Da http://www.corriere.it/methode_image/2015/05/21/Interni/Foto%20Interni/onore-593x443.jpg?v=20150523000130
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Quest’anno, a Vittorio Veneto, luogo-simbolo della partecipazione italiana alla Prima guerra mondiale, le celebrazioni del 4 novembre saranno caratterizzate da un evento alquanto distante dalla ritualità delle cerimonie ufficiali. Grazie all’iniziativa del comune di Vittorio Veneto e del Museo della battaglia, con il patrocinio della Camera dei deputati, verrà infatti reso omaggio alla memoria dei militari italiani ai quali fu irrogata la pena capitale durante il periodo 1915-’18; li ricorderanno un docente universitario, Guglielmo Cevolin, un magistrato già sostituto procuratore militare, Sergio Dini, e due deputati, Gian Piero Scanu e Giorgio Zanin, rispettivamente primo firmatario e relatore alla Camera dei deputati della proposta di legge n. 2741 (Disposizioni concernenti i militari italiani ai quali è stata irrogata la pena capitale durante la Prima guerra mondiale), finalizzata ad attivare il procedimento per la riabilitazione dei soldati italiani condannati alla pena capitale nel triennio 1915-’18, nonché per restituire l’onore militare e riconoscere la dignità di vittime di guerra a quanti furono passati per le armi senza processo con la brutale pratica della decimazione o per esecuzione immediata e diretta da parte dei superiori.

Questa proposta di legge, presentata alla Camera il 21 novembre 2014 e sottoscritta da sessanta deputati, adempie al dovere storico e civile di riaprire una pagina dimenticata e di riportare alla luce episodi particolarmente drammatici, che portarono alla fucilazione di oltre mille militari italiani, per reati militari puniti con estrema severità dal Codice penale militare del 1869, in vigore durante gli anni del primo conflitto mondiale. L’iniziativa legislativa, inoltre, riprende e sviluppa i temi e le richieste già avanzate, il 4 novembre 2014, nell’appello rivolto al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio, e ai Ministri dei beni culturali, della difesa e della giustizia, da numerosi studiosi e personalità del mondo della politica e della cultura.

MARCHIO 2

Raccogliendo tale appello, già il 4 maggio 2015, il Presidente Mattarella, in un significativo messaggio inviato in occasione di un Convegno organizzato dal Museo storico italiano della guerra di Rovereto, aveva sottolineato la necessità di non “lasciare in ombra alcune pagine tristi e poco conosciute di quegli anni di guerra” riferendosi in particolare all’esercizio della cosiddetta “giustizia sommaria” da parte dei tribunali militari. “Una prassi – ricordava il Capo dello Stato – che includeva la fucilazione immediata, senza processo, e persino il ricorso – sconcertante, ma incoraggiato dal comando supremo – alle decimazioni: soldati messi a morte, estratti a sorte, tra i reparti accusati di non aver resistito di fronte all’impetuosa avanzata nemica, di non aver eseguito ordini talvolta impossibili, di aver protestato per le difficili condizioni del fronte o per la sospensione delle licenze”.

Malgrado i numerosi e importanti studi (richiamati anche nel messaggio presidenziale) che hanno ricostruito quelle dolorose vicende, a partire dal pionieristico lavoro di Alberto Monticone ed Enzo Forcella (Plotone di esecuzione, pubblicato nel 1968 da Laterza), fino a quello più recente, di Irene Guerrini e Marco Pluviano (La fucilazioni sommarie nella Prima guerra mondiale, pubblicato dall’editore Gaspari nel 2004), il nostro Paese registra ancora dei gravi ritardi in materia di riabilitazione dei militari vittime di una repressione condotta con modalità particolarmente brutali, che già all’epoca non mancarono di suscitare reazioni e condanne, anche da parte di militari di alto grado, preoccupati della tenuta del morale delle truppe assoggettate a una disciplina inflessibile, mantenuta con una severità spesso sconfinante in violenza arbitraria e indiscriminata.

