In queste settimane compare è in programmazione nelle sale cinematografiche il film “One Life” interpretato anche da Anthony Hopkins ispirato a una vicenda finora rimossa dalle pagine di storia, che ha riguardato il trasporto, tra il dicembre 1938 e il settembre dell’anno successivo, di circa 10.000 ragazzini ebrei dalla Germania, dall’Austria e dalla allora Cecoslovacchia per salvarli dalle atrocità del regime nazista. Un’attività avviata da varie associazioni presenti in zone diverse: in territorio tedesco l’Abteilung Kinderauswanderung der Reichsvertretung der Deutschen Juden, ovvero il Dipartimento per l’Emigrazione dei bambini ebrei, istituito, nel 1933, dal Consiglio ebraico tedesco. Invece in Austria è stata la Comunità ebraica a istituire, in seguito all’Anschluss, l’annessione tedesca avvenuta nel marzo 1938, la JugendfÜrsorge-Abteilung allo scopo di permettere la fuga dei giovani ebrei. Entrambe le organizzazioni ebraiche vennero supportate da organizzazioni cristiane, protestanti e quacchere, che non condividevano la politica razzista del governo tedesco. Per quanto riguarda la Cecoslovacchia erano presenti diversi membri del British Committee for Refugees from Czechoslovakia, meglio conosciuto con l’acronimo di Bcrc, un’associazione interconfessionale britannica che si proponeva di prendersi cura di tutti i bambini rifugiati, indipendentemente dal loro background.
A Praga l’ufficio era diretto da Doreen Warriner. Nei primi giorni di dicembre due inglesi, Martin Blake e Nicholas Winton, il primo docente della Westminster School e il secondo un banchiere, dopo aver appreso le brutture compiute dei nazisti nei confronti degli ebrei durante la “Notte dei Cristalli” si mettono in ferie per cercare di contribuire ad aiutare la popolazione ebraica. Dopo aver valutato varie ipotesi decidono di recarsi a Praga, forti della presenza della Bcrc, e mettersi a disposizione del personale dell’ente. Non hanno idea di cosa fare, ma sono decisi a prodigarsi a favore dei piccoli. L’idea, quasi sicuramente, nasce dalla mente di Winton. Egli scrive alla madre che si sarebbe recato presso la Sezione Immigrazione del ministero degli Interni per chiedere “quali garanzie sono necessarie per riuscire a far entrare all’interno del territorio britannico dei bambini”.
L’idea del nostro personaggio affonda le radici nel “diritto d’asilo” statuito dal governo britannico con l’Alliens Act, promulgato nel 1905, per accogliere nel Regno Unito gli ebrei russi in fuga dai pogrom. Tale provvedimento, durante la Prima guerra mondiale era stato sospeso per paura dell’infiltrazione di spie austriache o tedesche. Winton, prima d’imbarcarsi per l’Europa apprende dai tabloid inglesi che si sta discutendo per rivedere il diritto d’asilo, in seguito alle notizie pervenute riguardo alle brutalità commesse dai nazisti, nei confronti della popolazione ebraica, durante la “Notte dei Cristalli”.
Infatti, il 14 novembre, il Primo ministro Neville Chamberlain indice una riunione del Comitato di Gabinetto con il chiaro proposito di “pensare di fare qualcosa di efficace per alleviare il terribile destino a cui sono esposti gli Ebrei in Germania”. L’apertura di Chamberlain induce i rappresentati delle maggiori associazioni ebraiche britanniche a chiedere un incontro per l’indomani. Durante il quale chiedono al governo britannico di farsi carico di accogliere, temporaneamente, un certo numero di minori ebrei non accompagnati a scopo formativo e istruttivo. Chamberlain rimette la questione alla Segreteria dell’Interno e una settimana dopo, sir Samuel Hoare annuncia la nuova politica del governo riguardo i rifugiati. La novità riguarda tutti i minori di diciott’anni che potranno entrare senza doversi sottoporre all’arduo iter burocratico legato alla richiesta di visto. Questa proposta viene portata all’approvazione della Camera dei Comuni, il 21 novembre, che l’accoglie delegando l’assistenza alle varie associazioni di volontariato, onde evitare di dissanguare le casse dello Stato britannico.
