A quanto pare non bastano tutti i disagi che compagnie ferroviarie e una scellerata gestione del traffico su rotaia infliggono ai passeggeri. Anche quest’anno infatti molte stazioni italiane saranno costrette a ospitare per un mese intero – ovviamente febbraio – il “Treno del Ricordo, l’esodo giuliano-dalmata”. Si tratta di un mostra temporanea multimediale, prodotta da una serie di ministeri ed enti governativi tra cui la Presidenza del Consiglio e la Rai, realizzata per la prima volta nel 2024.

Naturalmente è l’ennesima iniziativa dedicata al tema delle foibe e dell’esodo, che pare ormai essere l’unico argomento storico, o culturale in genere, su cui il governo investe, se si escludono alcuni chiodi fissi ideologici dell’estrema destra come D’Annunzio, il Futurismo o il mondo allegorico di Tolkien.

(foto Presidenza del Consiglio)

E non sono investimenti da poco, se si pensa ai milioni di euro (che probabilmente raggiungeranno le decine di milioni) previsti per il futuro museo delle Foibe a Roma e per la propaganda scolastica mediante conferenze, proiezioni e viaggi del Ricordo, a cura solo ed esclusivamente di associazioni nostalgiche di estrema destra e con la rigida esclusione dell’Anpi e degli istituti storici che da sempre si occupano di Seconda guerra mondiale.

Così, mentre le scuole cadono a pezzi, manca il budget per la sanità pubblica e i treni in orario sono un ricordo del “ventennio” che ha preceduto l’attuale governo, una delle associazioni nostalgiche annuncia con entusiasmo che la premier Giorgia Meloni potrebbe nuovamente presenziare, il 10 febbraio, all’inaugurazione del Treno del Ricordo.

(foto Presidenza del Cosiglio)

Quando ho avuto la fortuna (se così si può dire…) di visitarla, lo scorso anno a Taranto, la mostra era letteralmente presa d’assalto dai visitatori, in particolare da ragazzi e ragazze delle scuole superiori accompagnati dai loro docenti, i quali avevano a loro volta ricevuto un pressante invito dal ministero dell’Istruzione e merito. La gratuità, la multimedialità, la grandiosità dell’evento, la propaganda tambureggiante su tutti i mass media, l’effetto immersivo prodotto dal treno d’epoca sono garanzia di successo.

Inoltre è evidente e di sicura efficacia il richiamo ai noti Treni della Memoria che da decenni portano ragazzi di tutta Italia e di tutte le classi d’età a visitare i campi di sterminio nazisti. Ancora una volta dunque si ripropone simbolicamente l’equiparazione fra i due eventi storici, rappresentando forzatamente le foibe come “la nostra Shoah”.

Ma come appare nel concreto la mostra, che messaggi veicola?

Il percorso attraverso i vagoni è scandito da tutti i miti propagandistici sul tema già ampiamente smentiti dagli storici. A uno studioso pare quasi di trovarsi in una realtà distopica nella quale, secondo la ben nota logica orwelliana, la ripetizione ossessiva di slogan falsi rende vere quelle bugie. Si parte ovviamente dall’italianità delle terre di confine, ribadita dai simboli che dovrebbero darne conferma: dall’anfiteatro di Pola ai leoni di San Marco. “Istria, Fiume e Dalmazia. Terre crocevia di culture e popoli, da sempre legate all’Italia”, c’è scritto su un pannello. Ma che fine hanno fatto nell’esposizione questi altri popoli? Scomparsi, letteralmente, in modo da apparire nient’altro che invasori, barbari pronti a cancellare le radici puramente italiane di quella terra. Seguono infatti le violenze dei partigiani jugoslavi, una sequenza di orrori motivati solo dalla volontà di rapina e da un odio inspiegabile verso i pacifici italiani.

Niente ovviamente sulle violenze fasciste, sui crimini di guerra italiani, sul terrore nazista che hanno preceduto la resa dei conti di fine guerra. Tranne la seguente frase, che farebbe sorridere se non nascondesse la volontà di capovolgere il significato del peggiore conflitto della storia dell’umanità: “Lo scoppio della Seconda guerra mondiale acuì lo scontro fra i totalitarismi e si ripercosse pesantemente sul confine orientale”. Tutto qui. “I totalitarismi”, tutti ugualmente colpevoli, si scontrano fra loro e portano morte e distruzione in Istria e Dalmazia. Insomma, come dire che sovietici e jugoslavi si sono fatti invadere e massacrare apposta da fascisti e nazisti pur di portare il comunismo nel cuore dell’Europa!

In compenso si sprecano i dettagli raccapriccianti delle violenze jugoslave e fanno bella mostra di sé gli slogan presenti in ogni rievocazione, in ogni lapide, in ogni dichiarazione politica, a dispetto della loro falsità: “Uccisi solo perché italiani” e “La pulizia etnica contro gli italiani”.

