Orbán e Salvini a Milano (da https://www.tpi.it/2018/08/28/orban-salvini-incontro-milano/)

La visita a Milano del premier ungherese, Orbán, al ministro degli Interni, Salvini, non è stata un semplice scambio di vedute tra due leader, ma il preludio di un’alleanza politica in vista delle prossime elezioni parlamentari europee. L’Europa sta andando verso uno scontro tra “sovranisti” ed “europeisti”. Questo è indubbio. Tuttavia, il panorama politico europeo è più complesso di quanto sembri. Ad esempio, le politiche perseguite in Italia dai “sovranisti” (Lega di Salvini e Fratelli d’Italia della Meloni) sono in tutto conciliabili con quelle perseguite dall’Ungheria di Orbán? Che tipo di Europa vogliono promuovere l’ungherese Orbán e l’italiano Salvini?

 

L’Europa dei popoli che piace sia a Salvini sia a Orbán non è certo l’Europa immaginata a suo tempo dal nazionalista De Gaulle: patrie chiuse, aperte solamente alla collaborazione diplomatica. Entrambi desiderano, al contrario, un’Europa che si munisca di un esercito e difesa comune perché questa possa difendere i suoi confini e arrestare i flussi migratori. Per far saltare, così, il piano orchestrato da tempo dalle élite mondialiste per “cambiare” i popoli europei e mettere in discussione la stessa cristianità dell’Europa. Il contrasto all’immigrazione, al multiculturalismo, alla società aperta di George Soros, è cruciale nella visione sovranista.

In Europa i leader sovranisti s’incontrano, si indicano l’uno come il modello dell’altro. Sono compatti nel sostenere che l’intero sistema di governance dell’UE sia affetto da un deficit democratico, che non favorisce il benessere dei popoli. Per questo, intendono “rifondare” questa Europa retta storicamente dall’asse franco-tedesco, destrutturandola dall’interno con un riequilibrio dei rapporti di forza a sfavore del duopolio franco-tedesco, e a favore di un’alleanza tra nazioni che promuova l’idea di UE sostenuta dal blocco europeo centro-orientale (gruppo di Visegrád).

Un incontro fra i leader dei Paesi del gruppo di Visegrád: Polonia, Ungheria, Slocacchia, Cechia (da https://www.tpi.it/2018/08/28/gruppo-visegrad-cose/)

Si allarga potenzialmente la prima alleanza (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia), per le affinità programmatiche tra il gruppo di Visegràd e i cosiddetti “movimenti nazionalisti e populisti” vittoriosi e/o in ascesa negli altri Paesi dell’UE. Il ministro dell’Interno tedesco Horst Seehofer non nasconde le sue simpatie per le politiche di Orbán e alleati. Il consenso popolare, di cui godono Geert Wilders in Olanda, Marine Le Pen in Francia e Alice Weidel in Germania, suggerisce che è possibile un futuro allargamento. Il premier austriaco, Sebastian Kurz, considera il suo Paese l’anello di congiunzione tra il gruppo di Visegrád e il resto d’Europa. Infine, Matteo Salvini si allinea al gruppo di Visegrád, perfino sul rifiuto alla riforma del regolamento di Dublino che – sia detto per inciso – è del tutto fuori luogo, se si pensa che il ricollocamento obbligatorio e automatico dei richiedenti asilo tra gli Stati dell’UE è previsto nel contratto di governo che il leader della Lega ha sottoscritto con il movimento Cinque Stelle.

Leader carismatico di questo nuovo fronte sovranista europeo potrebbe essere proprio Orbán, forte del peso politico di cui gode nel suo Paese, dopo l’ultimo trionfo elettorale che ha consegnato il parlamento magiaro nelle mani del suo partito, il Fidesz, e del peso sempre più influente che ha all’interno della principale famiglia europea, il PPE, da cui non intende uscire.

Tuttavia, non è affatto scontato che i leader sovranisti siano mossi da medesime finalità nel cambiare i destini dell’Europa. Se vi è convergenza di vedute sui grandi temi dell’immigrazione e della difesa identitaria, non è da escludere l’emergere di posizioni diverse sulle strategie politiche. E ciò per il semplice fatto che la galassia dei partiti/movimenti sovranisti europei è assai composita, unita soprattutto nella definizione delle tattiche e degli accordi in vista delle elezioni europee del maggio 2019. Facciamo alcuni esempi partendo da Salvini e Orbán

Orbán è un nazional-conservatore, Salvini un populista radicale. Per il primo la sfida all’Europa è sulla contrapposizione tra democrazia “liberale” e democrazia “illiberale”. Quest’ultima, secondo le parole dello stesso premier ungherese, consiste nella realizzazione di un sistema politico dove “i valori conservatori della patria e dell’identità culturale hanno la precedenza sull’identità individuale”. Orbán non fa mistero di aver considerato Putin un modello di gestione politica, tanto da aver promosso nel suo Paese la “democrazia illiberale”, un concetto molto simile a quello putiniano di “democrazia guidata”, secondo cui le libertà personali non devono prevalere sugli interessi della società nel suo insieme. Per Orbán, la “democrazia illiberale” valorizza enormemente il ruolo e il volere della nazione, anche a costo di ledere i diritti fondamentali e le garanzie costituzionali dei cittadini. Il conflitto tra popolo ed élite corrotte e senza scrupoli, che è patrimonio della narrazione populista, viene risolto con un nuovo patto sociale tra governanti (establishment) e governati (popolo), il cui fine è tendere alla realizzazione del bene della nazione. La battaglia di Salvini si gioca sulla contrapposizione strumentale tra popolo ed élite (o poteri forti). Salvini è il perfetto leader populista. Lui stesso si è così definito in un recente raduno della Lega a Pontida. Detesta lungaggini e mediazioni. E sta costruendo la sua ascesa politica con una strategia di comunicazione fatta di “bagni di folla”, tweet, post su Facebook, apparizioni in tv e sulle copertine delle riviste più popolari. La differenza tra i due leader sovranisti è più evidente sul piano della strategia politica. Orbán – sposando lo schema austriaco – persegue a livello europeo l’alleanza tra una destra tradizionale conservatrice e una destra radicale populista, convinto che debba, però, essere la prima quella egemone. È il politico ideale per far sì che il PPE non sia più un pilastro del consenso europeo. Detta ormai l’agenda del PPE, e punta dritto ad una mutazione genetica di questa grande famiglia politica, decisamente orientata a destra e alternativa al PSE, ad altre forze progressiste e, soprattutto, al principale antagonista del momento: il francese Macron.

