Tv), stando a quanto comunicato dai responsabili contattati, non possiedono – non più, spesso – un archivio storico e le ragioni sono presumibilmente da attribuire all’incuria o alla scarsa sensibilità archivistica dimostrata dai funzionari del passato o, semplicemente, alla necessità di fare spazio nei locali della sede, oppure a tutte queste cose insieme, soprattutto se associate ai traslochi dalle vecchie alle nuove sedi, eventualità tutt’altro che rare nella storia di una sezione. Per la sezione di Feltre, ad esempio, l’archivio storico è stato disperso nel corso degli anni 80 quando, per usare le parole del presidente del Comitato di Belluno Giovanni Perenzin, “l’Associazione si riuniva di rado e le carte passavano da una mano all’altra”. Fatto, questo, che, se si può considerare significativo per quella fase particolare della storia dell’ANPI locale, tuttavia, salvo clamorosi ritrovamenti, priva per sempre gli studiosi della possibilità di guardare da una prospettiva unica la storia della città nel secondo ’900.
Un caso di dispersione documentaria parziale ma consistente è quello dell’archivio del Comitato provinciale di Venezia, caso triste se si considera che si tratta della provincia con più iscritti nella regione. Non esistono molte notizie sullo stato delle carte dell’archivio nel recente passato, ma quel che è certo è che, dopo il trasloco da Venezia centro storico a Mestre, conclusosi da pochi mesi, non rimangono che due schedari degli iscritti all’Associazione, pur significativi – uno della fine degli anni 40, l’altro degli anni 80 – e una decina di faldoni contenenti materiale congressuale dagli anni 70.
Come si intuisce, il problema della sede, cioè dello spazio da riservare alle carte, non è di poco conto per le sezioni, che per questo, come per altri aspetti amministrativo-gestionali, solitamente dipendono dalle amministrazioni comunali: se la vecchia sede per un motivo qualunque non può più essere disponibile, poter disporre in tempi rapidi di una nuova, adeguata, spesso può fare la differenza tra conservazione e dispersione dell’archivio. In Veneto, nel corso della ricognizione, si sono potuti verificare alcuni trasferimenti di sede conclusi da poco o in procinto di essere conclusi, con tutte le ricadute archivistiche del caso, negative ma anche positive. La sezione di Conegliano (Tv) trarrà certamente beneficio dal suo recente trasloco perché il presidente Marco Bavosi e il coordinatore Sergio De Conti hanno potuto riscoprire i documenti dell’archivio – si tratta di dieci scatoloni – che troveranno un’appropriata sistemazione nella nuova sede dell’Associazione. Fortuna, questa, di cui non può ancora godere la sezione mandamentale di Dolo (Ve), dotata di serie di fascicoli significative risalenti ai suoi primissimi mesi di vita al momento senza casa e ospitate, provvisoriamente, dal presidente Corrado Mion. Sfogliando questi fascicoli si scopre che le pratiche trattate dalle carte riguardano soprattutto l’attività di patronato prestato dall’Associazione ai partigiani bisognosi presso l’Ufficio del Ministero dell’assistenza post-bellica e presso la Commissione regionale di Padova per i riconoscimenti dei meriti conseguiti durante la Resistenza, ma anche l’attività di mediazione per il ritorno al lavoro degli iscritti, oltre alla contabilità e all’amministrazione interne. Nella sezione mandamentale di Vittorio Veneto (Tv), ospitata nel municipio della città, oltre alla corrispondenza si può trovare anche una piccola ma importante serie di fascicoli sulla SCAV, la locale cooperativa autotrasporti messa in piedi dai partigiani nel dopoguerra e controllata, finché è durata, dall’ANPI.
Tutto questo – solitamente in consistenze maggiori – ed altro ancora, si può ritrovare negli archivi storici dei Comitati provinciali che non hanno versato ad altri le loro carte. A Padova per esempio, in un armadio di legno, oltre alle serie dei vinili dei canti delle Resistenze europee e dei manifesti – circa 200 –, si possono rileggere la corrispondenza dell’Associazione con istituzioni, cittadine e non, a partire dal 1946, centinaia di fascicoli degli anni 50 con rapporti ed elenchi degli iscritti dalle sezioni della provincia, e pratiche di riconoscimento dei padovani inquadrati nelle formazioni partigiane operanti in Jugoslavia. Tra altro materiale sparso si trova anche un fascicolo corposo e interessante: “Attività Comitato antifascista unitario, 1969-74” dove è raccolta la corrispondenza con enti ed associazioni vari nonché i verbali delle riunioni del Comitato d’azione antifascista di Padova – cui aderiva anche l’ANPI – nei primi anni 70, ovvero nel periodo in cui la città si è scoperta una delle capitali del terrorismo italiano, nero e poi rosso.
