“Prometto la memoria” è quanto scritto da una studentessa del Liceo di Correggio che ha partecipato al Viaggio della Memoria 2017 organizzato dall’Istituto storico di Reggio Emilia.
Ha scritto per sé e per i compagni, cercando di dare un senso ai molti pensieri sorti dall’esperienza: “Prometto la memoria. So che non è nulla per quei morti – ha aggiunto – ma è quanto di meglio io, noi possiamo fare. Non si deve considerare la storia come passato da cui è indipendente il futuro! Chi ha commesso tutto ciò era un umano, erano tanti umani. Cosa differenzia me da loro? Cosa mi dà la certezza che io o i miei compagni un giorno non saremo capaci di tanto odio? Nulla. Torno da questo viaggio con un peso in più sulle spalle: quello della consapevolezza che porto con cura e fierezza, pur sapendo che mi costerà fatica affermarla ogni giorno”.
Questo pensiero potrebbe riassumere il senso di un viaggio della memoria, questo come le tante altre riflessioni, i tanti appunti condivisi dai partecipanti.
Per gli organizzatori i pensieri degli oltre mille studenti, di tutte le scuole superiori della provincia, impegnati nell’esperienza sono una cartina di tornasole dell’efficacia del viaggio, degli argomenti da approfondire, degli stimoli da fornire. A questo scopo da anni Istoreco mette a disposizione, durante il viaggio, una stanza (in albergo), la “redazione”, a cui gli studenti possono accedere liberamente fino a mezzanotte, dove trovano computer, libri, operatori sempre presenti a cui, volendo, chiedere informazioni, approfondimenti, ascolto o trovare uno spazio tutto per sé per rielaborare. Perché il Viaggio della Memoria reggiano è davvero un’esperienza complessa che coinvolge direttamente ogni partecipante e che approccia il periodo storico da più angolature.
L’edizione 2017 – la 19ª – ha avuto come mèta Berlino, non vista solo come centro del potere nazista, ma anche come luogo di resistenze, spesso non riconosciute: per quest’anno il lavoro di Istoreco si è infatti concentrato sugli IMI, i deportati militari italiani, oltre 700mila soldati che dopo l’armistizio non accettarono di arruolarsi nelle SS italiane e nella RSI. Non volevano più combattere e pagarono prezzi altissimi: anni di lavori forzati e di schiavitù uniti a maltrattamenti e disprezzo. Loro non erano solo schiavi, erano i traditori di Badoglio.
Un viaggio per insegnare il valore di saper dire “no”, di come l’obbedienza non necessariamente sia una virtù. Per capire che è sempre possibile essere se stessi indipendentemente dal gruppo, agire senza paura delle conseguenze per fare ciò che crediamo e sentiamo giusto.
Tante le emozioni e le informazioni da affrontare, ed è per questo che Istoreco cerca di dotare il più possibile i viaggiatori di strumenti scientifici che permettano loro di rielaborare in autonomia.
Il cammino di avvicinamento al viaggio ha visto quindi varie tappe. Un ciclo di incontri in ogni classe, con approfondimenti storici curati dal personale dell’istituto e da colleghi italiani o stranieri invitati appositamente. Laboratori didattici su biografie di IMI e lavoratori coatti a cui sono state dedicate altrettante “pietre d’inciampo”, alla presenza dell’ideatore di queste piccole targhe commemorative, l’artista Gunter Demnig. Una mostra nella sinagoga cittadina, “I soldati che dissero NO”, incentrata sulle vicende dei quasi 8mila IMI reggiani, fra testimonianze e ricostruzioni postume.
Infine, l’incontro di Mirella Stanzione – una delle pochissime italiane sopravvissute a Ravensbruck, il campo di concentramento femminile a nord di Berlino – con gli studenti, in una bellissima mattinata al teatro municipale “Valli”.
Il Viaggio vero e proprio ha poi portato gli studenti a Ravensbruck e a un altro campo dall’enorme valore storico: Sachsenhausen, aperto nel 1936, nei giorni delle Olimpiadi, e spesso indicato come modello per il sistema concentrazionario nazista.
