La manifestazione contro il terrorismo inizia dalla Diagonal, una grande via che – come dice il nome – taglia in diagonale Barcellona per poi scendere in verticale lungo il Passeig de Gracia, che finisce il suo percorso in Plaça Catalunya; qui, ma dal lato opposto, nasce La Rambla, l’enorme serpentone alberato famoso fino al 17 agosto 2017 per essere l’icona più conosciuta e visitata di Barcellona, da quel giorno stesso anche tragicamente e disperatamente famigerata. Sulla Rambla, infatti, si è consumato il 17 agosto scorso quello dei due attentati terroristici (l’altro si è verificato a Cambrils) che ha fatto più vittime. Ed è lì, sulla Rambla, che si conclude – come si sono concluse anche molte vite umane – la manifestazione contro il terrorismo ma anche contro altri due aspetti molto importanti a esso concatenati: la paura e l’islamofobia.
Alla manifestazione del 26 agosto, assieme a me c’era tanta gente, circa mezzo milione secondo fonti ufficiali, e faceva molto caldo. Cinquecentomila persone sono tante, come tante erano le idee e le opinioni da esprimere in quella moltitudine. Si vedevano pancartas (striscioni) contro il Re, la casa reale e il primo ministro Rajoi colpevoli, secondo alcuni, di commerciare armi con gli Emiri Arabi, armi che sarebbero finite poi in mano agli stessi terroristi. C’erano gli indipendentisti catalani che, esponendo numerosissime bandiere stellate (simbolo della Catalogna indipendente), manifestavano il diritto all’autonomia totale della comunità di cui Barcellona è capitale. C’era, d’altro canto, anche chi difendeva l’unità della nazione spagnola. Tantissimi applaudivano i Mossos d’Esquadra (la polizia catalana) per aver neutralizzato definitivamente e in tempi brevi la cellula terroristica colpevole degli attentati e proveniente da Ripoll.
Al di là però delle differenze e della frammentazione delle opinioni in strada, quel giorno, al Passeig de Gracia, c’era qualcosa che non divideva, che non creava tensione e che unitariamente accompagnava la marcia verso la Rambla: il grido No Tinc Por (“non ho paura”) urlato con tanta forza, quasi esorcizzando la paura stessa che la città inevitabilmente sentiva. La paura di sentirsi bersaglio e vittima di quella follia, ma anche la paura stupida di avere paura di qualcuno per il solo fatto di essere arabo o marocchino (la comunità marocchina è molto presente in Catalogna come in tutta la Spagna), una paura che, per i manifestanti, non deve intaccare la vita stessa della città e la convivenza fra culture instaurata e consolidata ormai da secoli.
Marciando tutti insieme si avvertivano chiaramente il desiderio e la necessità di combatterle, queste paure.
Quando la gente smetteva di parlare e gridare e fermava la sua marcia per battere le mani, tutti con lo stesso identico ritmo (e non era un applauso), era evidente che polemiche e divergenze passavano in secondo piano, scomparivano per sostenere di non temere la diversità e di credere nella comunità e nella sua forza positiva di integrazione e partecipazione.
Con questo messaggio nitido, arrivati ormai sul luogo tragico dell’attentato, la manifestazione si è conclusa con un silenzio che ha concesso il tempo necessario a convincersi che la lotta all’Islam e l’islamofobia non potranno mai essere la soluzione. Questo la gente sembra averlo capito.
Angelo Lo Giudice vive a Barcellona da undici anni, dove lavora come educatore nell’ambito del sociale portando avanti progetti e laboratori di teatro sociale e fotografia
Pubblicato venerdì 8 Settembre 2017
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