A nulla vale l’intervento del deputato laburista Philip Noel Baker, aderente alla religione quacchera, in difesa della sovvenzione statale di tale attività. La proposta si scontra con le idee dei rappresentanti del gruppo conservatore, espresse dal deputato William Butcher, preoccupati delle conseguenze che l’apertura ai profughi può avere sul mercato del lavoro. In particolare, Butcher afferma: “non dovrebbero essere i più bisognosi a dover godere dei benefici del Regno Unito, ma quelli che possono essere utili alla nostra nazione. Per cui affermo che dobbiamo selezionare coloro che possono entrare, ad esempio basandoci sull’età, sulla salute e sulla formazione pregressa per evitare che vi sia un enorme afflusso in questo Paese di profughi che non sono in grado di mantenersi e che possono costituire un grosso problema per il mercato del lavoro dal momento che toglierebbe lavoro ai nostri cittadini”.
Alla luce di queste affermazioni, la sera dopo il governo annunciò, tramite sir Samuel Hoare, la decisione di ammettere sul territorio del Regno Unito i bambini ebrei, “anche se privi di visto”, a condizione che “il loro mantenimento sia garantito, sia da mezzi propri o mediante associazioni” e aggiunge “non posso fare a meno di pensare al dilemma che dovranno risolvere i genitori di questi piccoli: mandare i propri figli da soli in un Paese straniero oppure tenerli con sé, ma condannarli a vivere nelle terribili condizioni in cui la popolazione ebraica è condannata a vivere, quotidianamente, nei territori tedeschi”. Tradotto in poche parole, il governo britannico si faceva carico di accogliere solo i minori di anni diciotto a condizione che vi fosse un’associazione capace di fornire una garanzia di 50 sterline per ogni minore e una famiglia disposta ad accoglierli e farsene carico. Un’opportunità che condanna i genitori a separarsi dai figli, anche se tutte le autorità britanniche sono convinte, erroneamente, che la separazione sarebbe durata pochi mesi, dal momento che nessuno vede l’approssimarsi dei nembi minacciosi della guerra. A posteriori sappiamo bene che si sbagliavano.
La decisione del ministero significò che a ogni bambino verrà consegnato un documento recitante “Permesso di entrare in Gran Bretagna a condizione che non eserciti un’attività lavorativa, durante il soggiorno”. Tale decisione supporta l’idea di Winton di predisporre la fuga dei bambini rifacendosi allo schema adottato dalle associazioni di volontariato britanniche, durante la Prima guerra mondiale, con le popolazioni belghe. L’organizzazione del viaggio ha un aspetto prettamente burocratico. Infatti dovranno compilare, in triplice copia, dei moduli e munirsi da un minimo di quattro a un massimo di sei fototessere, oltre a un certificato medico attestante la sana e robusta costituzione di ogni piccolo profugo. Il limite d’età, in un primo momento viene fissato al diciassettesimo anno d’età, successivamente, viene abbassato a 16 anni perché molti ragazzi compiono la maggiore età nel tempo dell’attesa. La documentazione compilata dai genitori viene riconsegnata alle associazioni interconfessionali presenti nei territori governati dai nazisti. Queste, appena ricevute, le inviano alle sedi centrali affinché un team di esperti le esamini e, se in regola, autorizzi la partenza. Le sedi decentrate ricevuti i nominativi dei bambini autorizzati lo comunicano alle famiglie e indicano la data prevista per la partenza.
