Con il nostro Angelo Ficarra e il compianto storico Prof. Giuseppe Carlo Marino avevamo deciso di pubblicare nel primo numero della collana quaderni dell’ANPI di Palermo, in seguito trasformata in collana dell’ANPI Sicilia, gli atti di un breve convegno, quale contributo alla conoscenza e difesa di una memoria collettiva che in Sicilia ritrova anche nel passato dei movimenti popolari le radici profonde dell’antifascismo militante.

Pompeo Colajanni., il comandante “Barbato”

Ed è proprio durante questo breve convegno tenuto in una sezione del Partito Comunista di Palermo che il Comandante partigiano Pompeo “Barbato” Colajanni, insieme per l’occasione con alcuni storici e militanti del partito, si racconta. Nonostante siano ben note le imprese che egli ha condotto con i suoi uomini e donne sulle montagne e nelle città del Piemonte fino alla Liberazione assieme alla piazza della città di Torino, la sua testimonianza, anche se breve, è di grande valore politico e umano, e penso vada riletta.

Brigata partigiana in Piemonte durante un momento di svago

Barbato: “Io dovevo fare solo un ringraziamento commosso a voi che mi avete onorato chiamandomi a sentire queste cose che così mirabilmente ha detto il nostro caro storico compagno e fratello, ed è quindi inutile che vi stia a dire le avventure della cospirazione che noi organizzammo partendo da Caltanissetta a cominciare dal 1932, e del resto qualche cosa l’ha già scritto Figurelli. Dirò soltanto che quando iniziai la guerra partigiana, io, così come Pajetta aveva già scelto durante la fase cospirativa contro il regime, il nome di Nullo, un garibaldino, volli assumere il nome di battaglia di Nicola Barbato, col preciso proposito di collegare alla guerra di Liberazione, alla Resistenza questa nostra antica lotta per la giustizia e per la libertà del popolo e dei lavoratori siciliani”.

Giancarlo Pajetta, al centro, con Berlinguer e Pecchioli in uno scatto del 1950

Continuava Barbato: “E qui colgo l’occasione per precisare qualche cosa che Valiani ha detto a proposito della primogenitura della banda di Galimberti, a Cuneo. Perlomeno quattro o cinque giorni prima della banda Galimberti, a Cuneo sorse nella notte del 10 Settembre la banda Barge, comandata da chi vi parla in questo momento con il nome di Nicola Barbato e da Giancarlo Pajetta che aveva nel frattempo per ragioni cospirative assunto anche il nome di battaglia di Rossi”.

Portella della Ginestra 2010, al Sasso di Barbato (1856-1923)

Il ricordo continuava: “Nella notte del 9 settembre, mentre ancora Pajetta non aveva avuto il tempo per raggiungermi, venne invece Conte, che fu il mio primo commissario. E qui affiora un altro ricordo che tocca da vicino i miei sentimenti. Nella notte del 10 settembre sulla strada di Cavour, dalla quale sarei partito qualche ora dopo con gli uomini del mio squadrone per la montagna, c’era una giovane donna, la Lina, eravamo sposati, ma prima del matrimonio l’avevo messa in guardia, bada, le avevo detto, mi spaccio come ufficiale di cavalleria e avvocato, ma la verità era – sia detto per inciso – che io ero stato già denunciato al tribunale militare di guerra in Sicilia, avevo subito l’inchiesta formale e me l’ero cavata come avrei scoperto più tardi quando fui al ministero della Guerra, grazie a un provvidenziale rapporto dei Carabinieri che smentiva completamente la denuncia della Questura. Ebbene, io dissi ancora a Lina che era incinta al nono mese di Luigi: ‘Amore mio, tu devi andare da tua madre, io ti debbo lasciare, perché come tu sai, comincia la nostra guerra’. Lei non mosse collo, rimase lì, nella strada deserta di Cavour. Io la ricordo ancora – incancellabile questo ricordo – voi capirete: quella giovane donna aveva 21 anni, era incinta al nono mese, e io da Barbato me ne andai a raggiungere Nullo, costituendo la prima banda d’Italia”. Epperò con Giancarlo cominciarono i primi contrasti. Lui voleva infatti che la banda si chiamasse Garibaldi perché la direttiva era di ricostruire la “Garibaldi” all’interno di un disegno politico che non è questa la sede per illustrare. Io però non potevo rinunciare a Nicola Barbato, e non c’era niente da cambiare, e con quel nome di battaglia rimasi e tale rimango anche oggi in Piemonte”.

Quadro di Giuseppe Sciuti che rappresenta il patriota Carlo Pisacane

Aveva una sua idea Barbato: “Io non volevo invece rinunciare a un altro personaggio che è molto caro al nostro storico, e cioè Carlo Pisacane. Voi capite perché. Perché Carlo Pisacane era il personaggio più avanzato del Risorgimento italiano, molto più avanzato di Mazzini. Quindi Pajetta era per dare il nome di ‘Garibaldi’, io ostinatamente per ‘Pisacane’. Finalmente arrivammo a un compromesso e la chiamammo la prima banda ‘Garibaldi Carlo Pisacane’. E così cominciammo la battaglia, la guerra partigiana che poi abbiamo portato avanti”.

Milano, 1955, 4° Congresso nazionale Anpi, sta intervenendo Luigo Longo della Presidenza onoraria Anpi. Seduti si riconoscono Alcide Cervi e accanto Pietro Secchia

Ancora: “E se anche combattevamo al Nord – ed ebbi modo di dirlo a Secchia durante una conferenza in Sicilia – anche se noi combattevamo al Nord, dicevo, il cuore nostro era soprattutto al Sud. Oggi combattiamo al Sud, ma l’Unità d’Italia di Nord e Sud la realizzammo nella Resistenza, che oggi rinverdisce grazie anche al sacrificio di uomini che tutti onoriamo, e ricordo per tutti Pio La Torre e il suo fedele e caro compagno e giovane e generoso Di Salvo. E tutti i martiri della seconda Resistenza, della nuova Resistenza. È inutile che io li ricordi. Già vi ha parlato il nostro Massimo quando ha parlato di Portella della Ginestra che questo martirio simboleggia”.

La Fiat 131 dove vennero assassinati Pio La Torre e il suo autista e compagno di partito Rosario Di Salvo

Concludeva poi Barbato: “Io mi sono fatto trasportare un po’, volevo rendere solo una testimonianza, e volevo anche informare il nostro storico, visto che io non ho scritto nulla della mia vita, ma, chissà forse, un giorno…  Chissà che un giorno non mi decida, ma mi conforta il fatto che quando le cose le dico davanti a questo straordinario personaggio, state certi che le cose che non scrivo io, le scriverà lui perché certe testimonianze è difficile che se le lasci sfuggire. Io vi sono grato e torno a dirvi grazie con commozione”.

Ottavio Terranova, presidente provinciale Anpi Palermo, componente Comitato nazionale Anpi