“Treno del ricordo”, la tappa milanese alla presenza di Ignazio La Russa, Presidente del Senato e Daniela Santanchè, ministra del Turismo (Imagoeconomica, Canio Romaniello)

La conferma di tali assurde affermazioni arriva da alcune frasi estrapolate dal contesto provenienti dai discorsi presidenziali degli ultimi trent’anni. La morale sembra essere: se l’hanno detto anche le più alte cariche dello Stato, “deve” essere vero. E non importa se tutti gli studi storici hanno dimostrato che si tratta di bugie o semplificazioni: sbagliano loro, gli esperti della materia, mentre i “capi” politici hanno sempre ragione.

Solo alla fine arriva un frettoloso riferimento ai profughi dalla Jugoslavia dopo la guerra, a cui teoricamente dovrebbe essere dedicata l’intera esposizione. Qui ovviamente non può mancare l’episodio della stazione di Bologna, in cui un treno di esuli viene accolto tra le proteste di attivisti di sinistra. L’ennesimo esempio che dovrebbe dimostrare la crudeltà comunista, ignorando naturalmente la realtà di accoglienza da parte di tutte le amministrazioni locali dell’epoca a guida PCI. Ma come in altri prodotti propagandistici, l’unico obiettivo è quello di suscitare orrore e odio, a prescindere dalla complessità storica. Mostrando così ben poco rispetto anche verso i poveri profughi dell’epoca, la cui tragedia non interessa certamente chi oggi condanna a morte con leggi ingiuste altri profughi in fuga da altre guerre e da altre violenze.

1947, il treno che portava gli esuli dalla Jugoslavia arriva a Bologna accolti dagli abbracci

“Noi esuli che abbiamo vissuto questo dramma sappiamo riconoscere i momenti in cui la democrazia è in pericolo”, dice una voce accorata nell’ultima sala-vagone. Un’affermazione che suona come una excusatio non petita. Il messaggio infatti sembra essere: non temere, visitatore, nonostante tutti i chiari legami storici con la dittatura fascista, dai saluti romani dei supporter del governo al busto di Mussolini della seconda carica dello Stato, non c’è nessun pericolo per la democrazia!

Il “Treno del ricordo” a Taranto, quest’anno in Puglia sarà a Lecce

Viene da dubitarne, soprattutto se si pensa alla forma di questa esposizione, più ancora che al contenuto. A differenza di qualunque altra mostra o museo che io ricordi, il visitatore non può soffermarsi liberamente in ogni sala, scegliendo se visionare un video o una fotografia, leggere o non leggere una didascalia, ascoltare con attenzione una voce o andare oltre. La visita in effetti è organizzata come una marcia attraverso i vagoni, rigidamente controllata da guide/guardie che non danno la possibilità di uscire prima della fine di un serie di video di una decina di minuti trasmessi in ogni sala.

In sostanza il visitatore è obbligato a entrare nel vagone e ascoltare fino alla fine, immobile, intruppato insieme agli altri, senza possibilità di muoversi, di tornare indietro o di andare avanti. In questo modo nessuno può sfuggire al racconto propagandistico trasmesso dal video e dagli altri messaggi presenti sulle pareti dello spazio angusto in cui è costretto. Insomma, non una libera visita, ma una visione obbligata pensata come uno strumento di rieducazione politica in perfetto stile stalinista. Ci manca forse un interrogatorio finale, durante il quale, per poter tornare liberamente alle proprie case, sia necessario ripetere gli slogan appresi; ma non disperiamo che si possa operare questo upgrade nella imminente prossima edizione.

In definitiva davvero si può dire che si tratti di un’esperienza immersiva. Ma più che negli esuli di fine guerra il visitatore finisce per immedesimarsi nella famosa scena di Arancia meccanica, il capolavoro di Stanley Kubrick, in cui il protagonista è costretto ad assistere a filmati rieducativi, legato a una sedia con gli occhi forzatamente sbarrati. Se è questa l’idea di “egemonia culturale” che hanno i nostri governanti, direi che possiamo davvero ritenere la nostra democrazia in pericolo.

 

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Eric Gobetti, storico del fascismo, della seconda guerra mondiale, di Resistenza e storia della Jugoslavia nel Novecento. Sul tema è autore di documentari, “Partizani” e “Sarajevo Rewind”, e di numerose monografie; esperto in politiche della memoria, per Laterza ha pubblicato “Alleati del nemico. L’occupazione italiana in Jugoslavia (1941-1943)” nel 2013,  nella serie ‘Fact Checking’ “I carnefici del duce” nel 2023 e “E allora le foibe?” nel 2021. Nel 2024 ha scritto per la Miraggi edizioni: “Le straordinarie avventure del professor Toti nel mondo dei cevapčići”