Una storica foto dell’Excelsior, l’aeroporto partigiano

Lo avevano chiamato “Excelsior”, il più alto, in latino. E tra chi permise agli aerei inglesi e canadesi di atterrare in una stretta striscia di terra ricavata nel paesaggio dolce delle Langhe, tra Vesime e Cortemilia, ci fu “Vetta”, l’allora diciottenne partigiano Lucio Tomalino. Era un luogo adatto per quello che probabilmente fu l’unico aeroporto utilizzato dai partigiani insieme ai militari alleati, attivo tra il 19 novembre 1944, proprio ottant’anni fa, e l’aprile del 1945.

Lucio Tomalino, il partigiano “Vetta” (lo scatto è di Donatella Alfonso che lo intervistò per il libro “La ragazza nella foto. Un amore partigiano” e per “Noipartigiani.it, il Memoriale della Resistenza italiana

Insomma una storia tutta vissuta guardando in alto. E a dargli il nome di battaglia – sorrideva lui raccontando questa storia unica – fu il comandante Poli, il piemontese Piero Balbo, comandante della II Divisione Langhe dei badogliani, immortalato da Beppe Fenoglio come il comandante “Nord” de Il partigiano Johnny.

“Chissà, forse mi diede quel nome perché ero molto alto” raccontava sorridendo “Vetta”, scomparso all’inizio dello scorso giugno a 98 anni d’età nella sua casa di Chiavari, la città della riviera di levante dove lui, ligure di nascita e piemontese d’adozione, era tornato a vivere ed era stato presidente dell’Anpi, effettivo e onorario solo nell’ultimo anno. Ma, prima, dal 1985 al 2016 era stato a capo dell’Israt, l’Istituto storico della Resistenza di Asti, ultimo della rete degli istituti storici ad aver vissuto in prima persona l’esperienza partigiana, nel suo caso nella 2ª Divisione Autonoma Langhe, Brigata Rocca d’Arazzo. “Il chimico paziente” lo ha definito in una nota commossa proprio l’Israt, ricordandone l’attività professionale di enologo e la sua capacità di ascoltare e analizzare, in ogni occasione.

(foto di Donatella Alfonso)

Ma nella casa di Chiavari, accanto alla moglie Amelia Casalone, a sua volta staffetta partigiana, coetanea e compagna di vita e passioni per 75 anni – nel febbraio scorso avevano festeggiato le nozze di cristallo – una manciata di anni fa Lucio Tomalino spiegava sul tavolo del salotto le carte fornite dai comandi alleati e i documenti riguardanti l’avventura dell’aeroporto Excelsior, tra cui una preoccupata nota del comando repubblichino.

Una storia dimenticata o rimossa per molto tempo, fino ai primi anni del terzo millennio: dal 2016 invece, grazie a Israt e Anpi oltre alla riscoperta anche giornalistica dei fatti, il Comune di Vesime ospita un piccolo museo dedicato all’aeroporto langarolo nascosto nelle “top hills” come le raccontava Fenoglio: lo scrittore, per inciso, ebbe Lucio Tomalino come suo responsabile nell’impiego della casa vinicola Marengo di Alba.

Quando Piero Balbo detto Poli, il comandante degli autonomi e il maggiore del Soe (Special Operation Executive) Neville Darewski, meglio noto come Temple, pensarono a un campo d’aviazione nel cuore del territorio in mano ai tedeschi e ai repubblichini, lo vollero nascosto fra il fiume e le masse dei colli, in mezzo a cascinali, campi di grano, alberate. Ma dove?

