«La modestia non mi impedisce di dire che non è senza significato il fatto che a ministro della Costituente sia stato designato proprio il dirigente del partito che nei termini più risoluti ha posto il problema della Costituente come problema di oggi e che di fronte alla Costituente si è impegnato ad assumere una posizione nettamente risolutamente intransigentemente repubblicana».
Con queste parole, che non nascondono la soddisfazione per il risultato conseguito, Pietro Nenni preannunciava, su l’Avanti! del 19 giugno 1945, la sua imminente nomina alla testa di un Dicastero che, nel quadro istituzionale della transizione democratica, avrebbe rappresentato un caso singolare e caratterizzato da alcune felici anomalie. La creazione del Ministero per la Costituente – uno dei primi atti del Governo Parri, insediatosi due giorni dopo la pubblicazione dell’articolo del leader socialista – era già stata deliberata dal precedente esecutivo, presieduto da Ivanoe Bonomi, malgrado le perplessità manifestate dai ministri liberali e democristiani circa l’opportunità di dare vita ad una struttura che di nome era un ministero, ma, non essendo preposto ad una branca dell’amministrazione, di fatto avrebbe agito soprattutto come un ufficio studi. Il problema era in realtà politico e, nell’intenzione dei socialisti, l’istituzione del nuovo ministero avrebbe dovuto dare un segnale nel senso dell’immediata convocazione dell’Assemblea Costituente, e del superamento delle posizioni dilatorie delle forze conservatrici e moderate. Nei fatti, il nuovo organismo non aveva in sé nulla di rivoluzionario: si trattava di una struttura che oggi si definirebbe “leggera”, alla quale era affidato, come recitava l’articolo 2 del decreto istitutivo 31 luglio 1945, n. 435, il compito di “preparare la convocazione dell’Assemblea costituente e di predisporre gli elementi per lo studio della nuova Costituzione che dovrà determinare l’aspetto politico dello Stato e le linee direttive della sua azione economica e sociale”.
Questa formulazione, peraltro, poneva un limite tale da ridimensionare, se non azzerare, l’altro, e più grave motivo di perplessità circa l’istituzione del Ministero, ovvero che esso, nella persona del suo titolare, potesse arrogarsi un’ulteriore funzione di redazione di uno schema di carta costituzionale, giungendo così a condizionare e potenzialmente circoscrivere l’esercizio dei poteri sovrani dell’Assemblea. In realtà, la condotta di Nenni non diede mai adito ad alcun dubbio in tal senso; anzi, il leader socialista, che aveva fama di irruento e sanguigno tribuno, diede prova, come Ministro, di grande equilibrio e moderazione, e non mancò di ribadire in diverse occasioni il carattere tecnico e di studio delle commissioni, escludendo che ad esse potessero essere affidati compiti ulteriori.
Il primo impegno del Ministero fu rivolto all’elaborazione di uno schema di legge elettorale per l’Assemblea Costituente: a tale scopo, con decreto ministeriale 31 agosto 1945, fu istituita la Commissione per l’elaborazione della legge elettorale politica, di cui fecero parte giuristi eminenti come Arturo Carlo Jemolo, e autorevoli esponenti dell’amministrazione, come Giovanni Schepis e Paolo Strano, tecnici della legislazione di provata esperienza. La Commissione, presieduta dal Ministro, ma diretta nella sua attività ordinaria dal vice presidente Giovanni Selvaggi, membro designato dal Partito della democrazia del lavoro (Pdl), lavorò assai celermente, giungendo, dopo 25 sedute, a presentare il 27 ottobre un progetto di legge composto da 74 articoli, che anticipava alcuni dei contenuti relativi alla disciplina costituzionale dei diritti politici, in quanto fondato sul principio della universalità, libertà, segretezza del suffragio individuale (maschile e femminile) e diretto; era inoltre introdotta la rappresentanza proporzionale mediante scrutinio di liste di candidati liberamente concorrenti. Il progetto, che ricevette l’assenso della Commissione Alleata di controllo, salvo il suggerimento di modifiche marginali, fu approvato dal Consiglio dei ministri il 31 ottobre e, dopo il parere della Consulta nazionale, divenne il decreto legislativo luogotenenziale 10 marzo 1946, n. 74.
Tempi più lunghi furono invece richiesti per lo svolgimento del lavoro delle tre Commissioni di studio, che si concluse a ridosso della convocazione dell’Assemblea Costituente.
Il 21 novembre 1945 fu istituita la Commissione per studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato, sotto la presidenza di Ugo Forti, docente di diritto amministrativo all’Università di Napoli e già in precedenza chiamato a presiedere la Commissione per la riforma dell’Amministrazione, istituita dal Presidente del Consiglio pro tempore Bonomi. La nuova Commissione, che si differenziava dalla precedente per il fatto di avvalersi non solo di tecnici, ma anche di esperti designati dai partiti, si suddivise in cinque Sottocommissioni (problemi costituzionali; organizzazione dello Stato; autonomie locali; enti pubblici non territoriali e organizzazione sanitaria) e, proprio all’inizio dei propri lavori pose il quesito sopra ricordato, sulla possibilità di redigere una bozza di costituzione; ad esso il Ministro Nenni rispose in modo nettamente negativo, richiamando l’attenzione sulla natura esclusivamente tecnica della Commissione, mentre una scelta tra modelli istituzionali avrebbe presupposto una discussione su questioni politiche “sottratte alla competenza tanto della Commissione che del Ministero, e riservate esclusivamente all’Assemblea Costituente” (così la lettera di risposta al quesito). Pur lavorando alacremente, la Commissione non fece in tempo a giungere ad una sintesi del proprio lavoro e la Relazione per l’Assemblea Costituente, datata 30 maggio 1946, non fu presentata come un documento unitario, bensì come la raccolta delle relazioni elaborate dalle Sottocommissioni e delle conclusioni a cui erano giunte queste ultime.