Se a Conegliano, Dolo, Vittorio Veneto, Padova i volontari e i dirigenti dell’ANPI proprio in questi mesi stanno riscoprendo i patrimoni documentari ereditati, nei provinciali di Vicenza e Rovigo la situazione riscontrata è un poco differente perché da più tempo si sta cercando di individuare una strada per un’adeguata valorizzazione dei documenti conservati: a Vicenza, sede di un archivio consistente ed importante, il presidente Mario Faggion e il segretario Giorgio Fin hanno già redatto un elenco di consistenza analitico del materiale conservato in vista dell’elaborazione di un progetto di riordino e inventariazione che purtroppo, per mancanza dei finanziamenti necessari, non è ancora stato possibile avviare. A Rovigo, unica provincia veneta a non avere (più) un istituto per la storia della Resistenza, il Comitato provinciale dispone dell’archivio più consistente (circa 3,5 metri lineari) e meglio conservato tra quelli esplorati, risultato senza dubbio della particolare storia dell’ANPI locale che fino a pochi anni or sono sembrava attestata su posizioni politiche definibili come conservatrici e che hanno finito per favorire la conservazione, oltre che di una sede prestigiosa in pieno centro cittadino, anche delle carte prodotte lungo tutti i suoi settant’anni di vita. Buona parte della serie della corrispondenza ad esempio, risalente agli anni 50 e 60, è in perfetto ordine, come fosse stata appena aggregata, e i documenti qui conservati possono di certo aprire un ampio squarcio sulla storia della città – ma non solo – dal dopoguerra in avanti: l’Archivio di Stato di Rovigo, appunto in mancanza di un istituto specializzato, ne ha già riconosciuto il valore e proposto un recupero.
Ma non esistono solo occasioni perdute o temporaneamente non colte: un caso di valorizzazione felicemente compiuta si può trovare a Soave (Vr) dove la sezione “Augusto Tebaldi”, in collaborazione con il Comune, del proprio archivio storico ha appena terminato l’inventario – forse il modo più importante per valorizzare un complesso archivistico – e presto ne porterà a termine la pubblicazione on line.
Per l’ANPI, associazione tutto sommato in buona salute, da quanto si può vedere nelle sezioni visitate, lo stato delle cose è questo. Per ANEI e ANED invece un discorso sugli archivi si complicherebbe per via della precarietà della situazione presente: portato a termine il compito di assistenza a favore delle rispettive categorie di “resistenti”, poco a poco queste associazioni sembrano avvicinarsi, almeno in Veneto, al rischio di estinzione. Se l’ANED veronese conserva un importante e consistente archivio storico – mi riferisco in particolare ai fascicoli personali di ex deportati e familiari iscritti con dati preziosi sulla deportazione operata in Italia – già noto alla Regione Veneto e ben accudito da Alessia Bussola, l’unica archivista diplomata che ho incontrato nel mio girovagare tra le carte, anche le federazioni ANEI di Padova e Vicenza conservano ancora, nonostante tutto – anche un’esondazione nel caso di Vicenza – piccoli ma importanti fondi documentari: questi sembrerebbero avere le potenzialità per tornare a nuova vita. A Vicenza in particolare le carte dei fascicoli degli ex internati iscritti nelle varie sezioni comunali messi insieme nel dopoguerra sono utilissimi per poter iniziare a ricostruire il loro passato d’internamento, cosa richiesta sempre più frequentemente ai volontari dell’Associazione da figli e nipoti degli ex IMI vicentini.
Sono molte le conclusioni che si potrebbero trarre da questo pur breve resoconto. Qui posso solo dire che lungo la strada mi sono imbattuto in situazioni di conservazione e valorizzazione molto diverse l’una dall’altra, talvolta anche difficili e critiche, e che il primo passo da fare, soprattutto da parte dei volontari delle tre associazioni, è cercare nei propri armadi per riscoprire quanto al momento è dimenticato o trascurato, prima che il patrimonio documentario della memoria dell’antifascismo venga irrimediabilmente sommerso: in fondo solo se si conosce ciò che si ha lo si può preservare. In questo sento di poter essere ottimista, perché già lo si è cominciato a fare e sempre presenti ho trovato nelle persone coinvolte la sensibilità e la volontà di occuparsene al meglio delle possibilità offerte. È proprio quest’ultimo però il tasto più delicato e, se si vuole, dolente, ovvero la disponibilità di risorse economiche adeguate per elaborare e mettere in atto dei progetti di valorizzazione dei beni archivistici che permettano di renderli accessibili. Iniziative come il corso di formazione per archivisti “Archivi resistenti”, fortemente voluto dalla Sezione Beni culturali della Regione e che ha dato l’impulso alla mia ricerca, dimostrano di certo grande interesse da parte delle istituzioni preposte per sondare l’entità del patrimonio archivistico prodotto da e per la Resistenza veneta rimasto ancora “ai margini”: tale attenzione si è concretizzata nel recente passato con finanziamenti in favore di progetti di valorizzazione per singoli fondi archivistici prodotti dalle tre associazioni prese in considerazione, grazie ad una legge regionale studiata ad hoc. Purtroppo però già sul prossimo futuro pesanti incognite allungano, pericolosamente, le loro ombre: sono quelle alimentate dalla carenza di risorse da indirizzare all’ambito dei beni culturali che, oggi più di ieri, si profila all’orizzonte, i cui effetti negativi, anche per ANPI, ANEI e ANED, si potranno attenuare solo studiando strategie alternative di reperimento di fondi.
Alessandro Ruzzon, laureato in filologia a Padova e in seguito diplomato alla Scuola di archivistica, paleografia e diplomatica dell’Archivio di Stato di Venezia, da più di un anno collaboratore archivista dell’Istituto veneziano per la storia della Resistenza
Pubblicato mercoledì 23 Dicembre 2015
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