Quando, alla vigilia delle recenti elezioni europee, l’Intelligence italiana ha consegnato la propria Relazione al Parlamento non ha mancato, tra i punti cui è stata prestata maggiore attenzione, di sottolineare quello che è stato presentato come «il dinamismo» delle destra radicale italiana. Nel documento si poteva infatti leggere come le formazioni di quest’area si segnalino per una «pronunciata vitalità» e per una «attivismo di impronta marcatamente razzista e xenofoba», tale da ispirare «episodi di stampo squadrista» e il rischio di una accresciuta «conflittualità» nei confronti dei movimenti antifascisti.
Un’analisi, che pur con le consuete cautele che caratterizzano il linguaggio dell’Intelligence, indicava uno scenario già sufficientemente inquietante, del resto evidenziato anche dalla cronaca che registra il moltiplicarsi degli atti di violenza ascrivibili ai militanti dell’estrema destra, cui di recente si sono aggiunti nuovi e ancor più preoccupanti elementi. Al punto da far ritenere che l’estate del 2019 possa offrire ulteriori elementi utili per definire il quadro e la pericolosità della galassia nera del nostro paese. Due notizie arrivate a breve distanza l’una dall’altra, relativamente alle quali saranno inoltre possibili ulteriori sviluppi, delineano un quadro decisamente allarmante.
La prima riguarda un’indagine aperta dalla Procura di Torino che dopo aver proiettato i riflettori, nel capoluogo piemontese, sugli ambienti degli skinheads legati al gruppo Legio Subalpina e degli ultrà neofascisti della Juventus, in particolare alcuni aderenti alle sigle Drughi Giovinezza e Tradizione – nelle abitazioni dei quali sono stati rinvenuti ogni sorta di cimeli nazi-fascisti ma anche delle munizioni da guerra -, ha esteso il proprio sguardo a diverse altre province, tra cui Milano, Varese, Pavia, Novara e Forlì, e poi, via via, fino alla Toscana, portando a clamorose scoperte. In particolare, in un magazzino di Rivazzano Terme, piccola località in provincia di Pavia, gli agenti di Digos e Ucigos hanno trovato un missile aria-aria – vale a dire utilizzabile solo da un aereo – di tipo Matra Super 530F, di fabbricazione francese e in dotazione all’aviazione militare del Qatar, con un peso di 800 kg e una gittata di 25 chilometri, mentre in un’abitazione di Massa Carrara è stato rinvenuto quello che le agenzie di stampa definiscono come «un arsenale corredato da materiale e simboli nazisti». Armi che, a partire dal missile, erano detenute da un 60enne di Gallarate, in passato impiegato come ispettore alla dogana di Malpensa e già candidato al Senato per il movimento neofascista di Forza Nuova, arrestato, dopo che la stessa sorte era toccata ad uno dei capi degli skin-ultrà di Torino, insieme ad altri due individui, fermati nei pressi dell’aeroporto di Forlì.
Secondo le prime dichiarazioni dei funzionari impiegati nell’inchiesta, malgrado l’evidente matrice ideologica di estrema destra degli indagati, non è ancora possibile indicare una progettualità «eversiva» legata alla detenzione di innumerevoli armi da guerra, mentre il missile sarebbe stato oggetto di un tentativo di vendita ad un non meglio precisato «funzionario di un governo straniero». Quale che fosse l’uso ipotizzato per un tale arsenale, resta il quesito su come figure legate a vario titolo alla destra radicale, ambiente noto in ogni caso per la propria propensione alla violenza, siano potute entrarne in possesso e averlo detenuto indisturbate magari per lungo tempo.
Qualche indicazione in tal senso arriva però dalle informazioni che hanno accompagnato, con il passare dei giorni, la notizia degli arresti e del sequestro delle armi. Se in un primo momento si era parlato di un generico collegamento tra le persone coinvolte e la guerra nella regione del Donbass in Ucraina, tale da far pensare che si trattasse di figure vicine ai miliziani delle cosiddette regioni secessioniste, in un secondo momento le stesse forze dell’ordine hanno precisato di essere risalite ai neonazisti monitorando «alcune persone legate a movimenti politici dell’ultradestra che avevano combattuto nella regione ucraina del Donbass contro gli indipendentisti». In particolare alcuni militanti vicini al gruppo ucraino Pravi Sektor (Settore destro) collegato al battaglione Azov, oggi inquadrato come unità militare regolare nell’esercito di Kiev, del quale hanno fatto parte a lungo «volontari» appartenenti alla destra radicale di tutta Europa.
L’altra notizia, arrivata alla vigilia del ritrovamento del missile, evoca ancora una volta l’Ucraina, ma da una prospettiva politica diversa. Si tratta infatti delle prime condanne pronunciate nei confronti di estremisti di destra del nostro Paese che hanno sì controbattuto nel Donbass ma in questo caso effettivamente dalla parte dei separatisti filo-russi. Tre uomini, uno originario della provincia di Napoli, gli altri due rispettivamente di origine albanese e moldava ma da tempo residenti in Italia, sono stati riconosciuti colpevoli di «reclutamento» e «combattimento non autorizzato al servizio di uno Stato straniero». Si tratta dei primi risultati di un’inchiesta della Procura di Genova risalente all’estate del 2018 che ha messo in luce come oltre una decina di neofascisti di varie città italiane abbiano combattuto negli ultimi anni al fianco dei separatisti ucraini. Alcuni dei personaggi coinvolti nelle indagini, e accusati sia di aver partecipato effettivamente a combattimenti che di aver organizzato gruppi di «volontari», retribuiti come mercenari, risultano inoltre irreperibili e, secondo gli inquirenti, avrebbero trovato rifugio proprio nel Donbass dove godrebbero di appoggi economici e coperture politiche. Tra loro alcuni noti estremisti di destra e uno dei capi della tifoseria fascista della Lucchese. In questo caso, gli accertamenti dei Carabinieri dei Ros, da cui l’inchiesta ha preso successivamente avvio, erano partiti dalle perquisizioni di due giovani di La Spezia già vicini a Forza Nuova, Casa Pound e al circuito skinhead. Attraverso alcune intercettazioni si è poi giunti alla rete dei combattenti in Donbass.
Proprio la guerra iniziata nel 2014 in quelle che erano all’epoca regioni orientali dell’Ucraina, ha visto una crescente mobilitazione dell’estrema destra che si è però divisa su due fronti contrapposti: pro Kiev e pro Mosca. Una situazione evocata anche nella già citata Relazione dei Servizi dove si faceva riferimento alla «rilevata presenza in entrambi gli schieramenti di militanti dell’ultra-destra italiana, spinti da motivazioni tanto ideologiche quanto economiche» e al fatto che «esperienza e competenze di natura militare» acquisite laggiù, «al rientro in territorio nazionale, potrebbero essere riversate negli ambienti di riferimento».
Il fatto che in ambienti dove si fa abitualmente riferimento alla prospettiva della «guerra razziale» o all’eliminazione fisica di migranti e avversari politici circolino con tale frequenza armi o si moltiplicano le occasioni di formazione militare quando non direttamente al combattimento, rappresenta un’evidente minaccia per il Paese. Minaccia di cui appare consapevole il nostro sistema di Intelligence ma non altrettanto il governo che sul tema non manca di far pesare il proprio rumoroso silenzio.
Guido Caldiron, giornalista e scrittore
Pubblicato venerdì 26 Luglio 2019
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