“Il mondo, nel 2016, sarà più sicuro. L’accordo con l’Iran dimostra che nulla è così efficace quanto la cooperazione, quando si cercano soluzioni durevoli”. Le parole di Federica Mogherini, Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, sono del dicembre 2015 e poche settimane dopo sembrano datate, come i buoni propositi per il nuovo anno che si scontrano con la realtà quotidiana. Edward Lorenz – matematico statunitense considerato il padre della teoria del caos – nel 1972 tenne una conferenza dal titolo “Può, il batter d’ali di una farfalla in Brasile, provocare un tornado in Texas?”.
Attualizzando il concetto, “Possono 47 esecuzioni in Arabia Saudita rimettere in gioco un processo di normalizzazione con l’Iran?”.
Proviamo a rispondere ricostruendo i fatti.
Il 2 gennaio il governo di Riyadh ha giustiziato 47 “oppositori”, tra i quali l’Imam sciita Nimr al-Nimr. Appresa la notizia, la folla prende d’assalto l’ambasciata saudita a Teheran ed il consolato d’Arabia a Mashad. La farfalla batte le ali, i Sauditi ed il Bahrein richiamano in patria gli ambasciatori, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti sospendono i rapporti politici con la Repubblica islamica d’Iran. A New York un Consiglio di Sicurezza Onu, ormai in campagna elettorale per il successore di Ban Ki-moon, condanna Teheran con una mozione ufficiale firmata da Usa, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna (membri permanenti), Angola, Malesia, Nuova Zelanda, Spagna, Venezuela, Egitto, Giappone, Senegal, Ucraina e Uruguay (membri non permanenti). L’Iran, colpevole di non aver protetto le sedi diplomatiche saudite, incassa; Riyadh riceve un generico richiamo orale al rispetto dei diritti umani. Non una riga sulle 47 decapitazioni, silenzio sugli oltre 2.000 oppositori in carcere a Manama, capitale del Bahrein.
Nulla di cui stupirsi, quando ci si ricorda che a presiedere il Comitato consultivo del Consiglio Onu dei diritti umani è Faisal bin Hassan Trad, ambasciatore dell’Arabia Saudita presso le Nazioni Unite.
Posto che il Paese di Sua Eccellenza rifiuta l’ingresso degli ispettori dell’Onu dal 2008, ma che nella lettera di candidatura dell’Arabia al Consiglio Onu per i diritti umani c’era scritto che “la Shari’a islamica, sulla quale l’Arabia Saudita fonda la sua legislazione, garantisce i diritti umani di tutti” ci si sarebbe potuto aspettare qualcosa di più …
Un’attenta lettura del testo della lettera, consultabile sul sito dell’Onu, rivela però che “Sulla base della costante dedizione dell’Arabia Saudita per i diritti umani e del dovere dello Stato di rendere effettivi e proteggere tali diritti in accordo con i trattati internazionali, il Governo (saudita, n.d.a.) ha creato una Commissione per i diritti umani che risponde direttamente al Re nella sua capacità di primo Ministro”. Il quale, sempre secondo lo stesso documento, ha graziosamente contribuito con 200.000 dollari al Fondo dell’Onu per i diritti umani, ha versato un milione di dollari al Fondo per l’Uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne (pur conservando il divieto per le stesse di condurre autoveicoli), ha firmato un assegno di 500 milioni di dollari per il Programma Alimentare mondiale, agenzia dell’Onu con sede a Roma e messo a disposizione dei Paesi in via di sviluppo una cifra pari a 103 miliardi di dollari. Verrebbe quasi da pensare, con il consueto pessimismo italico, che i Sauditi abbiano acquistato l’incarico, con il supporto politico dei Paesi sunniti.
