La democratica Europa militarizza i propri confini e nega i più elementari diritti umani, tra cui il diritto d’asilo sancito dalle varie costituzioni (in Italia vale l’articolo 10) e dalle convenzioni internazionali (Ginevra, Dublino I e II) sottoscritte da quasi tutti i Paesi, e attua una politica di “accoglienza” fatta di respingimenti e di espulsioni, smantella i campi di accoglienza e affida il lavoro sporco di guardiano dei confini continentali orientali addirittura al premier turco Erdogan, l’aguzzino dei curdi e degli oppositori interni.
Non abbiamo avuto neppure il tempo di gioire per l’abbattimento del muro di Berlino – 9 novembre 1989 – ingenuamente illusi che una nuova era di giustizia e cooperazione tra i popoli potesse avere inizio, che, alla prima seria ondata migratoria, l’Europa ha pensato bene di innalzare degli odiosissimi muri, più spessi e alti dei precedenti, più minacciosi e sicuri, muri traboccanti di odio e disprezzo.
Muri di pietra, di calcestruzzo, muri metallici, in doppia e tripla fila, muri sofisticati, iper tecnologici (a quando quelli con filo elettrico da 10.000 volt?). La grande muraglia d’Europa gradualmente si completa e non s’avvede che imprigiona se stessa.
A bloccare la rotta balcanica è stata per prima la Grecia nel 2011 con un fossato lungo 120 km, largo 30 metri e profondo 7, seguita dalla Bulgaria nel 2013 che ai confini con la Turchia ha eretto una barriera di reti metalliche e filo spinato lunga 160 chilometri, poi è stata la volta dell’Ungheria di Orban che ha fatto costruire una barriera lunga 175 km ai confini con la Serbia presidiata da 10mila agenti, dopo aver già sigillato le frontiere con la Croazia e la Slovenia. Poi la Macedonia, l’Austria al Brennero…
Attualmente è in piena costruzione il muro tra Francia e Gran Bretagna, là dove c’è la famigerata “giungla” di Calais in fase di smantellamento: con i soldi inglesi, ma in pieno territorio francese, il Vallo di Adriano del terzo millennio (quello antico del II secolo, divideva la Britannia dalla Scozia, costituiva il limes più settentrionale dell’impero romano) ha la stessa funzione di frenare l’arrivo dei nuovi barbari provenienti questa volta da Sud. Per la sua contemplazione estetica (o per un raffinamento di malignità) il muro avrà dipinto da un lato dei fiori.
Sulla costa africana, in Marocco, nelle enclave spagnole di Ceuta e Melilla, negli anni Novanta, sono state costruite tre barriere parallele di differente altezza la cui sommità è ribaltabile, cioè dotata di un marchingegno che fa cadere chi tenta di attaccarvisi. La barriera è dotata di potentissimi riflettori e strumenti per la visione notturna. Costo dell’operazione 30 milioni di euro, pagati in parte dall’Unione Europea.
A proteggere invece il lato sguarnito, quello marittimo, prospiciente l’Italia e la Grecia, ci sta già pensando il Mediterraneo, il mare Monstrum che tutto inghiotte…
I muri non fermano le ondate migratorie, ma le deviano verso altre direttrici procurando pericoli maggiori. Come negli Stati Uniti, tra Tijuana e San Diego, ai confini col Messico, in cui la barriera d’acciaio ultra-tecnologica (telecamere a infrarossi, sismografi che rilevano il movimento dei corpi umani, torri di osservazione, ecc.) e supersorvegliata da veicoli ed elicotteri armati, ha spostato l’immigrazione clandestina verso zone più pericolose come il deserto dell’Arizona dove ogni giorno decine di messicani rischiano la morte per disidratazione o per annegamento nel Rio Grande del Norte. Fu fatta costruire da Bill Clinton.
“Bienvenida a Tijuana, bienvenida mi amor, bienvenida la suerte, bienvenida la muerte” (Manu Chao).
I muri servono a placare momentaneamente le proteste dei gruppi più reazionari, aggraveranno i problemi del traffico di esseri umani, ma sia chiaro, i muri non servono a niente:
“Il Terzo Mondo sta bussando alle porte dell’Europa, e vi entra anche se l’Europa non è d’accordo. Il problema non è più decidere (come i politici fanno finta di credere) se si ammetteranno a Parigi studentesse con il chador o quante moschee si debbano erigere a Roma. Il problema è che nel prossimo millennio (e siccome non sono un profeta non so specificare la data) l’Europa sarà un continente multirazziale, o se preferite “colorato”. Se vi piace, sarà così; e se non vi piace, sarà così lo stesso” (U. Eco, Cinque scritti morali, 1997).
Muri invalicabili come abbiamo visto, muri di pietra, di legno, di terra, muri epici come quelli di Troia o di Cnosso, ciclopici come quelli di Babilonia, (lunghi 15 km, spessi 8 metri e alti 100, un tempo facevano parte dell’elenco delle sette meraviglie del mondo antico), cinici come quello di Wall Street, che distribuisce miseria e ricchezze al mondo intero, sacri come il Muro del Pianto a Gerusalemme, il pianto per gli antichi torti subìti e il pianto di pentimento, si vorrebbe credere, per torti restituiti ingiustamente ad altri.
La costruzione del muro di Palestina, in Cisgiordania, è stata condannata con due risoluzioni dell’ONU nel 2003 e nel 2004 e dalla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia. Il muro è lungo 730 km e alto 8 metri, circondato da fossati tra i 60 e i 100 metri, ha torri di controllo ogni trecento metri. Ingloba assieme alle colonie israeliane la quasi totalità dei pozzi, è equipaggiata di barriere elettroniche. Il Vaticano ha preteso da Israele che le chiese e monasteri fossero inglobati nella parte israeliana.
Terminiamo qui questa sinistra rassegna dei muri del Novecento (ci sarebbe quello di Gorizia, fatto costruire da Tito nel 1947 e rimasto su fino al 2004, quello di Belfast, di Cipro, della Corea, dell’Ucraina); a noi interessa cogliere la sua portata simbolica ed evidenziare che nell’immaginario collettivo il muro richiama un concetto di esclusione, di separazione, c’è “un al di qua” e “un al di là”, un “dentro” e un “fuori” a cui è negata ogni possibilità di interagire. Il muro presuppone un “universo contro”, la presenza di un nemico, di un avversario da cui proteggersi. E perciò in quello spazio libero che intercorre tra noi e loro, su quella linea immaginaria chiamata “confine” deve perentoriamente materializzarsi un impedimento, una demarcazione, un muro.
Nella terra di nessuno, nella No man’s land, ci resteranno loro, i profughi, i migranti, soli e disperati, increduli e sfiduciati, marceranno silenziosi e a testa bassa lungo questa “muraglia/che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia” (E. Montale).
I muri resteranno in piedi tracotanti e beffardi a ricordarci le nostre colpe e la nostra ignavia, fino a quando vinceremo la nostra inerzia e, come per le mura di Gerico, li abbatteremo con le nostre trombe e col nostro grido di guerra.
There’s a battle outside/and it is ragin./ In’ll soon shake your windows/and rattle your walls/for the times they are a-changin – C’è una battaglia fuori/e sta infuriando./Presto scuoterà le vostre finestre/e farà tremare i vostri muri/perché i tempi stanno cambiando (“The times they are a-changin” Bob Dylan).
Salvatore Pugliese, ricercatore universitario a Paris X-Nanterre
Pubblicato venerdì 18 Novembre 2016
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