Alle 14.45 di domenica 30 gennaio 1972 un corteo di oltre 10.000 persone iniziò a marciare dal Creggan, un quartiere popolare quasi interamente nazionalista/cattolico, in direzione del centro di Derry. La manifestazione era stata organizzata dalla Nicra (l’associazione per i diritti civili nell’Irlanda del Nord) per protestare contro l’internamento senza processo di centinaia di cittadini iniziato l’estate precedente. Agli organizzatori era stato negato l’accesso al “Diamond”, la piazza centrale di Derry, e a difendere le mura seicentesche che cingono il centro storico era stato chiamato il I battaglione del Reggimento paracadutisti.
All’incrocio fra William Street e Rossville Street, ormai in vista delle barricate presidiate dall’esercito, gli organizzatori svoltarono a destra e diressero il corteo verso il “Free Derry Corner”, nel quartiere Bogside, dove si trova ancora oggi il celebre muro con la scritta You Are Now Entering Free Derry (“Stai entrando nella parte libera di Derry”). Lì era pronto il palco dove avrebbe dovuto tenersi il comizio conclusivo. Alcuni giovani, tuttavia, si diressero verso le barricate per lanciare sassi ai soldati che risposero con lacrimogeni, cannoni ad acqua e proiettili di gomma. Scene già viste che non preoccuparono più di tanto i presenti.
Alle 16.07 un gruppo di paracadutisti ricevette l’ordine di saltare le barricate e arrestare i facinorosi. Il comandante del battaglione, il tenente colonnello Derek Wilford, si spinse però oltre gli ordini ricevuti dal responsabile dell’operazione, che aveva disposto che fosse usata una sola compagnia ed espresso il divieto di inseguire i manifestanti nel Bogside. Il risultato fu una violenta caccia all’uomo da parte dei militi a piedi e blindati: la massa di manifestanti pacifici che aveva seguito le indicazioni degli organizzatori fu inesorabilmente investita. A metà di Rossville Street, da una barricata improvvisata alcuni manifestanti iniziarono a lanciare oggetti verso i soldati. Un gruppo di paracadutisti, dopo aver preso posizione dietro un muro a 70 metri dalla barricata, aprì il fuoco. Sei manifestanti vennero colpiti a morte: Willie Nash (19 anni), Kevin McElhinney (17), John Young (17), Michael Kelly (17), Hugh Gilmour (17) e Michael McDaid (20). Gilmour stava scappando; una foto scattata subito dopo lo sparo mostra chiaramente che non era armato. Nessuna delle vittime, d’altronde, lo era, come sapevano i testimoni presenti e come sarà chiarito dall’inchiesta Saville quasi 40 anni dopo. Young e McDaid furono colpiti in piena faccia mentre assistevano Nash, abbattuto poco prima.
In preda al panico, molti si rifugiarono nel cortile delle case popolari Rossville Flats, chiuso su tre lati da palazzoni di 9 piani, finendo in trappola. Furono infatti inseguiti dai soldati che continuavano a sparare. Jackie Duddy (17), che stava scappando insieme a padre Edward Daly, morì colpito alla schiena; altri sei manifestanti caddero feriti. Jim Wray (22), William McKinney (26), Gerry McKinney (35), Gerry Donaghy (17) e Patrick Doherty (31) furono uccisi poco distante. Doherty morì colpito alla schiena mentre, carponi, cercava di mettersi in salvo. Bernard McGuigan (41) fu ucciso da una pallottola alla nuca mentre sventolava un fazzoletto bianco: aveva lasciato il suo nascondiglio per soccorrere Doherty. John Johnston (59) era estraneo alla manifestazione; stava andando a casa di un amico. Ferito nelle prime fasi della mattanza, morirà quasi cinque mesi dopo.
Il tutto, incredibilmente, durò 10 minuti. I soldati spararono oltre 100 pallottole.
Un tragico precedente: il massacro di Ballymurphy
Poco più di 5 mesi prima, lo stesso battaglione del Reggimento paracadutisti era stato coinvolto nell’uccisione di 11 cittadini in un quartiere nazionalista/cattolico della periferia di Belfast, in un massacro passato quasi del tutto sotto silenzio. Diversamente da “Bloody Sunday”, a Ballymurphy le uccisioni si protrassero per ben 3 giorni, dalle prime ore del 9 agosto all’11 agosto 1971. Fra le vittime, di età variabile fra i 19 e i 49 anni, vi furono un prete cattolico, Hugh Mullan (38), abbattuto mentre attraversava un prato per prestare soccorso a uno dei primi feriti, e Joan Connolly (44), che dopo aver sentito gli spari era uscita di casa per cercare 2 dei suoi 8 figli.
Il massacro fu scatenato dall’introduzione dell’internamento senza processo deciso dal governo unionista di Belfast, con l’avallo di Londra, per cercare di fermare la guerriglia. Alle 4 del 9 agosto 1971 centinaia di soldati e agenti di polizia calarono su diversi quartieri popolari di Belfast, Derry e altri centri delle “sei contee”, abbattendo porte, strappando uomini dai letti e trascinandoli nei blindati fra le urla dei bambini. Molti dei fermati subirono maltrattamenti e vere e proprie torture. Questi primi 342 internati erano tutti, senza eccezione, cittadini nazionalisti, nonostante la campagna di violenza indiscriminata dei gruppi paramilitari unionisti/protestanti fosse in corso ormai da anni.
