4 marzo 1948, Carlo Alberto firma lo Statuto che prenderà il suo nome

Questo articolo nasce da una conferenza che ho tenuto per l’Anpi di Porto Venere sul tema generale delle leggi del periodo fascista. Nel preparare la relazione ho scoperto una coincidenza di date che sembra il ripetersi del mito funesto dell’eterno ritorno di cui parla il filosofo Vico:

1848 Statuto albertino  — 1948 Costituzione
1922 Marcia su Roma  — 2022 vittoria della destra-destra
1914 Prima guerra mondiale —  2014 guerra in Ucraina
1920 Epidemia della Spagnola — 2020 Epidemia del Covid
1923 Dispensa dal servizio dei magistrati inabili o incapaci  — 2024 proposta leggi sulla separazione delle carriere dei magistrati e riforma del Csm.

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Schema dei potri secondo lo Statuto albertino

La legge 31.01.1926 n. 100 stabiliva la facoltà del potere esecutivo di emanare norme. Questa disposizione rappresenta il punto centrale dell’evoluzione del percorso totalitario del fascismo. L’articolo si propone di chiarire attraverso il pensiero dei giuristi del tempo quali erano gli obiettivi concreti della legge e come questa normativa sovvertì e tradì le regole sancite dallo Statuto albertino, che all’art. 3 attribuiva l’esercizio del potere legislativo collettivamente al Re, alla Camera dei deputati e al Senato.

Il Parlamento con Mussolini capo del governo

Con la nuova normativa il potere esecutivo acquistò la potestà di emanare norme giuridiche tramite decreti-legge immediatamente esecutivi. La conseguenza fu che il Consiglio dei ministri e il Capo del governo furono legittimati a esercitare anche il potere legislativo, svuotando il Parlamento della sua reale funzione. Senza mezzi termini un autorevole giurista del tempo [1] glossa che la funzione del parlamento [2] era stata di fatto ridotta a semplice luogo di riflessione e ratifica degli atti adottati dal potere esecutivo, perdendo la sua tradizionale funzione legislativa e di rappresentanza. Concetto che riassume significativamente nella formula «Tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato» [3]. Una definizione arbitraria, e sostanzialmente erronea alla luce delle tradizionali dottrine politiche, perché identifica lo Stato col governo-potere esecutivo ed esclude dal concetto di Stato il Parlamento, che diventa una sovrastruttura superflua, estranea al corpus dello Stato.

(Archivio fotografico Anpi nazionale)

La spiegazione di questa barbara concezione istituzionale non è una mera confusione, ma la lucida presa di coscienza dei tempi nuovi in quanto «per il Fascismo era giunto il momento di governare da solo perché il Capo del Governo, col suo intuito infallibile che lo assiste nei più gravi momenti, ne ebbe la netta sensazione e il suo discorso memorando del 3 gennaio 1925 [4] aprì la nuova fase della Rivoluzione» [5]. Da quella data il fascismo cominciò a governare da solo lo Stato in quanto «lo spirito pubblico era diventato maturo per il completo abbandono di antiche forme giuridiche e politiche, che nei fatti risultavano già sorpassate» [6].

Giuramento di Vittorio Emanuele III

La precisione con la quale il giurista definisce gli obiettivi e i risultati costituzionali del fascismo non lascia spazio a dubbi: il fascismo aveva come fine assoluto instaurare la dittatura, annientare qualsiasi opposizione, chiudere qualsiasi esperienza democratica e cancellare i principi dello Statuto albertino, dalla divisione dei poteri a qualsiasi libertà. Tutto questo all’interno di un quadro generale dove il re continuava a essere il titolare della sovranità e del potere esecutivo, e promulgava le leggi. Di conseguenza, se guardiamo l’insieme degli avvenimenti a cui abbiamo fatto riferimento nell’esaltazione del duce e del fascismo, l’illustre giurista trascura l’aspetto più importante: il re continuava a esistere e ad avere un ruolo insostituibile nella vicenda costituzionale dell’Italia del tempo e Mussolini, al di là delle grandi adunate e della retorica rimase sempre subordinato al re, in pratica un utile cane da guardia del sistema di cui non diventerà mai il padrone assoluto.