Il generale Luigi Cadorna (da http://www.lagrandeguerra.info/img/489.jpg)
Il generale Luigi Cadorna (da http://www.lagrandeguerra.info/img/489.jpg)

In effetti, i numeri della repressione attuata nell’esercito italiano colpiscono ancor di più se confrontati con quelli degli altri Paesi belligeranti: la Francia, che inviò al fronte un numero di soldati pari al doppio di quelli impiegati dall’Italia, e sostenne un impegno bellico più prolungato, condannò alla pena capitale meno di 700 soldati; la Gran Bretagna condannò 306 soldati, la Germania pochissimi. L’Italia, con 10 mesi di guerra in meno, condusse davanti al plotone di esecuzione 750 militari a seguito di “regolare” processo, ai quali vanno aggiunte le circa 300 fucilazioni sommarie documentate. Subito dopo la fine delle ostilità, la Relazione sulle decimazioni ed esecuzioni sommarie durante la Grande Guerra redatta dal capo della giustizia militare, generale Tommasi per incarico del generale Albricci, ministro pro tempore della Guerra, sottolineò l’uso indiscriminato e l’illegittimità di molte delle condanne irrogate sotto il comando del generale Cadorna, ma l’ostilità con cui furono accolte queste conclusioni dai vertici militari dell’epoca inaugurò una prassi di omertà e rimozione destinata a protrarsi per decenni, fin quando i fatti non furono riportati alla luce dagli studi sopra ricordati.

Alcuni Paesi si sono fatti recentemente carico di adottare misure per riparare ai torti derivanti da un prolungato oblìo: in Nuova Zelanda, Canada e Gran Bretagna, tra il 2000 e il 2006, sono state approvate leggi per riabilitare la memoria dei militari vittime della giustizia militare e includerli nel novero dei “caduti in guerra”, mentre in Francia il Presidente Hollande ha deciso di far erigere un monumento ai fucilati all’Hôtel National des Invalides come atto di riconciliazione nazionale. In Italia, malgrado le ricorrenti dichiarazioni di intenti, stentano a decollare iniziative pubbliche di rilievo per la riabilitazione delle vittime della “giustizia sommaria”, ancora oggi del tutto assenti fin nelle lapidi commemorative e nei monumenti, e lo stesso Comitato tecnico-scientifico per la promozione d’iniziative di studio e ricerca sul tema del «fattore umano» nella Prima guerra mondiale, istituito con decreto del Ministro della difesa 16 ottobre 2014, ha prodotto fino ad ora risultati interlocutori e non esenti da una certa reticenza sulla questione delle esecuzioni capitali.

Anche per queste ragioni, preoccupa la diluizione dei tempi dell’esame del disegno di legge presentato dall’onorevole Scanu, discusso dalla Camera – in abbinamento con un analogo disegno di legge n. 3035 (Disposizioni concernenti i militari italiani ai quali è stata irrogata la pena capitale durante la Prima guerra mondiale e per la riabilitazione storica dei militari sottoposti a esecuzione sommaria o decimazione) presentato dal Gruppo del Movimento Cinque Stelle – e approvato, pressoché all’unanimità (dei 332 deputati presenti, 331 hanno votato a favore e uno si è astenuto), il 21 maggio 2015. Dopo più di un anno, il provvedimento è ancora all’esame della Commissione difesa del Senato, che ha costituito un comitato ristretto.