Pochi giorni prima della Commissione Forti era stata istituita la Commissione economica, presieduta da Giovanni de Maria, professore di economia all’Università Bocconi di Milano: anche in questo caso, furono costituite cinque Sottocommissioni (agricoltura; industria; problemi monetari e commercio con l’estero; credito e assicurazione; finanza). La Commissione economica, così articolata, utilizzò ampiamente questionari e audizioni, acquisendo in tal modo il punto di vista dei più autorevoli esponenti del mondo industriale e finanziario italiano, e ancora oggi i dodici volumi che raccolgono il Rapporto della Commissione economica per l’Assemblea Costituente costituiscono una fonte essenziale per la conoscenza e lo studio dell’Italia nel secondo dopoguerra.
Ultima in ordine di tempo, la Commissione per lo studio dei problemi del lavoro, costituita nel gennaio 1946 e presieduta dall’economista Antonio Pesenti, risentì, nell’organizzazione dei propri lavori, dell’avvicinarsi dell’appuntamento elettorale: ciò nondimeno, le quattro Sottocommissioni istituite per i problemi economici, per i problemi sindacali, per la protezione sociale e per i problemi giuridici lavorarono con una certa assiduità, producendo tra l’altro una pregevole documentazione di diritto comparato e procedendo ad audizioni ed alla distribuzione di questionari molto ampi, e rassegnò infine all’Assemblea Costituente una Relazione della Presidenza e le relazioni delle Sottocommissioni, che, pur risentendo della frettolosità con cui furono redatte, assicurarono un quadro relativamente completo delle problematiche che l’Assemblea Costituente si accingeva ad affrontare.
La mole di lavoro svolta dal Ministero per la Costituente – che Nenni stesso descrisse intervenendo all’Assemblea Costituente, il 10 marzo 1947 – fu effettivamente notevole, se si pensa che la sua attività si racchiude nell’arco temporale di poco più di un anno. L’attività del Ministero, peraltro, ebbe caratteri fortemente innovativi quanto allo sforzo profuso per divulgare le principali questioni del dibattito istituzionale, anche attraverso l’uso dello strumento radiofonico, con la trasmissione di conversazioni tematiche. Grazie soprattutto all’infaticabile opera di Massimo Severo Giannini, giovane capo di Gabinetto, al lavoro delle Commissioni fu affiancata dunque un’ampia opera di informazione e di divulgazione, rivolta alla generalità della popolazione e finalizzata alla costruzione di un’opinione pubblica sensibile alle problematiche riguardanti la fondazione del nuovo ordinamento democratico: presso l’editore Sansoni, fu promossa la pubblicazione di una collana di “Testi e documenti costituzionali” diretta da Giacomo Perticone, e una collana di “Studi storici” diretta da Carlo Ghisalberti. Oltre a promuovere queste collane, il Ministero, in condizioni di particolare difficoltà anche per il contingentamento della carta, provvide direttamente alla pubblicazione di una serie di brevi opuscoli divulgativi a carattere monografico, avvalendosi della collaborazione di studiosi di chiara fama, come Arturo Carlo Jemolo, Guglielmo Tagliacarne, Luisa Riva Sanseverino, Gaetano Stammati ed altri. A tali pubblicazioni si aggiunse un Bollettino di informazione e documentazione, con uscita ogni dieci giorni, la cui lettura ancora oggi offre un esempio non eguagliato di un’informazione di carattere istituzionale puntuale e dettagliata, ancorché non specialistica e fornisce la misura dell’impegno e della competenza che caratterizzò la breve vita del Ministero per la Costituente.
Rievocando, venti anni dopo, questo inedito tentativo di rendere popolare un tema complesso come quello della costruzione di un nuovo ordinamento istituzionale, Pietro Nenni non mancò di ricondurre al clima politico generale i risultati conseguiti dal Ministero, richiamando al tempo stesso il tema del nesso ideale che ricongiungeva la parte più viva della tradizione risorgimentale alla temperie costituente.
«[…] nel breve volgere di un anno il Ministero per la Costituente adempì a tutti i compiti ad esso commessi. Fu questo un risultato politico e tecnico di primaria importanza che fu reso possibile dal clima di grande tensione ideale che il Paese viveva in quei mesi. Nella interminabile notte della dittatura, infatti, non si era interrotto il grande discorso politico iniziato dal Risorgimento su “quale dei Governi meglio si addica alla felicità dell’Italia” e proseguito per cent’anni nelle prigioni e nell’esilio, nelle trincee, nelle aule di studio e nelle fabbriche. Basta rileggere la stampa clandestina e dell’esilio per constatare quanto grandi e vitali fossero l’impegno della classe politica antifascista nel prefigurare il nuovo tipo di Stato democratico e le idee costituzionali della Resistenza».
Pubblicato venerdì 15 Gennaio 2016
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