L’Esercito britannico si limitò a dire che, a Ballymurphy, i suoi soldati avevano risposto al fuoco dei “terroristi dell’IRA” e le indagini aperte sui singoli decessi non portarono a niente. Le famiglie dovettero aspettare 50 anni per vedere riconosciuta la verità: l’11 maggio 2021 fu pubblicato l’esito di un’inchiesta giudiziaria, durata 16 mesi, che chiarì al di là di ogni dubbio che nessuna delle vittime faceva parte di gruppi paramilitari, nessuna aveva un’arma con sé né rappresentava una minaccia per i militari al momento dell’uccisione.
Come è stato notato da più parti, se le autorità di Belfast e Londra avessero fatto luce sul massacro di Ballymurphy, probabilmente a Derry, il 30 gennaio 1972, le cose sarebbero andate molto diversamente.
Dalla campagna per i diritti civili alla “Domenica di sangue”
La Nicra era stata fondata nell’aprile 1967 per aggregare le iniziative per i diritti civili della minoranza nazionalista/cattolica che avevano preso le mosse nel 1963, ispirate dal movimento per i diritti dei cittadini neri degli Stati Uniti. I suoi attivisti chiedevano la fine delle discriminazioni nella partecipazione democratica a livello locale e nell’assegnazione degli alloggi popolari e degli impieghi del settore pubblico, la riforma della polizia e la revisione della legislazione sull’ordine pubblico, che suscitava addirittura l’invidia del governo di Pretoria (nel 1963 il Ministro della giustizia John Vorster, difendendo le sue politiche in Parlamento, disse che sarebbe stato disposto a rinunciare a tutte le leggi speciali del Sudafrica in cambio di “una sola clausola della Special Powers Act dell’Irlanda del Nord”).
In linea con le posizioni delle prime associazioni per i diritti civili, come la campagna per la giustizia sociale e quella per la democrazia nell’Ulster, la Nicra faceva appello all’intera popolazione nordirlandese e non metteva in discussione la posizione istituzionale dell’Irlanda del Nord, riconoscendo esplicitamente l’Unione con la Gran Bretagna. Per questo si guadagnò il sostegno, oltre che di ampie fasce della cittadinanza nazionalista/cattolica, anche di moltissimi cittadini unionisti che, oltre a riconoscere e condannare le discriminazioni, ritenevano che la loro fine avrebbe allontanato molti nazionalisti dal perseguire l’obiettivo di un’Irlanda unita.
Nel 1968 la Nicra incrementò le sue iniziative di disobbedienza civile, ad esempio le marce di protesta, i picchetti e le occupazioni di alloggi sfitti, ispirata da analoghe iniziative negli Stati Uniti e dall’attivismo dei movimenti giovanili nel resto d’Europa. Il 24 agosto 1968 l’Associazione organizzò la sua prima marcia, alla quale parteciparono circa 2500 persone che percorsero gli 8 chilometri fra le città di Coalisland e Dungannon. Il 5 ottobre dello stesso anno, a Derry, la marcia programmata per portare le istanze di rinnovamento nella città simbolo delle discriminazioni verso la minoranza nazionalista incontrò la risposta violenta della polizia. Le tensioni che crebbero per i primi sei mesi del 1969 esplosero in estate, con i pogrom contro la comunità nazionalista/cattolica a Belfast e la “battaglia del Bogside” a Derry che segnarono l’inizio dei cosiddetti “Troubles”. Con il dispiegamento dell’Esercito britannico e il successivo divampare del conflitto armato fra i soldati e l’Ira, i margini di azione della Nicra si fecero sempre più ridotti. La strage di domenica 30 gennaio 1972 ne decretò la fine. Oltre, ovviamente, a spingere frotte di giovani e giovanissimi nazionalisti ad arruolarsi nell’Ira.
Il Rapporto Saville
Per quasi 40 anni l’unica verità ufficiale sulla Domenica di sangue fu quella del Rapporto Widgery, pubblicato soltanto 11 settimane dopo la strage, che sostanzialmente esonerava l’Esercito britannico, accettando come valide le testimonianze dei soldati che dicevano di aver risposto al fuoco dei terroristi, e imputava la responsabilità della tragedia agli organizzatori del corteo.
Nel gennaio 1998 il governo britannico annunciò l’insediamento di una nuova commissione d’inchiesta su Bloody Sunday, che fu affidata a Lord Saville. La commissione fissò la propria sede a Derry e iniziò ad ascoltare i testimoni nel marzo 2000. Il lavoro proseguì per 5 anni: furono raccolti 160 volumi di prove documentali, 230 fra file audio e video e 2500 testimonianze. Furono ascoltati 610 soldati, 729 civili, 30 fra giornalisti e fotografi, 20 funzionari statali e 53 poliziotti. L’ultima audizione si tenne nel gennaio 2005.
Dopo anni di rinvii il Rapporto Saville fu pubblicato il 15 giugno 2010 e concluse, fra le altre cose, che: nessuna delle vittime era armata né rappresentava una minaccia per i militari; i paracadutisti aprirono il fuoco sui manifestanti senza preavviso; spararono contro persone in fuga e contro persone che stavano prestando soccorso ai feriti e in un caso colpirono, uccidendola, una persona già ferita. Il rapporto definì la strage “ingiustificata” e “ingiustificabile”.
Nessuno è mai stato processato per la strage di Derry.
Carlo Gianuzzi
Pubblicato domenica 30 Gennaio 2022
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