VIttorio Emauele III e Mussolini (Archivio fotografico Anpi nazionale)

Certamente il fascismo attuò una profonda riforma costituzionale, che doveva dare nuovo aspetto allo Stato italiano senza peraltro riuscire a sostituire, appunto, il ruolo e le competenze del re, che restò sempre l’unico legittimo titolare del potere esecutivo.

Il Tribunale speciale per la difesa dello Stato

È ancora la dottrina del tempo a spiegarci come lo Stato fascista nasce dalla distruzione dello Stato liberale democratico, trascurando però che tutto ciò avviene all’interno di una struttura che continua a riconoscere la sovranità del Re, mai messa in discussione [7]. In proposito è significativo che per lo stesso Alfredo Rocco [8], ministro di Grazia e giustizia e affari di culto, e autore di un nuovo codice penale, la sovranità della monarchia è un dato di fatto e concentra la propria opera riformatrice sulla struttura interna dello Stato: rafforzamento del potere esecutivo, repressione delle opposizioni col Tribunale Speciale per la difesa dello Stato, istituzione dei podestà, limitazione della libertà di stampa e di associazione… In proposito, senza fraintendimenti, afferma che «per il contenuto come per la forma esteriore, lo Stato fascista è proprio l’opposto dello Stato liberale democratico, che aveva condotto la Nazione italiana fino all’orlo dell’abisso» [9] e riassume la concezione politica del fascismo «nella creazione di uno Stato di autorità veramente sovrano, che domini tutte le forze esistenti nel Paese e che, al tempo stesso, sia in continuo contatto delle masse, guidandone i sentimenti, educandole e curandone gli interessi».

Benito Mussolini

Da questi presupposti Armando Jamalio deduce che il governo fascista non è più il potere esecutivo del regime perché il «Governo fascista è ormai svincolato dalla dipendenza dal parlamento; contrariamente a quanto accadeva al gabinetto parlamentare, che ne impetrava il suffragio» [10].

All’opposto il governo fascista diventa «l’organo, non solo permanente, ma preminente dello Stato in quanto ritiene che la funzione governativa sia la funzione preminente ed essenziale della vita dello Stato» [11], in quanto «il Governo non può e non deve essere ostacolato nella propria azione a tutela delle esigenze della vita dello Stato» [12]. Di conseguenza, il governo fascista non ha il problema della conversione in legge dei decreti-legge emanati in caso di necessità o di urgenza. Il giurista non ha dubbi sul fatto che con la legge 100/1926 si sia sostanzialmente realizzata «la legittimazione di un’autonoma e illimitata attività legislativa del Governo: oltre la ingente quantità dei decreti legge, le successive riforme costituzionali, ne sono la dimostrazione evidente» [13], e che il governo e il duce «possano esercitare questo potere anche nella interpretazione delle leggi; e tale interpretazione, proclamata nell’esercizio del potere legislativo, è interpretazione prettamente autentica nel significato tecnico più rigoroso» [14].

La potestà del duce viene riconosciuta come «una sostanziale realtà giuridica, fondata sulla sua supremazia organica e funzionale sul potere legislativo effettivo e responsabile (le Camere), come sul potere esecutivo» [15]. Questa conclusione trova giustificazione nel fatto che «l’assetto costituzionale fascista è dominato da un forte elemento personalistico, che ritiene giustificato perché caratteristico dei grandi pionieri della storia» [16] in quanto «la coscienza politico-giuridica della Nazione ormai è ferma nel ritenere che alla volontà del Duce si riconduca al contenuto giuridico della vita dello Stato. Vi è uno spirito del diritto, certo e chiaro, che vige con tutto il suo intrinseco carattere di obbligatorietà, benché non concentrato e formulato in norme scritte: è spirito di fede, di obbedienza all’Uomo organo che guida il Popolo ad immancabili mete (e non è lirismo): è lo spirito che risiede nella coscienza di un Popolo che lo manifesta quotidianamente in ogni sua attività pubblicistica o collettivistica» [17].