Di recente, Orbán ha chiesto al premier polacco Morawiecki, che appartiene all’Alleanza dei Conservatori e Riformisti europei, di riflettere sulla possibilità di entrare in futuro nel PPE. Richiesta accolta con qualche riserva, ma con interesse e apertura. Ancora. Il premier ungherese ha migliorato i suoi rapporti con la Merkel, che non considera più sua avversaria temibile. La cancelliera, indebolita dal voto e dalla situazione generale, ha perso quella centralità che per anni le aveva conferito un’indiscussa autorevolezza in Europa. Recentemente ha appoggiato la candidatura (non voluta in cuor suo) del cristiano-sociale bavarese M. Weber – attuale capogruppo del PPE – alla presidenza della Commissione UE per il 2019. Weber è noto per le sue dure posizioni sull’immigrazione e per essersi espresso contro il multiculturalismo. È un ponte con l’UE di Orbán. La sua discesa in campo e l’incontro milanese tra Orbán e Matteo Salvini non sono eventi scollegati. Orbán aveva preventivamente informato di questo incontro non solo l’amico Berlusconi per avere il suo beneplacito, ma anche i vertici del PPE. E lo stesso Weber aveva chiesto qualche giorno prima del meeting Orbán-Salvini informazioni, tramite i suoi amici italiani, sulla Lega e il suo leader.

Può Salvini, tuttavia, essere ricondotto entro questa logica di schieramenti, consapevole del rapporto conflittuale che ha con Berlusconi e della sua volontà di assorbire l’elettorato moderato di Forza Italia, inglobandolo nel fronte populista-radicale? Potrà mai il leader della Lega entrare nel PPE – lacerato al suo interno da anime politiche diverse –, o è piuttosto orientato alla costruzione di una nuova e compatta alleanza europea di destra? Ai primi di luglio, Salvini aveva lanciato dal palco di Pontida l’idea della formazione di una “Lega delle Leghe d’Europa”, che avrebbe unito “tutti i movimenti liberi e sovrani che vogliono difendere i propri confini e il benessere dei propri figli, e abbattere il muro di Bruxelles”.

L’Ungheria di Orbán punta al rafforzamento del mercato unico, a patto che ogni Paese possa conservare il controllo sulle scelte costituzionali, sulle politiche identitarie e immigratorie, ecc. Nel caso italiano, le cose sono più complicate, perché i nostri sovranisti governano un Paese dell’eurozona. Al contrario, i leader sovranisti dell’Europa centro-orientale non ne fanno parte e, quindi, non sono sottoposti ai vincoli della condivisione di una moneta comune. La linea della Lega circa la permanenza dell’Italia nell’unione politica e monetaria è cambiata.

Se in passato la Lega sosteneva di essere pronta ad uscire dall’eurozona, oggi è di tutt’altro avviso: “L’uscita dall’euro non è nel programma della Lega e non è nel contratto di governo”. Orbán ha sempre manifestato una totale mancanza d’interesse all’ingresso dell’Ungheria nell’eurozona. La moneta unica implica doversi uniformare ai sistemi fiscale e previdenziale e, di conseguenza, cedere pezzi di sovranità. È chiaro che il sovranismo di chi è all’esterno dell’eurozona può adattarsi meglio alla prospettiva del mercato unico, rispetto al sovranismo di un Paese dell’eurozona che ha di fronte a sé un percorso più tortuoso. In tema di politica estera europea, Orbán propone (e su questo Salvini è d’accordo) la normalizzazione delle relazioni con la Russia. Per il premier magiaro, l’Ungheria non percepisce la Russia, così pure la Slovacchia, la Repubblica Ceca e naturalmente l’Europa occidentale, come una “minaccia”. Ma su questa questione, Orbán dovrà vedersela con alcuni Paesi russofobi – suoi alleati, come Polonia e Stati Baltici.

In breve, le destre europee, oggi così compatte nel voler demolire l’Europa dei padri fondatori, dovranno presto confrontarsi con i propri egoismi nazionali, non certo conciliabili con un’Europa – seppure riformata alle radici – che aspira ad avere un proprio esercito, un’unica politica di difesa e sicurezza, ed estera. Nonché a rafforzare Schengen. E qui, la dissonanza tra destre radicali populiste e destre tradizionali conservatrici potrebbe radicalizzarsi sino a prefigurare scenari belligeranti.

Cristina Carpinell, membro Comitato Scientifico del CeSPI (Centro Studi Problemi Internazionali) di Milano per i paesi CEE