Zagabria. È un posto con risate e lacrime, inconsueto e intimo che raccoglie piccole storie personali che potrebbero essere le nostre. In un luogo di passaggio, nella città alta della capitale croata, sorge un piccolo museo dal nome eccentrico: “Museo delle relazioni interrotte” (www.brokenships.com) in cui persone comuni da tutto il mondo possono inviare i ricordi e gli oggetti delle loro storie d’amore finite, un modo per elaborare la perdita e una nuova condizione senza la persona amata. Si condivide in anonimo la propria storia di amore interrotto con altri sconosciuti – e sono numerosi – che visitano il piccolo e delizioso museo ogni giorno. Questa insolita esposizione ha anche fatto il giro del mondo, di recente il museo ha aperto una filiale anche a Hollywood che, si sa, fattura moltissimo sulle storie d’amore, in qualsiasi modo finiscano. Gli oggetti esposti, frutto di donazioni, sono collocati in una serie di sale completamente bianche con i soffitti a volta e i pavimenti in resina. Alla fine dell’esposizione in molti acquistano “la gomma per cancellare i brutti ricordi” perché non tutte le storie d’amore meritano di essere ricordate.
Questo piccolo museo offre però ad ognuno la possibilità di superare il crollo emozionale in modo creativo, si dà vita a una specie di rito: espongo un oggetto, parlo in anonimo di questa storia, dò un riconoscimento formale alla fine di un rapporto e aiuto altri “spettatori” del mio dolore. L’intento degli ideatori di questo luogo è far vedere storie/oggetti che rappresentino dei modelli universali in cui ognuno a seconda della sensibilità può riconoscersi. In molte di queste storie finite c’è traccia di violenza, di amore malato, in altre c’è il filo doloroso della guerra.
In questo luogo della vivace Zagabria c’è posto anche per una storia di amore e resistenza molto significativa, che tralascia i confini temporali e diventa permanente, purtroppo, conflitto dopo conflitto.
La crudele realtà di una guerra mette in comune nella lotta e nella difesa dei diritti basilari persone diverse e però affini che assieme alla durezza della vita custodiscono un amore. Così leggiamo in anonimo la bella storia di una ragazza del 1942 (oggi scomparsa) di Marburgo (Slovenia) che durante la seconda guerra mondiale si trova per caso ad accompagnare una collega alla caserma di Melja a cercare gli zii e portare loro del cibo. “Erano stati catturati dai tedeschi e più avanti deportati da Marburgo – si legge –. Eravamo andati anche a controllare in dogana dove c’erano i prigionieri di guerra. Al lato sud c’erano quelli inglesi, al lato nord invece quelli jugoslavi”.
Così le due giovani approfittano di un momento di distrazione del soldato di guardia, che si era allontanato voltando loro le spalle, e riescono a far passare il sacco di cibo oltre la recinzione. “Dall’altra parte – racconta la sconosciuta nella storia affidata al museo – un soldato molto alto e simpatico mi aveva stretto la mano nella quale mi aveva messo un bigliettino. Sopra vi era battuto a macchina il suo indirizzo di Banja Luka”. Si trattava di un vice sergente, che la giovane il giorno dopo cercherà invano alla dogana. Non c’erano più né inglesi né jugoslavi. I croati a quanto pare erano andati a casa mentre gli inglesi erano stati messi su un treno diretto a nord. La sconosciuta decide così di scrivere al soldato per chiedergli se era tornato sano e salvo a casa, a quell’indirizzo ricevuto su un bigliettino.
Pochi mesi dopo – siamo agli inizi del 1943 – la giovane slovena riceve invece una cartolina militare dal campo di concentramento di Landeck (in Austria): è la prima lettera del “suo” soldato. Da lì iniziò la corrispondenza tra la giovane e il soldato originario di Banja Luka (oggi in Bosnia Erzegovina, ndr), almeno una lettera a settimana con foto e ricordi personali.
Era un modo per consolarsi, per far passare giorno dopo giorno tempi bui. La signora, ormai anziana, in questo Museo delle relazioni interrotte racconta la sua storia di amore perduto attraerso un video. “Anch’io gli mandavo fotografie affinché mi ricordasse e per consolarlo dato che viveva imprigionato, lontano dalla patria, dalla famiglia, lontano dalla speranza che quella vita spietata in preda alle guardie tedesche sarebbe finita presto, dice la sconosciuta. Nelle mie lettere lo incoraggiavo a rimanere forte, gli dicevo che tutto sarebbe ritornato alla normalità”. La donna racconta che questo soldato si era innamorato di lei e dunque in qualche modo si sentiva “responsabile” nei suoi confronti, doveva aiutarlo ad avere fiducia nonostante la prigionia e quei lunghi anni di guerra. “Gli avevo anche inviato un paio di calzini per sopportare il freddo e alcune altre cose”, scrive. Quando finalmente gli inglesi arrivarono al campo di Landeck il “mio soldato” mi inviò tre pezzi di cioccolata e tre sacchetti di caffè tramite un signore di Marburgo”.
L’8 maggio del 1945 ci fu l’ultima cartolina spedita dal campo di concentramento di Landeck. Così finalmente il soldato poté recarsi a Marburgo in visita alla giovane, e presentarsi alla famiglia. La giovane però era impegnata per l’intera giornata a organizzare aiuti con cibo e provviste per la città. Il momento in cui hanno potuto stare un po’ insieme – si legge – fu durante una conferenza dei partigiani nel parco di Marburgo. Il soldato propose alla protagonista della nostra storia di seguirlo a Belgrado, dove suo zio gestiva un panificio. Lei non si sentì pronta per cambiare vita, lui il giorno dopo partì per Belgrado regalandole una moneta d’oro con l’effigie di Napoleone. Dopo una cartolina da Zagabria, il soldato che si firmava Vajo le scrisse da Belgrado: avrebbe custodito i ricordi che lo avevano aiutato a resistere nel campo di prigionia.
La signora e il soldato si rifecero una vita dopo la guerra (si sposarono, ebbero figli, eccetera) ma lui ogni tanto continuava a scrivere e a informare la donna nonostante, dopo quei lunghi anni di lettere, fossero stati insieme in un parco appena due o tre ore. La donna si sposò a metà anni Cinquanta e la sua fede aveva sopra quella moneta d’oro ricevuta in regalo. Nonostante abbia avuto figli, nipoti e poi sia rimasta vedova, M. R. – queste le sue iniziali – ha conservato per tutta la vita quel ricordo di forza e di determinazione nonché di amore interrotto con quel soldato alto e sorridente di Banja Luka.
Antonella De Biasi, giornalista e saggista. È stata redattrice del settimanale “la Rinascita”. È autrice e curatrice di Curdi (Rosenberg & Sellier 2018)
Pubblicato giovedì 7 Marzo 2019
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