In che cosa consiste la proposta di legge è presto detto: con l’articolo 1 si provvede all’attivazione d’ufficio della procedura per la riabilitazione dei militari condannati a morte nel corso della Prima guerra mondiale per reati di assenza dal servizio (diserzione) e per i reati in servizio, come lo sbandamento, e i fatti di disobbedienza, ancorché collettiva; restano esclusi i responsabili di delitti che sarebbero stati tali anche in tempo di pace, quali i delitti di omicidio, saccheggio e violenza sessuale, nonché i responsabili di atti di spionaggio. Viene attribuito alla giustizia militare (articolo 1, comma 2), nella persona del Procuratore generale militare presso la Corte militare d’appello, l’obbligo di presentare le richieste di riabilitazione al tribunale militare di sorveglianza in ordine a tutti i casi documentati di condanna alla pena capitale, nel termine di un anno dalla data di entrata in vigore della legge. Conseguentemente, a seguito di autonoma valutazione del tribunale militare di sorveglianza, sono estinte le pene accessorie, comuni e militari, nonché ogni effetto penale e penale militare delle sentenze di condanna alla pena capitale emesse dai tribunali militari di guerra, ancorché straordinari, nel periodo considerato, ivi compresa la perdita del grado eventualmente rivestito (articolo 1, comma 3).

Il complesso del Vittoriano a Roma
Il complesso del Vittoriano a Roma

Con l’articolo 2, comma 1, sono restituiti l’onore militare e la dignità di vittime della guerra a quanti furono passati per le armi, addirittura senza processo, facendo anche ricorso alla pratica della decimazione o per esecuzione immediata e diretta da parte dei superiori: si prevede pertanto che su istanza di parte presentata al Ministro della difesa, i nomi dei militari delle Forze Armate italiane che risultino essere stati fucilati nel corso della Prima guerra mondiale in forza delle disposizioni all’epoca vigenti, siano inseriti nell’Albo d’oro del Commissariato generale per le onoranze ai caduti, dando comunicazione dell’iscrizione al comune di nascita del militare per la pubblicazione nell’albo comunale. Infine, per rendere evidente la volontà della Repubblica di chiedere il perdono di questi caduti, si prevede l’affissione di una targa in un’ala del Vittoriano in Roma; a tal fine, il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca bandirà uno specifico concorso riservato agli studenti delle scuole medie superiori per selezionare il testo da esporre (articolo 2, comma 3).

Di particolare rilievo, dal punto di vista della promozione della ricerca storica, è la disposizione in forza della quale il Ministero della difesa dispone la piena fruibilità degli archivi delle Forze Armate e dell’Arma dei carabinieri per tutti gli atti, le relazioni e i rapporti legati alle operazioni belliche, alla gestione della disciplina militare nonché alla repressione degli atti di indisciplina o di diserzione (articolo 2, comma 4). Inoltre, con l’articolo 3, si dispone la pubblicazione, in forme che assicurino la massima divulgazione, dei lavori del Comitato tecnico-scientifico per la promozione d’iniziative di studio e ricerca sul tema del «fattore umano» nella Prima guerra mondiale, al fine “di promuovere una memoria condivisa del popolo italiano sulla Prima guerra mondiale”.

Si tratta, nel complesso, di un insieme di misure che, se attuate, colmerebbero una lacuna giuridica e culturale, la cui persistenza è in palese contrasto con i princìpi di pacifica convivenza e di ripudio della guerra che, sanciti nella Costituzione repubblicana, sono ormai appannaggio di una memoria della Grande Guerra comune a tutte le nazioni che presero parte al conflitto.

Occorre adempiere senza ulteriori indugi al dovere di riabilitare quanti furono vittime di circostanze che oggi una più matura consapevolezza storica e civile degli eventi della Grande Guerra non può più permettersi di ignorare. È pertanto necessario che il disegno di legge già licenziato dalla Camera dei deputati venga al più presto definitivamente approvato dal Senato e che a tal fine vengano superate remore e perplessità che possono derivare da un malinteso senso dell’onore militare, onore che non è leso ma, al contrario, confermato e rinvigorito, dal riconoscimento e dalla condanna degli effetti deleteri prodotti da una concezione distorta e distruttiva della disciplina in seno alle Forze Armate, emblematica di un distacco profondo tra il popolo e le sue istituzioni militari. E a tale proposito, non si può non esprimere l’auspicio che l’imminente centenario della tragedia di Caporetto, quando i vertici dell’Esercito coprirono le loro responsabilità imputando alla “viltà” dei soldati e alla propaganda “sovversiva” le cause della disfatta, possa essere celebrato in un contesto di ricomposizione di una memoria comune, nella quale trovi il giusto riconoscimento, anche attraverso l’iniziativa del legislatore, il ricordo delle sofferenze di chi, incolpevole, cadde per volontà dei propri superiori e per mano dei propri commilitoni.


