Sulla costa tra Vasto e Ortona, in provincia di Chieti, sorgono 25 trabocchi, stretti tra l’azzurro del mare Adriatico e i monti della Majella. In mezzo, vigneti e uliveti si alternano in un paesaggio mozzafiato. Definiti come l’estensione della terra in mare, i trabocchi sono macchine da pesca su palafitte attestate dal XVIII secolo, divenute simbolo di ingegno e fatica di uomini che, senza doversi inoltrare in mare con le imbarcazioni, hanno assicurato sostentamento ittico a intere generazioni.
La loro peculiarità è divenuta oggetto di un disegno di legge di Fratelli d’Italia – che governa la Regione Abruzzo dal 2019 – il cui scopo primario è di escluderli dall’applicazione della Bolkestein (2006/123/CE), direttiva che ha imposto l’obbligo di affidare in concessione il demanio marittimo per scopi turistico-balneari, attraverso procedure di evidenza pubblica. In linea, dunque, con il governo Meloni che lo scorso luglio ha riunito un tavolo tecnico per comprendere come recepire – o come non recepire – la norma. Sul mancato accoglimento della direttiva Bolkestein, nel 2020 la Commissione europea ha avviato intanto una procedura d’infrazione che rischia ancora pesanti sanzioni se non trovasse una soluzione.
“La direttiva europea è ancora oggi oggetto di polemiche e promesse elettorali”, afferma Domenico Cavacini, presidente della sezione Anpi di Vasto dedicata a Vittorio Travaglini – partigiano della Brigata Maiella – mentre il quieto scialacquio delle onde circonda il trabocco Canale, nell’omonima contrada vastese da cui prende il nome. “Per i gestori delle strutture turistiche, la direttiva non dovrebbe applicarsi secondo un errato slogan duro a morire: le concessioni sono beni e non servizi”. Ma aggiunge: “Dimenticano però che un servizio è una prestazione tra cliente e fornitore del servizio e questo vale anche per i numerosi trabocchi del territorio che sono divenuti ristoranti e che pagano un canone demaniale come stabilimento balneare”.
È una storia lunga quella di Fratelli d’Italia con i trabocchi. Oggi queste scenografiche macchine da pesca che resistono alla forza delle maree e alle tipicità delle stagioni sono note più che altro come ristoranti a seguito della legge regionale n.7 del 2019, emanata dalla giunta di destra che guida tutt’ora la Regione, che, definendoli edifici, ha concesso una serie di modifiche strutturali che ne hanno alterato l’architettura. Uno di questi è stato l’ampliamento che consente di ospitare fino a punte di 80/100 persone (benché la legge ne preveda al massimo 60), a fronte delle 8/10 delle strutture originarie. Con ulteriori pesi annessi come tavoli, sedie, frigoriferi.
La legge regionale è stata contestata da comitati cittadini, associazioni ambientaliste e per la tutela del patrimonio storico-culturale, come Italia Nostra, che ne hanno denunciato un cambio di destinazione d’uso che non solo compromette la funzione testimoniale di questi manufatti, sanandone gli abusi, ma non rispetta neanche la pubblica incolumità. Eppure la premessa del ddl promosso da Fratelli d’Italia dice: “La destinazione ad attività di ristorazione non si pone in contrasto con il principio di tutela”. Ma le cronache locali spesso raccontano altro: abusi edilizi, violazioni delle concessioni demaniali e quindi anche danni erariale, nonché sversamenti di reflui non trattati finiti direttamente nel tratto di mare antistante l’attività ristorativa.
“È evidente che la messa in atto di questa metamorfosi – hanno scritto le associazioni, tra cui Italia Nostra e Wwf – è legittimata da una legislazione regionale che ha voluto favorire uno sparuto gruppetto di operatori della ristorazione, a svantaggio anche degli operatori della terraferma. Ci lascerà – sottolineano – un marchio svilito e, cosa ancor più grave, un paesaggio del tutto degradato, incapace di rappresentare in modo genuino e verace il suo territorio di riferimento”.
“Io non li definirei più trabocchi”, chiosa Nicola Menna, classe 1938, uno dei traboccanti che ha costruito con le sue mani la macchina da pesca, il Canale, tutelato dalla Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per le province di Chieti e Pescara. “Li chiamerei ristoranti sul mare e basta, perché in questo modo il trabocco è stato snaturato, ha perso il suo spirito che era quello di luogo silenzioso dove pescare”. E racconta la sua storia salata, comune a tutti i traboccanti, dei pali issati agli scogli con la bassa marea, portati con una zattera là dove il mare è profondo 6 metri, dopo aver bucato la roccia con il piccone e ottenuto i permessi dalla Marina. Del materiale di risulta utilizzato per la sua costruzione, ideato dagli ortolani che non sapevano né remare né pescare ma avevano bisogno di sfamarsi.
“Uno dei nostri piatti tipici – dice Menna – è il Brodetto alla Vastese che è un piatto povero, un parallelo culinario del trabocco perché mischia i prodotti dell’orto e della pesca. Infatti i traboccanti che non avevano l’orto, pescavano il pesce e lo barattavano con gli ortaggi”.
