Odio, rancore, insulti, minacce, aggressioni, ostentazioni di fascismo. C’è di peggio: stupri (fra i cui responsabili sembra che ci siano i due boys di CasaPound), omicidi (un lungo elenco di vittime, prevalentemente migranti e donne). Ma che Paese è diventato questo?
Sia chiaro, c’è un’Italia migliore, quella della solidarietà e del vivere civile, ma c’è nel fondo della società un sentire limaccioso, intollerante, qualche volta violento, che è oramai emerso in modo rumoroso, incoraggiato e sollecitato dalla parte peggiore di questo governo. È vero: è il frutto della crisi, del precipitare nella scala sociale di fasce di ceti medi e ceti popolari. Urge perciò una politica che faccia della giustizia sociale e dell’eguaglianza la sua bandiera. Ma guai a fermarci qui: vi sono precise e specifiche responsabilità dei governanti che vanno colte in modo analitico e differenziato. Si dirà: ma l’Anpi giudica i governi? No, l’Anpi non giudica i governi in quanto tali, ma esprime la sua opinione su cosa fanno (o non fanno), su cosa dicono (o non dicono) i governanti, su come attuano (o non attuano, ovvero – forse – violano) la Costituzione, su quali messaggi danno (o non danno) all’opinione pubblica. Da questo punto di vista il precipitare del livello di civiltà del nostro Paese rinvia inequivocabilmente ad una responsabilità di questo governo nel suo assieme.
No, il 2019 non sarà (e non è) un “anno bellissimo”, come a gennaio aveva affermato il temerario Presidente del Consiglio. Pur sapendo che sarebbe errato, oltre che ingeneroso, scaricare ogni responsabilità su di lui, va ricordato che dietro questo Governo c’è un irrisolto equivoco costituzionale. L’articolo 95 recita che “il Presidente del Consiglio dei Ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile”. Sappiamo tutti che Giuseppe Conte, per come è nato il Governo, non dirige la politica ma, nel migliore dei casi, media fra i due veri protagonisti, detentori del potere. C’è quindi un vizio, se non di incostituzionalità, quanto meno di acostituzionalità, tema che varrebbe la pena approfondire. Ma rimane la sua responsabilità, prescritta dalla Carta. Per fare un esempio – se le parole hanno un senso – quanto c’è di politica generale nei comportamenti del ministro dell’Interno rinvia alla responsabilità del Presidente del Consiglio. Tutta la politica sulla migrazione non coincide col disposto dell’art.2 della Costituzione: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo (…) e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Più in generale, l’intera politica falsamente securitaria portata avanti da Salvini in modo fanatico, ossessivo, propagandistico e demagogico rinvia alla responsabilità generale del Presidente del Consiglio. Assieme, va detto però che il Presidente del Consiglio in diverse circostanze, nonostante la tara originaria che lo fa atipico e – per così dire – dimezzato, ha più volte dato prova, per quanto possibile, di autonomia ed anche di intelligenza politica, specialmente evitando che la crisi latente con le istituzioni europee deflagrasse in termini irreversibili e irrecuperabili.
Chiarito tutto ciò, è evidente che il ministro dell’Interno persegue in modo freddo e calcolato una linea di divisione del nostro Paese, alimentando rancori e paure, schierandosi a rappresentante sia della parte più retriva, più radicalmente reazionaria, sia la galassia neofascista, neonazista e razzista che impesta l’Italia. Salvini ostenta questa scelta, la rivendica, la ripropone ogni giorno in forme vecchie e nuove, compreso l’uso blasfemo e tristanzuolo di Santi e Madonne.
Partiamo dai fatti. 2 aprile, Torre Maura, Roma. Presidio non autorizzato di CasaPound contro un gruppo di rom, insomma, la storiaccia dei panini calpestati. 8 aprile, via Facchinetti, Roma. Presidio non autorizzato di CasaPound contro una famiglia rom. 6 maggio, Casal Bruciato, Roma. Presidio non autorizzato di CasaPound contro un’altra famiglia rom. L’altra storiaccia del “Ti stupro”. In tutti questi casi le forze dell’ordine non sono intervenute per sciogliere il presidio non autorizzato nonostante le reiterate e gravissime minacce, gli insulti, il conclamato esercizio di razzismo. Come mai? Vince l’illegalità. Ancora: CasaPound occupa lo stabile di via Napoleone III 8 a Roma da sedici anni; non solo: secondo L’Espresso non paga neppure le bollette avendo accumulato un debito di centinaia di migliaia di euro nei confronti dell’Acea. Tutto ciò viene tollerato dalla pubblica autorità e perciò di fatto legittimato. Ma torniamo al mancato intervento delle forze dell’ordine a Torre Maura, via Facchinetti, Casal Bruciato. Non ci vuole Sherlock Holmes per scoprire che la responsabilità ricade sul ministro dell’Interno. Su scala più grande l’insieme di provvedimenti che tendono a punire i salvataggi di migranti in pericolo di vita rinvia allo stesso tema: “L’obbligo di salvare la vita in mare costituisce un preciso obbligo degli Stati e prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare” (Fulvio Vassallo Paleologo). No ai salvataggi in mare, ma sì ai salvataggi in Parlamento: è il caso di Salvini per il processo sulla vicenda Diciotti grazie al voto dei parlamentari 5Stelle. E ancora: c’è da chiedersi se siano legittimi l’irruzione delle forze dell’ordine negli appartamenti dai cui balconi pendevano lenzuola “sovversive” e i fermi o i controlli nei confronti di persone che lo contestavano in modo civile.