“Ho solo due parole per descrivere ciò che ho visto, sconforto e delusione – ha scritto Luca dell’Istituto Motti –. Sconforto: perché mi sono reso conto di quanto l’umanità sia caduta in basso per seguire ideali che convincono le masse a muovere guerra senza un evidente motivo; delusione: per la facilità con cui le persone, piuttosto che schierarsi a difesa di oppressi e perseguitati si girino dall’altra parte e facciano finta di nulla”.
Non poteva poi mancare come argomento la resistenza – quella “passiva” – degli IMI con la visita a Schoneweide, ex campo di lavoro nel bel mezzo di un quartiere operaio della capitale, e quella interna. Berlino ospita, infatti, un curatissimo Museo della Resistenza che ricorda tutte le opposizioni al nazismo, dai primi tentativi degli anni 20 alla nascita dell’Orchestra Rossa (secondo Wikipedia l’Orchestra Rossa – die Rote Kapelle – è il nome dato dalla Gestapo a reti di spionaggio a favore dell’Unione Sovietica che operavano durante la seconda guerra mondiale nell’Europa occupata dai nazisti o in Svizzera, o a gruppi di resistenza antinazista in Germania che non svolgevano necessariamente attività di spionaggio. Ndr), dall’attentato dell’operaio comunista Georg Elser alla ben più celebrata “Operazione Valchiria” (il fallito attentato del 20 luglio 1944 per assassinare Adolf Hitler).
Un programma intensissimo, quindi, che ha toccato anche altri luoghi simbolo come la fabbrica di Papà Weidt, l’imprenditore che ha salvato i dipendenti non vedenti dalla deportazione, e il Muro di Berlino e lo splendido museo ebraico realizzato da Daniel Libeskind. Fra le tappe più apprezzate quella allo Stadio Olimpico, perfetto esempio della visione e dell’abilità propagandistica del nazismo.
“Le parole che disse la nostra guida al muro (una ragazza giovane, che ha vissuto col muro 14 anni) – ha scritto Marco C. del Liceo Moro – mi hanno colpito, per la semplicità e la spontaneità con cui hanno espresso un aspetto che oggi quasi nessuno vede… forse proprio per questo suo essere scontato: «Il muro di Berlino è stato eretto per impedire alle persone di fuggire, per contenerle; mentre i muri che oggi vengono eretti servono a impedire alle persone di entrare. Ma entrambi hanno un aspetto in comune: negano il diritto di ognuno a decidere dove voler vivere» (…) mi ha ferito: perché non ci avevo mai badato prima. Lì trovai un indizio per la risposta alla domanda che tutti da tanti mesi si pongono: «Accogliere?»”.
Il viaggio Istoreco si conclude, da sempre, con una commemorazione finale in un luogo simbolo. È l’unico momento in cui le classi si incontrano per condividere quanto vissuto. La cerimonia vede studenti leggere le proprie riflessioni, suonare o parlare liberamente. Il luogo scelto quest’anno era un boschetto a Treuenbrietzen, nella campagna al sud di Berlino, nei resti di una cava di sabbia che durante la guerra ospitava una fabbrica. Lì lavoravano tanti IMI e solo loro vennero uccisi il 23 aprile 1945, quando già la guerra era persa, finita. I nazisti, ormai scacciati, tornarono al campo per vendicarsi dei “traditori” italiani. Li separarono dagli altri prigionieri e li fucilarono. Dei 131 ragazzi ne sopravvissero solo quattro, salvati dai corpi dei compagni. Fra i 127 caduti un reggiano, Allenin Barbieri. Nel paese, dove aveva vissuto libero per l’ultima volta, ora c’è una pietra d’inciampo a suo nome.
E dopo questo momento collettivo gli studenti sono ripartiti, portando a casa esperienze nuove e intense.
“Non ci è possibile comprendere come ci si possa ammazzare per un motivo così futile come la guerra. Non è possibile trovare dotte citazioni, valide ragioni che possano spiegare quello che gli uomini sono in grado di fare. Forse non è nemmeno necessario comprendere quello che è successo ma occorre non dimenticarlo. Forse arriverà così il giorno in cui riusciremo a seppellire in una grande fossa i pregiudizi, l’odio e la guerra. Giulia Fantini Istituto Zanelli”
Gemma Bigi, ricercatrice
Gli studenti hanno realizzato un diario di viaggio con le loro riflessioni e le loro foto. È tutto pubblicato sul sito www.ilfuturononsicancella.it
Pubblicato martedì 21 Marzo 2017
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