Stesso discorso per i materiali di risulta con cui veniva costruito un trabocco: pali del telefono, travi, bulloni e fil di ferro spesso provenienti dai vicini cantieri della ferrovia, oggi divenuta la Via Verde della Costa dei Trabocchi, la pista ciclo-pedonale costruita dopo l’arretramento dei binari della linea adriatica. E racconta ancora, l’anziano traboccante, dei suoi legami con la Seconda guerra mondiale. “Scavando con la zappa il sentiero che porta al trabocco, trovai delle casse di munizioni della guerra. L’amico con cui le ho trovate aveva fatto il militare come artificiere, abbiamo così aperto i bussolotti, tolto la polvere da sparo e venduto l’ottone dei proiettili. Con quei soldi ho comprato le reti di questo trabocco”, dove Menna continua a pescare con i suoi figli, tramandando questa antica sapienza anche ai nipoti.
Questa è una delle zone d’Italia da cui passava la Linea Gustav, la linea difensiva tedesca che si estendeva dalla foce del fiume Garigliano, confine tra Lazio e Campania, fino a quella del fiume Sangro, a sud di Pescara. Sull’odierna Costa dei Trabocchi, Vasto, denominata Garrison town ovvero Città della guarnigione, dove ebbe sede il quartier generale di Bernard Law Montgomery che, a comando dell’VIII Armata inglese, riuscirà a respingere i nazisti e a liberare Fossacesia e San Vito Chietino e Torino di Sangro. Qui, sulla collina che affaccia sul paese, sono seppelliti oltre 2.600 militari appartenenti al Commonwealth britannico, disposti a semicerchio lungo il pendio come in un anfiteatro.
E ci ricordano la ferocia e la violenza della guerra che segnò aspramente anche Ortona che, bombardata dagli Alleati e devastata dai tedeschi, sarebbe stata ricordata come la Stalingrado d’Italia a causa dei combattimenti tra i due eserciti che si svolsero tra le strade e le case della città stessa, pagando la sua liberazione con il sangue di oltre 1.300 civili. “Dalle sue macerie e dalle sue ferite grida eterna maledizione alla monarchia dei tradimenti del fascismo e della rovina d’Italia, anelando giustizia dal popolo e dalla storia nel nome santo di repubblica” recita la targa nei pressi del porto da dove si imbarcarono il re e il governo per raggiungere Brindisi dopo la fuga da Roma del 9 settembre 1943.
Più su, nel centro della cittadina, piazza degli Eroi Canadesi e il Moro River Canadian War Cemetery ricordano gli oltre duemila militari canadesi che qui persero la vita in nome della libertà. Libertà che non sarebbe stata possibile senza il contributo della Brigata Maiella, l’unica formazione partigiana ad aver ricevuto la Medaglia d’Oro al Valor Militare, che spicca sullo stendardo custodito nella Sala delle bandiere all’altare della Patria, a testimonianza della sua peculiarità e della sua evoluzione istituzionale: da formazione spontanea a Corpo volontario della Maiella, secondo la denominazione concordata con il Comando britannico, fino a Banda patrioti della Maiella con l’inserimento nell’esercito italiano. Principale artefice della nascita del movimento fu Ettore Troilo, considerato il massimo esponente dei gruppi militari antifascisti che si organizzarono nelle zone del Sangro e della Maiella tra l’autunno e l’inverno del 1943.
Tornando ai trabocchi e al ddl di Fratelli d’Italia, “ci sono delle contraddizioni”, rileva Antonio Pellegrini, presidente della sezione Anpi di Ortona intitolata a Dario Serafini, prigioniero politico deportato nel campo di concentramento di Dachau da cui non fece mai ritorno. “Il testo così presentato contrasta con il verdetto della Corte Costituzionale che, con una sentenza del 2020, la 138, ha detto che non è possibile recuperare o ricostruire i trabocchi che non sono più operativi perché crollati o demoliti. Invece Fratelli d’Italia mirerebbe anche a questo”. Lo scopo sembra piuttosto evidente poiché, come affermano i traboccanti, attualmente sui trabocchi si pesca sempre meno perché i banchi di pesce sono sempre meno.
“Altra contraddizione – continua il presidente della sezione di Ortona che lo scorso anno ha organizzato il Percorso della Memoria sui luoghi del ’43 – è che dichiarano di voler tutelare il territorio ma non agiscono in quella direzione perché si oppongono duramente all’istituzione del Parco Nazionale della Costa Teatina che potrebbe essere davvero un ulteriore volano di sviluppo”.
Nel 2001, almeno sulla carta, era stata infatti sancita l’istituzione del Parco a cui manca solo la firma del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per attuare il decreto che lo renda operativo. Una battaglia lunga oltre vent’anni portata avanti anche da associazioni ambientaliste che hanno posto l’attenzione sulle ragioni per cui non accade: “il poco intoccabile e il molto disponibile” di una costa poco antropizzata che continua a fare gola a quelle politiche “della cementificazione a tutti i costi”. E continuando a lasciare fuori dalla discussione pubblica il mare, ovvero il più ampio e complesso scenario dell’ecosistema uomo-ambiente.
Mariangela Di Marco, giornalista
Pubblicato venerdì 8 Dicembre 2023
Stampato il 21/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/servizi/labruzzo-e-i-trabocchi-ecco-lambiente-secondo-fratelli-ditalia/