Una recente sentenza della Corte Costituzionale, a partire da una specifica controversia in Abruzzo, sancisce che “è la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione”
Con la sentenza n. 275 del 2016, la Corte Costituzionale ha fornito una prima importante interpretazione, costituzionalmente orientata, dell’art. 81 della Costituzione, come riformato dalla Legge costituzionale n. 1 del 20.4.2012 (“Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale”), entrata in vigore l’8.5.2012. Detto per inciso, quest’ultima legge costituzionale è stata caratterizzata da un iter di approvazione rapidissimo (circa otto mesi) e da un ampio consenso delle forze parlamentari; il che ha disinnescato il rischio che la stessa venisse sottoposta a referendum popolare, poiché l’art. 138 Cost. stabilisce che «Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti».
Preliminarmente, è bene ricordare che tale legge costituzionale – approvata sotto il governo Monti, in attuazione di un impegno assunto dal IV governo Berlusconi nel contesto europeo del “fiscal compact” – ha introdotto nel nostro ordinamento un principio di carattere generale, secondo il quale «tutte le amministrazioni pubbliche devono assicurare l’equilibrio tra entrate e spese del bilancio e la sostenibilità del debito, nell’osservanza delle regole dell’Unione europea in materia economico-finanziaria. In particolare, con la modifica dell’articolo 81 Cost., lo Stato deve assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle diverse fasi – avverse o favorevoli – del ciclo economico e delle misure una-tantum, in linea con quanto previsto dall’ordinamento europeo. Il ricorso all’indebitamento è dunque previsto solo entro i limiti degli effetti negativi sul bilancio derivanti dall’andamento del ciclo economico o al verificarsi di eventi eccezionali (gravi recessioni economiche, crisi finanziarie e gravi calamità naturali) previa autorizzazione del Parlamento, mediante l’approvazione di deliberazioni conformi delle due Camere sulla base di una procedura aggravata, che prevede un voto a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti» (cfr. note brevi tratte dal sito del MEF-Ragioneria dello Stato, “IL QUADRO NORMATIVO NAZIONALE E L’INTRODUZIONE DEL PRINCIPIO DEL PAREGGIO DI BILANCIO NELLA COSTITUZIONE”). In sostanza, in una clima di relativa “accondiscendenza”, si è “costituzionalizzato” un vulnus ai diritti assoluti ed incomprimibili del cittadino, codificando a livello costituzionale il principio che i diritti fondamentali previsti dalla prima parte della Costituzione [a mero titolo esemplificativo, in materia di giustizia (art. 24), di salute (art. 32), di istruzione (art. 34), di lavoro (artt. 35 e ss.)] possano, anzi debbano essere sacrificati sull’altare del pareggio di bilancio. Il nuovo art. 81 Cost. è un chiaro esempio di come le modifiche della seconda parte della Costituzione possano ben incidere sulla prima, contrariamente a quanto sostenuto fino alla noia dai sostenitori del Sì durante la campagna referendaria (benché con riferimento alla legge costituzionale sottoposta al quesito).
Prima di affrontare, sia pur brevemente, la questione dal punto di vista tecnico-giuridico, occorre muovere dal fatto. La fattispecie sottoposta al vaglio costituzionale riguardava una controversia tra la Regione Abruzzo e la Provincia di Pescara avente ad oggetto il servizio di trasporto scolastico dei disabili: la Regione Abruzzo aveva negato in parte il finanziamento del 50% per il servizio trasporto degli studenti disabili alla Provincia di Pescara, in quanto l’art. 6 comma 2-bis della legge regionale n. 78 del 1978, aggiunto all’art. 88, c. 4, del 2004, prevede l’erogazione “nei limiti della disponibilità finanziaria determinata dalle annuali leggi di bilancio e iscritta sul pertinente capitolo di spesa”.
La Provincia di Pescara aveva chiesto il pagamento del contributo, pari al 50%, delle spese necessarie e documentate per lo svolgimento del servizio di trasporto degli studenti disabili, riferite alle annualità 2006-2012. Sulla base della citata norma, la Provincia aveva approvato e trasmesso annualmente alla Regione i piani degli interventi, relazionando per ciascun anno sulle spese sostenute e sulle attività svolte.
