Mentre scrivo, la terribile vicenda della disumana strage parigina e il clima di angoscia dominante evocano l’esortazione del Presidente dell’ANPI a fare uso della ragione nel segno della responsabilità.
«Oggi più che mai – ha sottolineato Smuraglia, a Torino il 14 novembre per un Convegno sulle donne nella Resistenza –, occorre una forte unità europea e mondiale per rispondere a questo ennesimo massacro. Non bastano interventi militari, occorre una profonda e comune riflessione. Una stagione di grande responsabilità collettiva, di ognuno. Una rinnovata resistenza contro l’orrore».
Responsabilità collettiva e di ciascuno che riguarda l’agire politico, nel solco tracciato dai Padri costituenti, dopo la Liberazione, di una Repubblica, retta da Istituzioni democratiche, rappresentative della sovranità popolare.
Cittadini, movimenti, forze politiche e sociali sono chiamati a concorrere alla campagna di informazione e conseguente mobilitazione, necessarie a difesa e per l’attuazione di importanti principi fondamentali della nostra comune Costituzione, il cui art. 1 secondo comma recita “la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” (Repubblica retta da forma di governo parlamentare, su base elettiva, che conferisce a ciascun elettore il diritto/dovere civico di voto, “uguale, libero e segreto”, con ampio sistema di autonomie locali rette da organismi parimenti rappresentativi).
La Costituzione, che detta le regole della civile convivenza tra diversi, a tutti garantendo pari opportunità e diritti di partecipazione, affinché le Istituzioni siano al servizio della comunità, riformata (così come la legge elettorale) a colpi di maggioranza, pare gettata nel pantano delle cose qualunque, negoziabili in base a contingenti rapporti di forza in Parlamento; ed è in gioco la sua funzione di legge superiore messa in crisi dalla sua riduzione a ordinamento parziale: ciò che rappresenta una riduzione della democrazia.
Per di più, lo stravolgimento, più che modifica, della Carta fondamentale è opera di una maggioranza che siede in un Parlamento eletto con una legge, il c.d. porcellum, dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale.
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il 22 aprile 2013, giorno del giuramento per il suo secondo mandato, rivolse al Parlamento questo messaggio: “Imperdonabile resta la mancata riforma della legge elettorale del 2005 (nda: il porcellum). Ancora pochi giorni fa il Presidente della Corte Costituzionale Gallo ha dovuto ricordare come sia rimasta ignorata la raccomandazione della Corte a rivedere in particolare la norma relativa all’attribuzione di un premio di maggioranza senza che sia raggiunta una soglia minima di voti o di seggi. La mancata revisione di quella legge ha prodotto una gara accanita per la conquista sul filo del rasoio di quell’abnorme premio, il cui vincitore ha finito per non riuscire a governare una simile sovrarappresentanza in Parlamento. Ed è un fatto, non certo imprevedibile, che quella legge ha provocato un risultato elettorale di difficile governabilità e suscitato nuovamente frustrazione tra i cittadini per non aver potuto scegliere gli eletti”.
È sopraggiunta la sentenza 1/2014 della Corte Costituzionale che dichiarò l’illegittimità costituzionale di alcune norme del porcellum, e conseguentemente degli artt. 4, comma secondo, 59, 83 commi 1, n. 5, e commi 2 e 4, del DPR n. 361/1957.
Norme tutte che ledevano a vario titolo il diritto come costituzionalmente garantito all’esercizio del voto libero, uguale, diretto.
La Corte Costituzionale, nell’ambito della medesima sentenza, precisò che la normativa risultante dalla dichiarata illegittimità costituzionale delle norme del porcellum “…è complessivamente idonea a garantire il rinnovo in ogni momento dell’organo costituzionale elettivo” (senza premio di maggioranza irragionevole e discriminatorio per il primo partito o la prima lista di partiti e con possibilità di esprimere una preferenza).