Inoltre si forniscono le seguenti indicazioni: “I minori potranno portare con sé due piccoli bagagli, contenenti lo stretto indispensabile, contrassegnati con i loro dati personali. Un’etichetta dovrà essere cucita, recante il nome e il cognome del minore, sui vestiti. I minori potranno recare solo una piccola somma di denaro”. Dal canto loro le singole agenzie provvedevano a depositare, su un conto bancario governativo, la somma di 50 sterline (1) per ogni minore. A sostenere queste spese partecipano in prima battuta le Comunità ebraiche britanniche e il Lord Baldwin Fund for Refuges, a seguito dell’intervento dell’avvocato Philip Voss, membro del Partito Laburista e socio della fondazione. Costui ha persuaso Lord Baldwin, in persona, a sostenere la causa del Transporter e il Primo ministro britannico, all’inizio di dicembre del 1938, lancia un appello dai microfoni della Bbc per sostenere la raccolta di fondi. L’alto uomo politico afferma: “I bambini ebrei sono destinati a sopravvivere? Vi chiedo di aiutarci a farli scappare prima che sia troppo tardi”.
Quindi scendono in campo il dottor Cosmo Lang e il cardinale cattolico Arthur Hinsley; mentre il Post Office Saving Bank stampa una serie di francobolli speciali per raccogliere i finanziamenti. Non mancano i giornali, tra cui il Daily Mail, a promuovere la raccolta. Nell’arco di sei mesi raggiungono la cifra di 500.000 sterline. Lola HahnWarburg e Grete Exiner, rappresentanti della Rmc decidono di selezionare i bambini in funzione “delle potenzialità possedute per diventare futuri cittadini britannici”(2).
Il governo nazista, dal canto suo, non vedeva l’ora di potersi sbarazzare dei piccoli ebrei, dal momento che non sa cosa farsene e li percepisce come delle inutili bocche da sfamare, ma nello stesso tempo non vuole che la partenza dei piccoli divenga pubblica. Infatti, temono che l’opinione pubblica disapprovi l’allontanamento dei minori dai genitori per assicurargli la salvezza. Per cui le autorità nazionalsocialiste ordinano che gli addii avvengano all’interno di sale d’aspetto chiuse. I treni provenienti da Vienna, Praga e Berlino confluiscono nei Paesi Bassi alla stazione di Hoek van Holland. Qui i minori s’imbarcano per raggiungere il porto britannico di Harwich, situato nell’Essex, da dove possono raggiungere la stazione di Liverpool Street nella capitale britannica. Oggi in ognuno di questi luoghi è stata apposta una targa a memoria del Kindertransporter.
Dal momento che i minori non possono viaggiare da soli si affidano a un piccolo numero di adulti che in alcuni casi sono assistenti sociali o insegnanti. Inoltre ogni bambino avente un’età maggiore di dieci anni diviene tutor dei più piccoli. I trasporti variano a seconda del numero dei bambini che s’è riusciti a raccogliere e della documentazione disponibile, ad esempio da Vienna, il 10 dicembre 1938, partono circa 400 minori, mentre, nel mese di agosto, il trasporto è di soli 35 profughi. Il primo gruppo di profughi giunge ad Harwich, proveniente da Berlino, il 2 dicembre 1938, ovvero tre settimane dopo la Kristallnacht. Ne fanno parte 196 bambini provenienti da un orfanotrofio berlinese distrutto durante quella terribile notte. Nei mesi seguenti quasi 10.000 minori non accompagnati, principalmente ebrei, giungono in Inghilterra con un ritmo che prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale ascende a circa trecento bambini a settimana. Il numero dei rifugiati é talmente alto che con il passare del tempo risulta sempre più difficile rintracciare famiglie disposte ad accogliere i minori in tempo utile al loro arrivo sulle coste inglesi.
Per questa ragione vengono allestiti, in fretta e furia, dei centri di accoglienza temporanea, sfruttando strutture di solito adibite a campi estivi. L’inizio della guerra, il primo settembre 1939, pone fine alle partenze dalle zone occupate dei tedeschi, ma alcuni trasporti continuano dai Paesi Bassi e dalla Francia non ancora occupate. Gli ultimi 74 bambini giungono da Rotterdam il 14 maggio 1940 a bordo di una nave salpata solo poche ore prima dell’occupazione della città da parte delle truppe tedesche.
