ARALDI ALBERTO
Nato a Ziano Piacentino il 18 gennaio 1912.
Medaglia d’oro al valor militare (alla memoria)
“Patriota di grande fede e di purissime doti, coraggioso, indomito e valoroso Comandante partigiano, guidava i propri uomini alle più ardite imprese dando con le sue epiche gesta, alle popolazioni atterrite dalla prepotenza e dai soprusi degli oppressori la fede nel movimento partigiano. Dopo aver compiuto per sua iniziativa imprese di leggendario valore, organizzava un audace piano per colpire uno dei maggiori responsabili delle ignominie e delle efferatezze. Catturato per vile delazione mentre si accingeva a compiere la missione, veniva condannato a morte ed affrontava con fierezza e serenità il plotone di esecuzione che col piombo fratricida troncava la sua balda esistenza. Cadeva al grido di “Viva l’Italia”, esempio ed assertore di ogni eroismo”.
Cimitero di Piacenza, 6 febbraio 1945.
D.P.R. 9-4-1949.[1]
Se si consulta il Dizionario della Resistenza, nell’appendice dedicata ai decorati di medaglia d’oro dopo l’8 settembre, alla voce n. 10, “Araldi Alberto”, si legge: “partigiano combattente”. [2] La definizione è corretta, benché Araldi fosse un brigadiere dei Carabinieri, poiché il militare (nome di battaglia Paolo) era anche comandante di un’unità partigiana. A ben vedere, però, non abbiamo molto nella storiografia italiana sui Carabinieri e sull’apporto da loro dato alla Resistenza, non tanto come singoli quanto piuttosto in una visione d’insieme della loro presenza quale istituzione nelle fila della lotta al nazi-fascismo; [3] manca un racconto di quella volontà comune a molti dei militari e del comando dell’Arma nel contrastare in ogni modo chi, in spregio al diritto internazionale, aveva occupato militarmente il Paese e inserito al posto del governo legittimo uno Stato fantoccio completamente asservito ai desiderata dello Stato hitleriano.
Fra i militari dell’Arma non mancò dopo l’8 settembre chi, nella parte controllata dai tedeschi, aderì spontaneamente alla neonata Repubblica Sociale, e chi preferì opportunisticamente attendere lo svolgersi degli eventi, al contempo; va però segnalato che un grande numero di militari rimasti al nord operò per il bene della collettività, sia passivamente sia attivamente.
Con l’annuncio dell’armistizio si verificarono i primi fatti d’arme che videro la partecipazione dei carabinieri: nell’Egeo, in Jugoslavia, nella difesa di Roma, a Monterotondo (dove la tenace resistenza di pochi carabinieri respinse i paracadutisti tedeschi per diverse ore), a Napoli, durante l’insurrezione popolare, gli episodi sono molti e non possono essere elencati tutti in questa sede. [4] Ma le cifre non lasciano spazio a dubbi: i carabinieri caduti durante l’occupazione nazista ammontano a 2.735 e 6.521 sono i feriti. [5]
Quanto ai carabinieri che al nord confluirono nella GNR (Guardia Nazionale Repubblicana), bisogna ricordare che molti fra loro facevano il doppio gioco, come ne scrive lo storico Antonio Pietra descrivendo la composizione di quella milizia: “50mila uomini vengono dai carabinieri, i quali, anche se inizialmente rimangono in maggioranza al proprio posto, fanno poco per dissipare le diffidenze che i fascisti nutrono in merito alla loro fedeltà. Quando non collaborano apertamente con i partigiani (almeno nella lotta al banditismo), non si danno molto da fare per combatterli, per cui oltre 3.600 camicie nere devono essere affiancate loro nei presidi per tamponare diserzioni e controllare i militari”. [6] Il progetto tedesco d’inviare almeno diecimila di loro in Germania come ausiliari nei reparti della Flak e nella sorveglianza dei campi da volo della Luftwaffe scatena poi una fuga degli uomini della Benemerita. Almeno 7.500 carabinieri in Germania ci finiranno comunque; per coloro che resteranno ci sarà la dispensa, la collocazione in congedo e il trasferimento ai distretti militari.