Il dubbio – ovvero l’eccezione di illegittimità costituzionale – era stata sollevato dalla Corte di Cassazione chiamata a decidere il ricorso in Tribunale proposto da alcuni cittadini di Milano, inteso ad accertare l’effettività del loro diritto al voto libero, diretto ed eguale, compromesso dal porcellum.
Successivamente alla sentenza n. 1/2014 Corte Costituzionale, la Prima Sezione civile della Cassazione, con sentenza del 4 aprile 2014 n. 8878 accolse la domanda giudiziale dei cittadini milanesi, così decidendo: “… dichiara che i ricorrenti non hanno potuto esercitare il diritto di voto nelle elezioni per la Camera dei Deputati ed il Senato, svoltesi dopo l’entrata in vigore della L. n. 270/2005… secondo le modalità previste dalla Costituzione, del voto personale, uguale, libero e diretto; condanna le Amministrazioni intimate alle spese del presente giudizio”.
In luogo di prendere atto delle statuizioni, che evidenziano clamorosamente la sostanziale non rappresentatività e provvisorietà del Parlamento, quale prodotto di una legge elettorale lesiva di diritti fondamentali di elettorato e attivo e passivo dei cittadini, adottando ogni coerente e conseguente atto e attività, su proposta del Governo, e a maggioranza semplice, è stato approvato l’italicum, legge 6.5.2015 n.52, per di più differendone l’entrata in vigore a far tempo dal 1° luglio 2016.
Un differimento che presuppone – come non è detto che accada, gettando potenzialmente il sistema istituzionale in confusione con sistemi elettorali difformi per Camera e Senato – la previa riforma della Costituzione, con il venir meno del Senato elettivo, sostituito da consiglieri regionali e sindaci di fatto “designati” dai consigli regionali di provenienza, senatori part time, in base a procedure a geometria variabile che saranno presumibilmente da ciascun consiglio regionale.
Sorvolando sugli approfondimenti sulla riforma costituzionale, merita sottolineare che il volere dei cittadini titolari della sovranità è messo tra parentesi se non ignorato del tutto, compromettendosi equilibrio e bilanciamento dei poteri, con il dare rilevanza pressoché esclusiva e comunque preponderante a chi risulterà primo nelle elezioni, e venendo in tal modo pregiudicata e compressa, oltre il limite della ragionevolezza, la stessa funzione rappresentativa degli organi parlamentari, quale espressione di interessi, bisogni, aspettative e istanze dei cittadini e della società civile, al punto di subordinare il Parlamento all’esecutivo.
Cenni sui principi dettati dalla Corte Costituzionale con la sentenza 1/2014
Afferma la Corte – e l’ammonimento è attuale – che “l’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale … si desume precisamente dalla peculiarità e dal rilievo costituzionale, da un lato, del diritto oggetto di accertamento; dall’altro, della legge che, per il sospetto di illegittimità costituzionale, ne rende incerta la portata. Detta ammissibilità costituisce anche l’ineludibile corollario del principio che impone di assicurare la tutela del diritto inviolabile di voto, pregiudicato da una normativa elettorale non conforme ai principi costituzionali, indipendentemente da atti applicativi della stessa, in quanto già l’incertezza sulla portata del diritto costituisce una lesione giuridicamente rilevante”.
Identica, e anche maggiore e comunque immanente incertezza grava pesantemente sull’italicum.
Il principio costituzionale di eguaglianza del voto
La Corte sottolineò in specie l’esigenza che l’esercizio dell’elettorato attivo avvenga in condizione di parità, in quanto «ciascun voto contribuisce potenzialmente e con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi».
Il sistema elettorale, tuttavia, pur costituendo espressione dell’ampia discrezionalità legislativa, non è esente da controllo, essendo sempre censurabile in sede di giudizio di costituzionalità quando risulti manifestamente irragionevole.