I bambini arrivati in Inghilterra vengono divisi a seconda l’età. I più grandi sono ammassati, temporaneamente, in ex colonie estive, come a esempio il Dovercourt Camp, nei pressi di Harwich, oppure il Pakefield Camp, nei dintorni di Lowestoft. Anche se dovettero essere ritrasferiti quelli posti nell’Est, dal momento che mancavano impianti di riscaldamento e questo provoca, durante i mesi invernali, un alto numero di ammalati tra gli ospiti. I bambini più piccoli vengono collocati presso un orfanotrofio situato nel Broadstairs Kent.
Il 12 dicembre 1938, Eva Hartree, presidentessa della sottocommissione della Commissione di Cambridge per i rifugiati, lancia un appello dalle pagine del giornale locale Cambridge Daily News del seguente tenore: “Saremmo lieti di ricevere la disponibilità ad accogliere uno o più bambini per un periodo, speriamo, abbastanza limitato. Non appena sarà possibile i piccoli si ricongiungeranno ai propri genitori. La maggioranza di questi minori sono ebrei, ma ce ne sono anche cristiani non ariani…… Ci sono anche orfani… Magari qualche coppia desidererà adottarne qualcuno”. Ben presto in questi luoghi avviene, durante il fine settimana una sorta di “ mercato del bestiame”, dal momento che tutte le persone desiderose di adottare dei bambini piccoli si presentano ai cancelli. Ogni coppia viene esaminata dal personale dell’ente e le credenziali vengono registrate. Non importa se non possono permettersi il mantenimento del bambino, riceveranno da parte del Rcm un assegno che gli consentirà il mantenimento del minore affidato.
I ragazzi adolescenti vengono snobbati dagli affidatari e del resto loro preferiscono rimanere nelle strutture, dal momento che non vogliono dimenticare la propria identità come dimostra una lettera dei giovani del campo di Dovercourt, datata dicembre 1938, al rabbino capo di Londra per lamentare la mancanza all’interno del campo di cibo Kosher.
Quest’idea di creare strutture di accoglienza viene condivisa da Arieh Handler, nato da una famiglia ebraica, nel 1915, in Boemia, che si propone di creare dei campi di formazione agricola presso il Castello di Gwrych, situato nei pressi della cittadina di Abergele nel Nord del Galles. L’edificio costruito tra il 1812 e il 1822 da Lloyd Hesketh Bamford, è passato successivamente nelle proprietà della famiglia Dundonald. Nel 1939 viene offerto, a titolo gratuito, al ministero del Lavoro, prima, e alle forze britanniche dopo. Entrambi rifiutano, così Handler appresa la notizia si fa avanti e lo rileva, il 28 agosto 1939, per ospitare i bambini rifugiati.
Il castello, a causa del disuso, versa in condizioni precarie, considerato che non è stato pensato per accogliere una colonia, ma, semplicemente, una famiglia aristocratica con i suoi servitori, per cui mancano gli ambienti idonei a ospitare un nugolo di adolescenti. Nonostante ciò, Handler cerca di adeguarlo per accogliere al meglio i bambini. Costui si rende conto che è fondamentale salvare vite umane, ma si propose, qualora vi siano le condizioni di collocarli nella sua struttura piuttosto che in una famiglia che “ha già i propri problemi e che deve fare i conti ogni giorno con la paura della guerra e non con dei giovani sconosciuti”. Soprattutto il suo timore, rivelatosi poi reale, è quello che i giovani possano dimenticare e allontanarsi dalla propria identità religiosa. Un timore che si è avverato: circa il 60% dei profughi dei Kindertransporter si allontaneranno dalla fede dei padri; ma si potrebbe anche obiettare che è stato il prezzo necessario per salvarli. È pur vero che non tutti i giovani finiranno in famiglie adeguate e alcuni saranno oggetto di maltrattamenti e abusi fisici e sessuali, dal momento che i loro affidatari erano mossi dal desiderio di ricevere la contribuzione delle varie associazioni come assegno del proprio benessere.
