Ho conosciuto personalmente e frequentato Tina Anselmi quando presiedeva la Commissione Nazionale per la Parità e le Pari Opportunità nel 1984. Non ricordo che ci fossimo incontrate nelle aule parlamentari perché, quando Tina venne eletta alla Camera dei Deputati, nel 1968, io ero al Senato. Era stata eletta alla Camera dei Deputati a quarantun anni, dopo molti anni di attività nel sindacato, prima dei tessili, poi degli insegnanti elementari.
Tina Anselmi era stata partigiana. A 17 anni si era iscritta alla DC, era entrata in una brigata partigiana e aveva partecipato alla lotta armata: spesso parlava del problema angoscioso che era stato per lei dover sparare, dover uccidere. Anche per lei, come per me, uno dei motivi che la avevano spinta a impegnarsi nella Resistenza, erano state le leggi razziali del fascismo, l’allontanamento dalla scuola dei suoi compagni di classe ebrei. Ma, soprattutto, la sua scelta era nata dal trauma subito per essere stata costretta ad assistere nel settembre del ’44 a Bassano del Grappa all’impiccagione, da parte dei nazisti per rappresaglia, di 31 prigionieri.
A Tina, Ministro del Lavoro, si deve la legge 125 del 1991 sulla parità tra uomo e donna. E a lei, quando fu ministro della Sanità dobbiamo in gran parte l’approvazione della Riforma Sanitaria.
Avevo avvertito immediatamente nei suoi confronti, sintonia e simpatia, sebbene lei fosse democristiana e io comunista, lei fosse stata la prima donna Ministro nella storia dell’Italia repubblicana e io avessi sempre fatto parte, in Parlamento, dell’opposizione.
La sintonia e la simpatia nascevano dal fatto che ritrovavo in lei un modo di intendere la politica, che condividevo.
Per Tina Anselmi, infatti, la politica era passione, militanza, attività al servizio di un’idea. Erano la sua attività e il suo modo di agire una boccata d’aria fresca in un clima politico, in quegli anni, carico di veleni, di idee reazionarie, qualunquiste ed antifemministe, connotato dalla ricerca dell’interesse e del potere personale.
La sua abnegazione era straordinaria. Rammento una riunione, che si svolse in Spagna, non so più se a Madrid, a Siviglia o a Toledo, delle Commissioni per la parità dei Paesi dell’Unione Europea, convocata dalla Commissione per la parità dell’UE. Tina aveva una gamba ingessata, ma sebbene sofferente, partecipò costantemente a tutti i lavori di quella assemblea.
E forse è per questa sua totale dedizione al “bene comune” che Tina non si è sposata.
Il secondo motivo di sintonia nasceva dalla sua passione per l’emancipazione e la liberazione delle donne, dalla sua consapevolezza che le donne erano portatrici nella vita sociale e politica di una “differenza” di approccio ai problemi, che nasceva dal loro duplice impegno nella famiglia e nell’attività lavorativa e professionale; di una concretezza assai positiva per la società. “Quando le donne si sono impegnate nelle battaglie” – scrisse Tina Anselmi – “le vittorie sono state vittorie per tutta la società. La politica che vede le donne in prima linea è politica di inclusione, di rispetto delle diversità, di pace”.
Fu assai significativa la sua posizione sul problema del rapporto tra la Democrazia Cristiana e la gerarchia ecclesiastica: difendeva con forza l’autonomia del Partito democristiano e condannava le ingerenze vaticane nella politica italiana e ogni tentativo di condizionare le scelte del partito di ispirazione cristiana, di farne una sorta di portavoce degli orientamenti di Oltretevere.
Tina Anselmi ebbe un ruolo decisivo, quale Presidente della Commissione di Inchiesta sulla P2, nella denuncia dei pericoli che correvano la democrazia italiana e la Costituzione e nell’appello alla partecipazione alla vita politica: “La nostra storia – disse – ci dovrebbe insegnare che la democrazia è un bene delicato, fragile, deperibile […] non è solo libere elezioni, non è solo progresso economico. È giustizia, è rispetto della dignità umana, dei diritti delle donne. È tranquillità per i vecchi e speranza per i figli. È pace”.
Come ebbe occasione di dire Achille Occhetto, con Tina Anselmi si era amici anche se avversari politici.
Marisa Rodano, antifascista, membro dei Gruppi di Difesa della Donna, già parlamentare per il Pci e già Presidente nazionale dell’Unione Donne Italiane
Pubblicato venerdì 18 Novembre 2016
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