Tre domande all’onorevole Scanu

Gian Piero Scanu (da http://lanuovasardegna.gelocal.it/polopoly_fs/1.13280604.1460421093!/httpImage/image.jpg_gen/derivatives/detail_558/image.jpg)
Gian Piero Scanu (da http://lanuovasardegna.gelocal.it/polopoly_fs/

Abbiamo chiesto a Gian Piero Scanu, deputato del Pd e attualmente Presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli effetti dell’utilizzo dell’uranio impoverito, di esprimere le sue valutazioni in ordine alle iniziative in corso per la riabilitazione dei militari italiani condannati a morte durante la Prima guerra mondiale e sull’andamento della discussione parlamentare della proposta di legge n. 2741, Disposizioni concernenti i militari italiani ai quali è stata irrogata la pena capitale durante la Prima guerra mondiale, di cui è primo firmatario.

 

Come nasce l’idea di una proposta di legge sui soldati condannati a morte dai tribunali militari durante la Prima guerra mondiale?

In occasione del centenario dell’entrata in guerra, soggetti istituzionali e non si sono adoperati per rileggere quelle drammatiche pagine di storia. C’è chi lo ha fatto con la retorica di circostanza, troppi purtroppo, e chi invece è andato oltre. Tra questi, ricordo l’appello rivolto da 50 intellettuali, molti dei quali storici di grande valore, al Presidente della Repubblica, per riabilitare i nostri soldati fucilati con sentenze a dir poco approssimative. Analoga richiesta è stata rivolta dall’Ordinario Militare al Ministro della Difesa. Il ministero ha risposto con l’istituzione di un Comitato.

Il Comitato di cui lei parla è quello istituito il 16 ottobre 2004, con decreto del Ministro della Difesa, per la promozione d’iniziative di studio e ricerca sul tema del «fattore umano» nella Prima guerra mondiale. Come giudica l’attività di questo organismo?

Qualunque iniziativa che si proponga un approfondimento e la ricerca della verità, seppur a volte scomoda o dolorosa, è sempre positiva. E tuttavia, è necessario chiarire che la riabilitazione non è nelle competenze di un comitato tecnico-scientifico, né in quelle del Governo. L’Istituto della Riabilitazione è nelle mani della magistratura, che come è noto, è un potere indipendente. Con la nostra proposta di legge abbiamo previsto la riapertura d’ufficio dell’istanza di riabilitazione che ovviamente non potrà più essere prodotta dall’interessato, fucilato 100 anni fa. Sarà la magistratura militare, valutando, caso per caso, le sentenze ad emettere l’atto di riabilitazione. Il Parlamento non ha fatto altro che il proprio dovere: solo la forza della legge può avviare il processo di riabilitazione.

La proposta di legge di cui è primo firmatario è stata approvata dalla Camera dei deputati all’unanimità (un solo astenuto) e con il sostanziale assenso del Governo. Eppure, malgrado un ampio consenso, a due anni dalla sua presentazione, l’iter di approvazione sembra ancora lontano dalla conclusione. Quali sono, a suo avviso, le ragioni di questo ritardo?

È del tutto evidente che il Senato sia stato fatto a sua volta prigioniero dalla retorica che tuttora pervade alcune gerarchie militari e non trova il “coraggio”, dopo 100 anni, per cancellare una delle pagine più raccapriccianti della nostra storia militare.