(archivio fotografico Anpi nazionale)

“Vetta” raccontava così: «Il comandante Poli, insieme al maggiore Temple, andarono in moto a girare le campagne. Al ritorno, io ero al comando della divisione e mi dicono: l’abbiamo trovato, ma c’è una casa proprio nel mezzo, bisogna andare a convincerli a lasciarla abbattere. Io vado là con alcuni compagni, parlo con il contadino e la moglie, avevano due figlie, due belle ragazze. Loro si consultano, poi lui mi dice: “Se mi date i soldi per ristrutturare una cascina che è poco distante, va bene”. E le ragazze dicono “Sì, ma che bello!”. Io, che sono contento, gli dico: “Beh, potreste anche darmi un bacino”, ma loro non vogliono. E poi succede che, all’inaugurazione del Museo, pochi anni fa, arriva una vecchia signora e mi dice: “Senta, io le devo un bacino, sono quella ragazza della casa nel campo, lei è stato il primo uomo che mi ha chiesto un bacio…”».

Perletto, cippo in ricordo dei caduti (foto Pietre della memoria)

L’aeroporto venne approntato in un tempo record: in virtù della progettazione tecnica di Pasquale Balaclava e della supervisione di Giorgio Caffa, “venne costruito in soli undici giorni dai partigiani, in collaborazione con la popolazione locale e con l’apporto di trentacinque prigionieri fascisti. La lunghezza della pista, all’inizio di 900 metri, fu allungata ulteriormente fino a raggiungere i 1100 metri”. I tedeschi lo misero fuori uso nei grandi rastrellamenti del 1944, arandolo. E, a pochissima distanza, nei pressi del ponte di Perletto, tra Vesime e Cortemilia, il 12 febbraio del 1945 ci sarà un agguato degli esploranti della San Marco ai partigiani che vedrà, tra gli altri, cadere il partigiano badogliano Ermanno Vitale, (di cui ha già parlato Patria Indipendente) ucciso a pietrate benché si fosse arreso sul greto della Bormida, perché riconosciuto come appartenente ad una famiglia alessandrina di origini ebree. Vitale, medaglia d’argento al valor militare, fu a sua volta uno degli uomini che parteciparono alla vicenda dell’aeroporto partigiano.

In alto nella foto un C47 Dakota, in basso a sinistra un aereo Lysander Wertland, in basso a destra un B-25 MItchell

Nel marzo e nell’aprile successivi, le missioni britanniche e i partigiani rimisero in funzione la pista, come si può vedere dalle fotografie scattate allora da due sergenti inglesi (ora sono custodite all’ Imperial War Museum di Londra). E così all’inizio di aprile del 1945 un gruppo di paracadutisti alleati, americani, canadesi e inglesi, poté far ripartire i voli sulla pista: è stato calcolato che Excelsior ospitò almeno quattro Lysander, un B-25 Mitchell, un C47 Dakota: utilizzati per scaricare armi e sostegni ai resistenti, e per evacuare i feriti.

Agosto 1944. Operazione Dragoon. A sinistra Winston Churchill

Ma nei piani degli Alleati Excelsior poteva essere ancora di più: come raccontava Tomalino illustrando la grande carta un po’ ingiallita, «Questa ce la diedero gli americani, ci serviva per seguire i lanci: in quel periodo gli Alleati valutavano anche un possibile sbarco dal mare, tra Imperia e Savona». Sarebbe stato il seguito naturale dell’operazione Dragoon, che il 15 agosto 1944 portò alla liberazione della Provenza dopo gli sbarchi sulle spiagge tra Cavalaire-sur-Mer e Saint Raphaël che permisero nei giorni seguenti la presa dei porti di Tolone e Marsiglia e la progressiva riconquista della valle del Rodano fino a Lione.

Il piccolo aeroporto tra le vigne langarole, sarebbe stato la punta più avanzata – il più in alto, insomma, da qui il nome – per un’operazione che invece non ci fu mai. Ma il cui ricordo, grazie a uomini come “Vetta”, resta uno dei più affascinanti della storia meno nota della Resistenza italiana.

Donatella Alfonso, della Redazione di Patria, è autrice di numerosi libri, tra cui La ragazza nella foto. Un amore partigiano