E «nella specie, proprio con riguardo alle norme della legge elettorale relative all’attribuzione del premio di maggioranza in difetto del presupposto di una soglia minima di voti o di seggi, questa Corte ha già segnalato l’esigenza che il Parlamento consideri con attenzione alcuni profili di un simile meccanismo. Alcuni aspetti problematici sono stati ravvisati nella circostanza che il meccanismo premiale è foriero di una eccessiva sovra-rappresentazione della lista di maggioranza relativa, in quanto consente ad una lista che abbia ottenuto un numero di voti anche relativamente esiguo di acquisire la maggioranza assoluta dei seggi. In tal modo si può verificare in concreto una distorsione fra voti espressi ed attribuzione di seggi che, pur essendo presente in qualsiasi sistema elettorale, nella specie assume una misura tale da comprometterne la compatibilità con il principio di eguaglianza del voto.
Le norme censurate, pur perseguendo un obiettivo di rilievo costituzionale, qual è quello della stabilità del governo del Paese e dell’efficienza dei processi decisionali nell’ambito parlamentare, dettano una disciplina che non rispetta il vincolo del minor sacrificio possibile degli altri interessi e valori costituzionalmente protetti, ponendosi in contrasto con gli artt. 1, secondo comma, 3, 48, secondo comma, e 67 Cost. In definitiva, detta disciplina non è proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito, posto che determina una compressione della funzione rappresentativa dell’assemblea, nonché dell’eguale diritto di voto, eccessiva e tale da produrre un’alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica, sulla quale si fonda l’intera architettura dell’ordinamento costituzionale vigente».
Ancora, tali disposizioni, non consentendo all’elettore di esprimere alcuna preferenza, ma solo di scegliere una lista di partito, cui è rimessa la designazione e la collocazione in lista di tutti i candidati, renderebbero il voto sostanzialmente “indiretto”, posto che i partiti non possono sostituirsi al corpo elettorale e che l’art. 67 Cost. presuppone l’esistenza di un mandato conferito direttamente dagli elettori.
La nuova legge elettorale lede anch’essa il diritto dei cittadini ad esprimere un voto libero ed eguale, con la previsione di meccanismi di attribuzione dei seggi parimenti irragionevoli e distorsivi dei principi di rappresentanza e sovranità popolare, ultrapremiali in favore del primo partito che indica i nominandi deputati attraverso il sistema di liste bloccate e legalizzando candidature multiple dei capilista.
Si determinerebbe così un potenziale, anzi reale, cambiamento della forma di governo, un “premierato assoluto” incompatibile con la forma parlamentare repubblicana, secondo la definizione di Leopoldo Elia.
Infatti si trasformerebbe il rapporto tra Primo ministro, Governo e Parlamento, insediato quest’ultimo dal partito del primo Ministro, secondo uno schema oligarchico e personalistico spinto, con inevitabile e oggettiva riduzione degli spazi di partecipazione alla vita politica dei cittadini e rallentamento estremo delle possibilità di ricambio e circolazione delle élites al potere, che connotano i sistemi democratici, differenziandoli da tentazioni e pulsioni oligarchiche e dalla tirannide.
Per di più la sovrarappresentazione in termini di seggi del solo primo partito, minoranza fattasi maggioranza in forza del premio irragionevole, rischia di favorire la formazione di listoni e ammucchiate di ogni tipo vanificando ovvero deformando la volontà degli elettori e anche pregiudicando in ipotesi la stabilità stessa della formazione vincitrice.
Le iniziative in corso
La legge elettorale è stata definitivamente approvata, e tuttavia ci sono in giro diversi propositi, richieste, tentazioni, di apportare ulteriori modifiche; ci sono progetti ed iniziative giudiziarie dirette ad ottenere che la legge elettorale venga sottoposta al giudizio della Corte Costituzionale, per verificarne la legittimità; ci sono anche proposte di costituire dei Comitati per il “no”, in vista di un referendum abrogativo che potrebbe svolgersi nel corso del prossimo anno, presumibilmente nell’autunno del 2016.