In sostanza il tema che va approfondito è il seguente: se e perché vi sia nei casi esposti (ma se ne potrebbero aggiungere decine, forse centinaia) una sospensione di legalità voluta dal potere istituzionale e specificamente dalle decisioni del ministro dell’Interno. Il suo stesso linguaggio (“zecche rosse”, “moscerini rossi”, solo per citare recenti performance), oltre ad essere intollerabile sulla bocca di un ministro della Repubblica, attesta una inusitata carica di odio, violenza e faziosità. E se fosse lui il presidente del Consiglio, che succederebbe? C’è o non c’è un pericolo concreto per la democrazia e per le libertà oggi (e domani) nel nostro Paese?
Ciò rende inevitabile lo scontro con l’Italia democratica, che (per fortuna) c’è, resiste e risponde colpo su colpo. C’era questa Italia a Casal Bruciato e a Torre Maura, c’è quasi ogni giorno ad “accogliere” il ministro Salvini con cento cartelli, striscioni, dichiarazioni. C’è da anno in piazza nelle forme più diverse. C’era ovunque ed in modo straordinario il 25 aprile da Palermo a Milano. C’è stata nei giorni scorsi, anzi, nelle ore dell’accrocco sovranista di piazza Duomo a Milano con la signora Le Pen, l’olandese Wilders e, ovviamente, Matteo Salvini, con lo spettacolo delle lenzuola sui balconi. Chi di barconi ferisce, di balconi perisce. Ciò che colpisce è che questa diffusa e debordante presenza o è organizzata da associazioni grandi o piccole (a cominciare dall’Anpi, dall’Arci, dalla Cgil) o è del tutto spontanea, e che le sue “forme di lotta” sono speciali e atipiche: dal coro di Bella Ciao che accoglie a Torino l’intervistatrice di Salvini, da cui il libro edito da Altaforte, alla ragazza meridionale che, col pretesto del selfie col ministro, gli dice: “Non siamo più terroni di merda?”, a Simone, il quindicenne che a Torre Maura ha sfidato i ceffi di CasaPound, alle famiglie che espongono – appunto – lenzuolate sui balconi di casa, ai quotidiani gesti di prossimità con i migranti, alla debordante presenza di giovani all’università di Roma per accogliere Mimmo Lucano e per rispondere alle minacce di Forza Nuova. Ci sono sindaci e magistrati che contrastano l’onda nera con la forza della legge e della Costituzione. C’è la chiesa cattolica, a cominciare da Papa Francesco, che insiste con parole e fatti sui temi della fratellanza, e non esita a condannare i comizi profani a base di rosario che appartengono più alla categoria delle bestemmie che a quella delle preghiere. C’è un mondo della società civile e delle istituzioni che non ci sta. Dal profondo della società emergono gli istinti peggiori, è vero. Ma si sente anche il crescere di un respiro solidale, democratico, antifascista. C’è l’Italia della paura, è vero. Ma c’è anche l’Italia del coraggio. Ed è la stessa che si mette in gioco contro le mafie, contro la criminalità.
Da questo punto di vista stupisce un dibattito un po’ palese, un po’ latente che attraversa anche una parte del mondo degli intellettuali democratici, se cioè ci sia o meno un pericolo fascista in Italia. Il pericolo non consiste nel ripetersi meccanico del fascismo storico. Il pericolo è che cresca il potere di formazioni politiche più o meno alleate in cui convivono (e si alimentano reciprocamente) idee nazionaliste, razziste, fasciste e che si istauri una pratica politica e istituzionale che sospenda le regole democratiche in un inedito stato d’eccezione permanente. Il mantra del ministro dell’Interno su ordine, legalità e disciplina è lo stesso di tutti i regimi autoritari del 900. Solo un cieco non vede che stiamo scivolando sul piano inclinato di una sempre maggiore accentuazione delle idee (e delle conseguenti politiche) nazionaliste, razziste, fasciste, declinate in modo inedito. D’altra parte si sa che questo è un trend europeo, anzi, intercontinentale. Infine non va sottovalutato il crescendo di iniziative precipuamente fasciste ed i sempre più frequenti episodi di squadrismo in Italia. Si dice: il pericolo era ben maggiore al tempo del Msi di Almirante, che all’inizio degli anni 70 conseguì un consenso elettorale fra l’8 e il 9%. Ma il Msi non andò mai al governo tranne (come sostegno) al tempo del monocolore di Tambroni. E l’Italia, com’è noto, si rivoltò. Allora per di più c’erano i partiti “dell’arco costituzionale” che costituivano una barriera politica e ideale ed un movimento di popolo tale da far fallire qualsiasi avventura (e ci provarono, a cominciare dal signor Julio Valerio Borghese). Oggi non c’è più nulla di tutto questo. C’è un vuoto siderale. Nel vuoto si accrescono i comportamenti autoritari e i consensi alle forze di estrema destra.
Così arriviamo alle prossime elezioni europee. L’Anpi, com’è suo dovere, ha reso pubblico un appello europeo, condiviso da tante altre associazioni di vari Paesi del vecchio continente, per un voto antifascista. E che sia, ci permettiamo di aggiungere, un voto ragionato. Lo slogan roboante e demagogico è proprio quello che non ci vuole nella allarmante situazione del nostro Paese e dell’intera UE. Lasciamo il qualunquismo fuori dalla porta, anzi, dall’urna. Sì, ci sono anche i terrapiattisti della politica. Abbandoniamoli al loro destino. Si sa che sono tanti gli incerti. Ebbene, si ragioni prima di votare, e si scelga la forza che maggiormente rappresenta la propria scelta democratica, si scelga avendo a mente il presente, ma anche il futuro. Perché è in gioco il destino nostro, dei nostri figli e dei nostri nipoti. Con la passione della politica, certo, ma anche con la coerenza e il rigore che il momento richiede. Il momento forse più difficile dal dopoguerra per il nostro Paese e per l’Europa.
Pubblicato lunedì 20 Maggio 2019
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