A fronte di ciò la Regione aveva erogato, per le varie annualità, finanziamenti per somme inferiori a quelle documentate dalla Provincia con una differenza pari ad euro 1.775.968,04. Il mancato finanziamento del 50% delle spese effettuate avrebbe determinato nel tempo un indebitamento tale da comportare una drastica riduzione dei servizi per gli studenti disabili, compromettendo l’erogazione dell’assistenza specialistica e dei servizi di trasporto. La Regione, da parte sua, pur non contestando l’ammontare degli importi spesi dall’amministrazione provinciale, ha tuttavia eccepito che, in virtù dell’art. 6, comma 2-bis, della legge regionale censurata, il proprio obbligo di corrispondere il 50% delle suddette spese trova un limite nelle disponibilità finanziarie di bilancio.
Venendo al merito della decisione, è importante di essere segnalato il passaggio “chiave” della sentenza citata, laddove la Consulta, dopo aver dichiarato di non condividere gli assunti difensivi della Regione secondo cui «ogni diritto, anche quelli incomprimibili della fattispecie in esame, debbano essere sempre e comunque assoggettati ad un vaglio di sostenibilità nel quadro complessivo delle risorse disponibili», stabilisce, al punto 11 dei considerata in diritto, che «Non può nemmeno essere condiviso l’argomento secondo cui, ove la disposizione impugnata non contenesse il limite delle somme iscritte in bilancio, la norma violerebbe l’art. 81 Cost. per carenza di copertura finanziaria. A parte il fatto che, una volta normativamente identificato, il nucleo invalicabile di garanzie minime per rendere effettivo il diritto allo studio e all’educazione degli alunni disabili non può essere finanziariamente condizionato in termini assoluti e generali, è di tutta evidenza che la pretesa violazione dell’art. 81 Cost. è frutto di una visione non corretta del concetto di equilibrio del bilancio, sia con riguardo alla Regione che alla Provincia cofinanziatrice. È la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione».
Pertanto, con la sentenza n. 275/2016, la Corte costituzionale capovolge il punto prospettico e la gerarchia dei valori e appare, sul piano di principio, dirompente, infrangendo il dogma del pareggio di bilancio. In altri termini, viene ribadito che il diritto all’istruzione del disabile è consacrato nell’art. 38 Cost., e che spetta al legislatore predisporre gli strumenti idonei alla realizzazione e attuazione di esso, affinché la sua affermazione non si traduca in una mera previsione programmatica, ma venga riempita di contenuto concreto e reale. E tale diritto, in quanto fondamentale e incomprimibile, non può essere affievolito in nome dell’equilibrio del bilancio e dev’essere, anzi, garantito, anche ove tale garanzia incida negativamente sul bilancio. In definitiva – conclude la Corte – nella materia finanziaria non esiste «un limite assoluto alla cognizione del giudice di costituzionalità delle leggi» e, anzi, il fatto di ritenere che il sindacato sulla materia sia riconosciuto in Costituzione «non può avere altro significato che affermare che esso rientra nella tavola complessiva dei valori costituzionali», cosicché «non si può ipotizzare che la legge di approvazione del bilancio o qualsiasi altra legge incidente sulla stessa costituiscano una zona franca sfuggente a qualsiasi sindacato del giudice di costituzionalità, dal momento che non vi può essere alcun valore costituzionale la cui attuazione possa essere ritenuta esente dalla inviolabile garanzia rappresentata dal giudizio di legittimità costituzionale» (sentenza n. 260 del 1990).
Con tale pronuncia, la Corte Costituzionale ristabilisce un ordine di priorità tra allocazione di bilancio e pregiudizio per la fruizione di diritti incomprimibili, attraverso una lettura delle norme costituzionalmente orientata a garantire la tutela e la fruizione di tali diritti. L’auspicio è che essa costituisca la prima di una serie di brecce che conducano ad un sostanziale svuotamento del dogma del pareggio di bilancio.
Massimo Corradi, avvocato, vice presidente vicario dell’ANPI di Imperia
Pubblicato lunedì 16 Gennaio 2017
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