Per iniziativa del Coordinamento per la democrazia costituzionale, a cui fanno capo diverse personalità della cultura, giuridica, politica e storico- economica, associazioni e soggetti collettivi, il 16 ottobre sono stati depositati in Cassazione due quesiti diretti a promuovere in futuro, presumibilmente maggio-giugno 2016, il referendum abrogativo parziale di alcune parti della legge (premio di maggioranza e ballottaggio con premio senza soglia al vincitore; liste bloccate e candidature plurime di capilista).
In diverse sedi giudiziarie, 26 Tribunali a cui fanno capo le diverse circoscrizioni elettorali del Paese, sono state in questi giorni proposte azioni giudiziarie, sullo schema di quella dei tenaci cittadini milanesi riferite al porcellum, questa volta per l’«italicum», nella speranza che la causa non si trascini come l’altra per anni (ben tre elezioni con l’illegittimo porcellum).
Col ricorso si chiede che il Giudice accerti il diritto di votare ed essere votati con modalità conformi alle regole sancite dalla Costituzione, invitando il Tribunale a interrogarsi circa il dubbio di illegittimità costituzionale della legge e pertanto chiamando la Corte Costituzionale a risolvere la questione, prima ancora che la legge possa provocare danni irreversibili.
A Torino, il ricorso è stato firmato, tra gli altri, fra cui notissimi cattedratici e costituzionalisti di chiara fama, da Luigi Ciotti.
Nel contempo, sta nascendo da più parti un movimento per il no alla della Carta costituzionale, con iniziative assunte in diversi contesti locali, come in Piemonte dal Comitato piemontese e valdostano per la difesa della Costituzione, copresieduto dallo scrivente e Diego Novelli, che partecipò attivamente nel 2006 alla battaglia referendaria per il no alla devolution) e, in ambito nazionale, dal Coordinamento per la democrazia costituzionale che ha promosso la costituzione di un Comitato per il no.
Nenni e la legge Acerbo (dall’Avanti! del 20 gennaio 1924): anche allora una legge con meccanismi ultrapremiali
È certamente indiscutibile il valore costituzionale delle leggi elettorali, sempre ben chiaro agli studiosi dei sistemi costituzionali e politici.
Affermò Domenico Romagnoli che “la teoria delle elezioni non è che la teoria della esistenza politica della Costituzione. È evidente che quando il diritto elettorale venga radicalmente modificato è la Costituzione che viene posta in discussione”.
La legge Acerbo (l. 18, novembre 1923 n. 2444), che determinò il consolidamento del regime e la distruzione del sistema parlamentare, prevedeva un Collegio unico nazionale ripartito in 16 Circoscrizioni; rimaneva fermo il voto di lista, su liste concorrenti, con possibilità per l’elettore di esprimere 2 o 3 preferenze, attribuendosi i due terzi del numero totale dei deputati, cioè 356, alla lista che avesse ottenuto il 25% dei voti e il maggior numero di voti in tutto il Collegio unico nazionale. Il restante terzo dei seggi sarebbe stato attribuito a tutte le altre liste, in proporzione dei voti ricevuti e secondo l’ordine di preferenze riportate.
Con la lista unica governativa (il c.d. listone fascista), il partito di Mussolini (che aveva in precedenza solo 35 deputati), cancellò nazionalisti, popolari moderati, liberali e gruppi politici che avevano appoggiato il suo primo governo, conseguendo, in forza del premio, una vasta maggioranza parlamentare di membri “nominati” prescelti dal governo e l’attribuzione di 355 seggi su 535.
E’ interessante notare che, se si fosse applicato il meccanismo delle soglie previsto dall’«italicum», né i socialisti, né il partito comunista sarebbero a quel tempo entrati in Parlamento, Matteotti non sarebbe divenuto deputato e non sarebbe stato assassinato per avere pronunciato alla Camera il suo celebre discorso di denuncia dei misfatti del regime e dei suoi caporioni.
Heri dicebamus!