Il primo settembre 1939, l’invasione nazista della Polonia e lo scoppio della Seconda guerra, provocherà un drastico cambiamento nelle vite dei piccoli rifugiati, dal momento che le comunicazioni postali tra la Germania e il Regno Unito diventarono impossibili. La Croce Rossa tenta di mantenere i contatti, tramite le cosiddette “Lettere della Croce Rossa”, ma ben presto anche queste si disperdono in seguito alla concentrazione nei ghetti o alla deportazione nei campi.
Inoltre la guerra, ben presto, costringe le famiglie affidatarie a premere affinché i bambini accettino di cambiare la propria identità e imparino la lingua inglese per integrarsi meglio e anche perché usare la lingua madre avrebbe solo potuto creare dei problemi a loro e alle loro famiglie. Per i bambini di religione ebraica lo snaturamento è stato totale, dal momento che hanno perso la propria identità religiosa, culturale e nazionale, nonostante le proteste delle associazioni ebraiche. Il rabbino Solomon Schonfeld e altri rappresentanti delle Comunità ebraiche britanniche, come Harry Goodman, contestano tale atteggiamento in un pamphlet, datato 1944, dal titolo “Lo straniamento dei bambini: denuncia sull’alienazione dei bambini ebrei rifugiati in Gran Bretagna”.
Di solito l’Rcm, ente preposto al controllo dei minori evita di prendere in considerazione quest’aspetto quando s’accerta che il minore vive in maniera adeguata nella nuova famiglia. E non si preoccupa neanche che i minori vengano divisi dai propri fratelli o sorelle. Dal momento che non sempre le nuove famiglie sono disposte a prendere più di un bambino, si devono non solo affrontare la crisi della propria identità, ma anche la separazione definitiva con l’unico legame familiare rimasto. Alcuni di questi minori, sono riusciti, entro il 1940 a raggiungere i genitori in America, ma la maggior parte è rimasta all’interno della Gran Bretagna. Al termine della guerra i bambini dei Kindertransport sono rimasti con i genitori affidatari, alcuni di questi avendo appreso il destino dei genitori naturali si sono proposti di adottarli, altri invece si sono ricongiunti con i loro parenti sopravvissuti.
Prima di porre termine a questo racconto è interessante ricordare che la storia del Kindertransport ha avuto ripercussioni sulla coscienza pubblica del Regno Unito fino ai nostri giorni. Basti pensare alla storia dell’Orsetto Paddington, che è stata modellata, per l’ammissione del suo creatore Michael Bond, sulla vicenda dei “bambini dei Kindertransport”. A testimoniare questa pagina di storia sono stati collocati dei monumenti negli spazi antistanti le stazioni di Londra, Berlino, Amburgo, Danzica, Hoek von Holland.
Stefano Coletta, insegnante
NOTE
(1) In realtà all’inizio il fidejussore doveva solo firmare un impegno scritto “ in cui dichiarava di essere in possesso dei mezzi sufficienti per mantenersi e a mantenere il minore fino al compimento del sedicesimo anno di età”.
(2) Senza volere le due si avvicinano alle idee eugenetiche dei tedeschi.
Riferimenti bibliografici
Anne L. Fox e Eva Abraham-Podietz, Ten Thousand Children: True Stories Told by Children Who Escaped the Holocaust on the Kindertransport (West Orange, NJ: Behrman House, 1999);
Mark Jonathan Harris e Deborah Oppenheimer, Into the Arms of Strangers: Stories of the Kindertransport (London: Bloomsbury, 2000);
Vera K. Fast, Children’s Exodus: A History of the Kindertransport (London: Tauris, 2011);
Emma Carlson Berne, Escaping the Nazis on the Kindertransport (North Mankato, MN: Capstone Press, 2017).
Pubblicato mercoledì 17 Gennaio 2024
Stampato il 21/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/servizi/kindertransporter-la-storia-dei-bambini-ebrei-sfuggiti-alla-germania-nazista/