Jamalio richiama a conforto delle proprie tesi la sentenza n. 2025 del 15 giugno 1938 che ha riconosciuto al Capo del Governo Fascista [18] il potere di interpretazione autentica della legge. Deve considerarsi autentica in quanto «alla stregua di una necessaria esegesi storica e sistematica nel Capo del Governo Fascista, con la legittimazione della sua supremazia sull’attività legislativa, si legittima una potestà, non formale, ma sostanziale d’interpretazione autentica, ossia, di generale obbligatorietà».

Da qui il quadro complessivo per percorso legislativo di uno dei periodi più bui della nostra storia, pagato con anni di galera, in una società dominata dagli indifferenti, che hanno accettato il regime per quieto vivere e hanno assistito complici alle leggi razziali, alla guerra, alla subordinazione dell’Italia alla Germania nazista, riscattata col sangue dei partigiani, perseguitati nel dopoguerra, e di cui questa società italiana sembra dimenticarsi e ipocritamente perdona i saluti romani che sempre più spesso si ripetono nelle nostre piazze [19].

Vinicio Ceccarini, Anpi di Porto Venere


NOTE

[1] Armando Jamalio, consigliere di Appello addetto alla Corte di Cassazione, L’interpretazione autentica del Duce, in bpr.camera.it.
[2] Interessante il fatto che l’autore mentre scrive Governo e Fascismo con la lettera maiuscola, per parlamento utilizza la lettera minuscola. Anche la grafica ha un significato nella comunicazione.  I termini nel testo sono stati indicati secondo la grafia del tempo.
[3] Ibidem.
[4] Ibidem.
[5] Cfr. Di Biasi, La funzione legislativa del potere esecutivo, in Giur. it., 1931, IV, 88 segg.; Astraldi, Questioni processuali e di tecnica legislativa eie, ibid., 36 segg. Cfr. C. Saltelli, Potere esecutivo e norme giuridiche, Mantellale, Roma, 1926, pag. 240, il quale rileva come la conseguenza giuridica alla quale arriva la dottrina tedesca è che il contenuto della «necessità» rientri nell’apprezzamento del governo, giudice solo dell’uso che esso medesimo ne fa, salvo la condizione della omologazione parlamentare. A. Rocco, Prefazione a Il Potere esecutivo e norme giuridiche,  C. Saltelli, Mantellate, Roma, 1926.
[6] Si riferisce al famoso Discorso su Matteotti che segnò di fatto l’inizio della dittatura di Mussolini. Nel mese successivo furono approvate le cosiddette leggi fascistissime.
[7] Sui caratteri di questo regime, cfr. da ultimo: V. Zancara, Il partito unico e il nuovo Stato rappresentativo in Italia e in Germania, in Rivista, 1938, I, 88 segg.; O. Ranelletti, Il Partito Nazionale fascista nello Stato italiano, ibid., 1939, 30 segg.
[8] A. Rocco, La trasformazione dello Stato, https://bibliotecafascista.blogspot.com/2012/03/la-razza-bianca-muore.html
[9] Ibidem.
[10] Ibidem.
[11] A. Jamalio, op. loc. cit.
[12] Ibidem.
[13] Ibidem.
[14] O. Ranelletti, P. N. F. nello stato italiano, cit., pag. 36: «L’autorità del Duce e Capo del Governo domina lo stesso funzìonamento delle Camere».
[15] A. Jamalio, op.loc.cit.
[16] Ibidem.
[17] Ibidem.
[18] Il Maiuscolo è nella grafia dell’autore.
[19] Sul saluto romano vedi sentenza della Cassazione a Sezioni unite, 17.04.24, n. 16153, https://www.laleggepertutti.it/683166 e-reato-il-saluto-romano-in-pubblico-ecco-cosa-dice-la-legge; https://tg.la7.it/cronaca/la-cassazione-il-saluto-fascista-e-reato-ma-non-quando-e-commemorativo-18-01-2024-203703; https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/24_gennaio_18/la-cassazione-a-sezioni-riunite-ha-deciso-il-saluto-fascista-nella-sua-espressione-commemorativa-non-e-reato-878d4cc6-4343-4647-accf-ec2608ca9xlk.shtml