A Bruxelles si cerca di stemperare, nelle conversazioni ufficiose si ricorda che l’Arabia Saudita percepisce da sempre la Repubblica Islamica d’Iran come una minaccia e che questa sia una delle ragioni che spingono Riyadh a sostenere finanziariamente il wahabismo – movimento sunnita ultraconservatore – e propagarlo nel mondo. Una specie di “asset strategico”, una componente di geopolitica che però, con i recenti sviluppi del sedicente Stato Islamico, rischia di ritorcerglisi contro.
Incontro all’aeroporto di Parigi un consulente francese in partenza per Teheran. Un passato nel gabinetto del ministro degli esteri, ora esperto indipendente al servizio di grandi gruppi industriali d’oltralpe. Viaggia leggero, ha lasciato a casa lo smartphone e porta con sé un vecchio Nokia con 3 numeri di telefono memorizzati senza nome: l’ambasciata di Francia, uno dei 970 francesi ufficialmente residenti in Iran, “un amico in caso di necessità”.
“I sauditi sono nervosi. Il prezzo del greggio scende e ora pare abbiano un buco di bilancio di 100 miliardi di dollari. L’FMI presume il fallimento in 3 anni, un amico banchiere sostiene che se non cambiano politica saranno in bancarotta tra meno di 2 anni. L’Iran, invece, ricomincia ad essere una terra d’investimenti e questo Riyadh non può accettarlo. La scelta saudita di non diminuire la produzione di greggio, facendo crollare i prezzi, colpisce certo gli americani – che cominciano ad esportare – e la Russia, ma intende soprattutto mettere in difficoltà Teheran. L’Arabia produce circa 10 milioni di barili, l’Iran arriva oggi a 3 ma potrebbe facilmente crescere a 4,5 e la cancellazione delle sanzioni offre interessanti possibilità d’investimento. I Sauditi fanno e faranno di tutto per limitare il ritorno sul mercato di Teheran: prezzi di favore ai clienti tradizionali dell’Iran, Cina e India ma anche ai consumatori europei.
Ed i Paesi UE vivono in pieno i problemi derivati dall’incapacità politica di posizionarsi e dal legittimo desiderio dell’industria di trovare nuovi mercati. Salman bin Abd al-Aziz Al Saud, sovrano e primo ministro saudita, è il principale cliente dell’industria bellica francese e Hollande può solo ringraziarlo per aver acquistato da Areva, salvandola dal fallimento, due reattori nucleari da 12 miliardi di dollari. Ma l’industria privata ha altre regole e se Teheran diviene più interessante di Riyadh non può permettersi di lasciare campo libero ai tedeschi o ai russi. Si dice che Mohammed bin Salman, ministro della difesa saudita, abbia promesso a Putin 10 miliardi di dollari di investimenti in Russia. Ma Mosca è alleato storico di Teheran e di Assad ed il riavvicinamento franco-russo, cui si aggiunge la posizione tedesca e forse italiana sulla cancellazione delle sanzioni verso la Russia, mette in crisi non solo l’Europa di Bruxelles ma soprattutto la Francia”.
A questo punto i Paesi europei devono decidere: o si schierano fattivamente contro il Califfato di Al Baghdadi – e rimettono in discussione l’alleanza con l’Arabia Saudita – o mantengono l’attuale portamento – una finta equidistanza in cui i governi dicono una cosa e l’industria nazionale ne fa un’altra – sperando che i crampi dovuti alla posizione circense arrivino il più tardi possibile.
Federica Mogherini, nelle sue dichiarazioni di fine anno, sosteneva che una cooperazione tra le forze sunnite e sciite, o tra le nazioni musulmane ed i loro partners internazionali, fosse quello che più spaventava lo Stato Islamico. A giudicare dalle ali della farfalla, parrebbe che il Califfo possa continuare a dormire sonni tranquilli.
Filippo Giuffrida, giornalista, Presidente ANPI Belgio, membro del Comitato Esecutivo della FIR in rappresentanza dell’ANPI
Pubblicato venerdì 15 Gennaio 2016
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