A Marsala, nel Trapanese, il fastidio dei nostalgici del fascismo indossa la notte e usa le maniere dei vandali. Per averne conferma, basta fare una passeggiata in centro e guarda caso scegliere le vie dell’antico quartiere ebraico per trovare sui muri (anche di scuole) graffiti spray di svastiche e croci celtiche. “Sicuramente chi le ha fatte nemmeno sa cosa significano”, dice chi non vuole preoccuparsi del fenomeno, e certo chi le ha tracciate non ha visto le atrocità della guerra, né subito le leggi razziali, e neppure vissuto il tempo in cui si dormiva con le porte aperte perché chi voleva entrare non avrebbe tentennato ad abbatterle. Vien da pensare che, forse, non sapendo non può capire quanto siano gravi quegli imbrattamenti.
Ma poi viene il dubbio. In Largo Partigiani si trova infatti la lapide installata su richiesta della locale sezione Anpi con iscritti nel marmo i nomi dei 21 caduti marsalesi che hanno fatto la Resistenza. Qualcuno ha voluto aggiungervi un altro nome, quello di una persona viva: Giuseppe Nilo, presidente dell’Anpi di Marsala che da circa 10 anni dedica ogni energia alla ricerca della memoria di chi ha preso parte attiva alla Resistenza contro il nazifascismo, trovando storie, informazioni sui circa 200 giovani partigiani del territorio e foto, tra cui quella di Vincenzo Alagna, carrettiere morto neanche ventenne nel campo di Fossoli. A lui è dedicata l’Anpi di Marsala.
Grazie a queste ricerche sono venuti alla luce anche i nomi di tre ragazze marsalesi: Franca Alongi, Bice Cerè e Grazia Meningi, tre partigiane alle quali è stato dedicato un largo sul lungomare. È qui che la furia dei vandali si è abbattuta più violentemente. Due anni fa, a ridosso del 25 aprile, i loro nomi, sono stati cancellati con la vernice spray nera – la stessa che ha segnato svastiche e croci celtiche nel centro storico –. L’anno dopo, proprio nell’anniversario della Liberazione, le medesime o altre mani (?) hanno preso a colpi la targa fino a bucarla. Non contenti, hanno pensato bene di abbatterla.
Un accanimento che fa pensare si tratti di nostalgici del regime con una forte connotazione maschilista, esprimendo il loro odio violento contro simboli di storie, vite spezzate – in questo caso di donne – che a viso aperto hanno espresso dissenso al regime e lottato fino morire tutte prima dei 20 anni. E dire che a queste tre ragazze è stato dedicato uno spazio verde a due passi dal parco giochi frequentato dai bambini e che sotto la targa con i loro nomi ci sono due panchine: una rossa e una arcobaleno, rispettivamente contro le violenze sulle donne e contro le disparità di genere, istallate da associazioni e volontari che operano per la cultura della parità.
Ma chi si alimenta di cieca violenza e vive di apologie, reati secondo la nostra Costituzione, non tollera la parità. Persegue una legge del taglione che è ferina e feroce. Infima. Ora la targa è stata rialzata, ma assistiamo, oltre al danno, pure alla beffa. Infatti, chi passa dal lungomare ne scorge il retro e non legge i nomi delle ragazze perché è stata collocata con l’iscrizione rivolta verso il mare. Il dilemma è forte: prendiamo il mare, alla volta delle donne iraniane, pronte a tagliare i nostri capelli per farli diventare emblema di un futuro libero, oppure restiamo e, consapevoli della memoria, ne facciamo tesoro e coltiviamo futuro qui? Io direi di mettere una targa che si legga da entrambe le parti: perché a volte è necessario guardare verso il mare, per imparare a restare, per imparare a resistere.
Chiara Putaggio, sezione Anpi “Vincenzo Alagna” di Marsala
Pubblicato venerdì 30 Settembre 2022
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