Così scriveva a proposito Pietro Nenni: “Oggi, prima del decreto di scioglimento, prima della convocazione dei comizi, prima della giornata elettorale, le elezioni sono già fatte e il governo è già plebiscitariamente rieletto colla sua maggioranza fedelissima. Gran virtù della mirifica riforma elettorale, mercé la quale la dittatura si fa dare l’avallo dalla sovranità popolare ridotta a un fantoccio… senza corona e senza scettro! Bisogna proprio essere della levatura portentosa di Michelino Bianchi per insistere sulla necessità di una riforma costituzionale che garantisca al governo il potere per tutta la durata della legislatura. E bisogna essere costituzionali della stoffa della “miserabile classe dirigente”, per non capire che la riforma costituzionale c’è già tutta nella riforma elettorale a cui hanno dato il “placet” tutti i più ortodossi zelatori di tanti princìpi.
Ora le elezioni sono fatte a Palazzo Chigi, là il governo ha manipolato la sua maggioranza futura, ha dato i primi posti e i più numerosi, agli uomini del suo partito, e poi ha dosato il resto con una scelta di ascari fedeli dalle truccature variopinte. Varata ufficialmente quella lista, essa è già eletta, nella sua integrità, senza possibilità di contendenti nel campo nazionale perché la minaccia è sospesa contro chi ardisse da parte costituzionale contrastare razionalmente la lista del governo, che rappresenta il Partito fascista e quindi, senz’altro, la patria. Se non c’è già qui una riforma costituzionale – dato che si possa chiamare riforma… l’abrogazione della Costituzione – non sappiamo quali altre elucubrazioni possano a tal riguardo fermentare nei cervelli geniali dei nuovi statisti pullulati dalla marcia su Roma. […] Basta che il duce arroti i denti, e agiti lo staffile, ed eccoli tutti accovacciati come nella storica seduta del bivacco”.
Certo la storia non si ripete e chi teme svolte autoritarie rischia di passare come profeta di sventura e nuova Cassandra.
Non è questo l’intento di chi ricorda che la legge 31 marzo 1953 n.148, nota come “legge truffa”, prevedeva che alla coalizione che avesse ottenuto la metà più uno dei consensi sarebbe stato attribuito il 65% dei seggi, e che questa legge venne bocciata a furor di popolo e abrogata dagli stessi partiti che l’avevano proposta, in quanto lesiva del principio democratico rappresentativo, ripristinando il sistema proporzionale che non impedì affatto il primo miracolo economico e la crescita del PIL a due cifre per anni.
Rafforzare i meccanismi di efficienza delle Istituzioni non può voler dire compromettere il principio di rappresentatività delle Assemblee elettive, che può essere garantito con sistemi elettorali diversi, e gli stessi principi del costituzionalismo moderno a far tempo dalle Rivoluzioni francese ed americana.
Sovviene ammonitore, a questo punto della forse disperante analisi critica, provvisoria, in attesa di eventi finali, speriamo più democratici, e salvo l’argine del referendum popolare (la cui attivazione felice richiederebbe un clima civile diverso e una consapevolezza della posta in gioco che è da costruire con pazienza), uno dei più alti elogi dell’antagonismo che il pensiero liberale abbia mai registrato, con un brano in cui si può condensare l’essenza dell’etica liberale, di J. Stuart Mill (in Considerations on Representative Government, vol.XIX, p.406): «Nessuna comunità ha mai durevolmente progredito se non quella in cui si è svolto un conflitto tra il potere più forte e alcuni poteri rivali; tra le autorità spirituali e quelle temporali; tra le classi militari o territoriali e quelle lavoratrici; tra il re e il popolo; tra gli ortodossi e i riformatori religiosi».
Il che, come affermò Mill, richiede che venga assicurata una adeguata rappresentanza anche alle minoranze “ciascuna in proporzione dei voti ricevuti”, per evitare e “impedire alla maggioranza lasciata sola di abusare del proprio potere e quindi alla democrazia di tralignare”.
Antonio Caputo, avvocato, Copresidente del Comitato piemontese e valdostano per la difesa della Costituzione,
Presidente Coordinatore della Federazione italiana dei Circoli di Giustizia e Libertà
Pubblicato venerdì 20 Novembre 2015
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