Fra costoro e fra i fuggiaschi diversi si uniscono ai partigiani. Tra le varie formazioni composte da elementi dei carabinieri un posto di rilievo va dato alla “Banda Gerolamo” (dal nome di battaglia del suo comandante), costituita al nord dal maggiore Ettore Giovannini con l’adesione di almeno 700 militari dell’Arma; ma le unità di carabinieri sono davvero molte, e altrettante le azioni che vedono la partecipazione degli stessi all’interno di altre formazioni partigiane. [7]
Di questi fatti resta poca traccia nella memoria condivisa. In parte ciò può essere dovuto al fatto che le forze armate, e ancor più i carabinieri, anche quando sono visti con favore, sono comunque percepiti come un corpo estraneo rispetto alla società civile, mentre al contrario ne rappresentano uno specchio, con gli stessi difetti e le stesse virtù del resto del Paese. Il generale Maurizio Sulig rileva che l’impreparazione delle forze armate durante il secondo conflitto mondiale e la conseguente sconfitta, con la successiva perdita di prestigio, la divisione del Paese e infine la creazione di un’entità statale collaborante con i nazisti, “hanno causato il rigetto della marzialità e dei suoi miti”, con l’evidente problema di rifiutarne così i valori positivi assieme a quelli negativi. Inoltre indica nell’accesa polemica antimilitarista degli anni Settanta e Ottanta quella che a suo giudizio è la causa di “[…] una vera e propria pregiudiziale ideologica nei confronti delle Forze Armate che continua a trasmettersi in un Paese che Stato è assai poco, che Nazione si sente ancor meno e che sembra non aver capito che i diritti e la libertà di cui gode – e spesso abusa – sono costati un caro prezzo, e non sono garantiti”. [8]
Sono parole, queste, che hanno un peso particolare nella nostra contemporaneità, in cui sempre più spesso le acquisizioni e gli istituti democratici sembrano essere messi a repentaglio. Ora più che mai dovremmo recuperare il rapporto tra società, Stato e forze dell’ordine, non solo per criticarne costruttivamente l’operato, quando emergano dei segnali preoccupanti, ma riconoscendo quanto è stato fatto sinora al servizio del Paese e dando la giusta attenzione a un’istituzione che oggi, assieme a tutti i cittadini, è garante della difesa della nostra Carta costituzionale.
Davide Franco Jabes, PhD in Storia alla The University of York (UK), ha lavorato a numerosi progetti come consulente e ricercatore di Storia Moderna e Contemporanea per l’Università di Siena e molti altri Istituti di ricerca e case editrici (Rizzoli, Bompiani, Guanda)
Note bibliografiche:
[1] http://decoratialvalormilitare.istitutonastroazzurro.org/# (visto il 19 – 12 – 2017).
[2] Enzo Collotti, Renato Sandri, Frediano Sessi, Dizionario della Resistenza (Torino, 2006), p. 1025.
[3] Fanno eccezione alcuni studi tra cui segnaliamo il lavoro del generale Ferrara: Arnaldo Ferrara, I Carabinieri nella Resistenza e nella guerra di Liberazione (Roma, 1978).
[4] Sulla battaglia di Monterotondo esiste un ottimo resoconto dello storico Breccia: Gastone Breccia, Nei secoli fedele, Le battaglie dei carabinieri 1814 – 2014 (Milano, 2014).
[5] http://www.carabinieri.it/arma/curiosita/non-tutti-sanno-che/r/resistenza-e-guerra-di-liberazione (visto il 20 dicembre 2017).
[6] Antonio Pietra, Guerriglia e Controguerriglia, Un bilancio militare della Resistenza 1943-1945 (Vicenza, 1997), p. 67.
[7] Alla bandiera dell’Arma dei carabinieri nel periodo preso in esame è stata conferita la Medaglia d’Argento al Valor militare, agli ufficiali, sottufficiali, appuntati e carabinieri conferite: 2 Croci di Cavaliere dell’Ordine Militare d’Italia; 32 Medaglie d’Oro al Valor Militare; 122 Medaglie d’Argento al Valor Militare; 208 Medaglie di Bronzo al Valor Militare; 354 Croci di Guerra al Valor Militare.
[8] Maurizio Sulig, Soldati tra la polvere, il mestiere delle armi in un paese che sta smarrendo se stesso (Massa, 2017), p. 65.
Pubblicato giovedì 21 Dicembre 2017
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