C’è chi dice che fu il miracolo di San Giorgio, perché tutto avvenne la sera del 23 aprile, giorno dedicato al leggendario santo cavaliere che sconfigge il drago, amatissimo patrono del borgo. Ma è grazie a una donna se all’alba del 24 aprile 1945 Portofino non fu distrutta dalle bombe che i soldati agli ordini del tenente della Kreigsmarine Ernest Reimers avevano già piazzato tra le stradine e i moli del piccolo paese ligure, diventato in seguito uno dei luoghi più famosi al mondo e agognati dal turismo planetario.
Ma pochi, inerpicandosi verso la chiesa di San Giorgio, alta sul mare, si fermano a leggere una targa sul muro, tra le tante che ricordano i personaggi più legati al borgo: “Jeannie Watt ved. von Mumm che salvò Portofino dalla distruzione ordinata dall’esercito invasore”. E pochi metri più avanti, nei pressi della sua tomba nel piccolo e affascinante cimitero portofinese, si può leggere un cartiglio: “Alla baronessa Von Mumm, pervasa dal profumo del mare e dalle carezze del vento che fermò la barbarie con gesto coraggioso. I cittadini di Portofino posero a memoria”.
Jeannie Mackay Watt, scozzese di nascita (era nata a Glasgow nel 1866), nel 1918 aveva sposato il barone Alfons Von Mumm, influente diplomatico tedesco che, da ambasciatore del Kaiser a Pechino, seppe svolgere un grande lavoro di mediazione per giungere al trattato di pace che nel 1901 concluse la sanguinosa rivolta dei Boxer. Ambasciatore in seguito in Giappone, decise infine di lasciare il servizio diplomatico e insediarsi a Portofino, acquistando dal diplomatico inglese Stephen Leech l’antico Castello di San Giorgio, dimora sontuosa dove approdarono anche il kaiser Guglielmo II e l’imperatrice sbarcati nel porticciolo dal loro panfilo il 6 maggio 1914 alla vigilia della Prima guerra mondiale.
Dopo il matrimonio con il barone e terminata la guerra, Jeanne von Mumm divenne a sua volta protagonista di una fitta rete di incontri diplomatici, tra cui quelli che portarono alla firma del Trattato di Pace di Rapallo il 16 aprile 1922, che sancì l’intesa tra l’Impero tedesco e l’Urss – firmatari furono il ministro degli Esteri tedesco Walther Rathenau e il russo Georgi Tschitscherin – perché i due Paesi rinunciassero a ogni rivendicazione territoriale e finanziaria reciproca, aprendo regolari rapporti diplomatici.
Alfons von Mumm morì nel 1924 ma Jeannie, pur scegliendo una vita ritirata, rimase a Portofino, rispettata da tutti i paesani, a cui non faceva mancare, quando era il caso, il suo aiuto o comunque un consiglio. Nome ben noto e stimato, il suo, anche nella colonia dei tanti ricchi stranieri che negli anni 20 e ‘30 avevano scoperto il borgo della Riviera di Levante.
Erano soprattutto inglesi e americani, ma anche tedeschi: tra loro, dal 1938 al 1942, Eva Braun, la compagna del führer, che veniva a villeggiare con la madre Franziska e la sorella Gretl all’Hotel Splendido, con bagni e gite in barca, come testimoniano documenti fotografici dell’epoca. A loro esclusiva difesa, in un’Europa già sconvolta dalla guerra, nell’estate del 1941 Hitler aveva imposto la costruzione di postazioni antiaeree e antinave realizzate sul Monte di Portofino dalla 201° Divisione costiera del Regio esercito italiano, costituendo la 202° Batteria di Punta Chiappa – ancora in parte visibile – sopra l’omonimo promontorio roccioso tra Camogli e la baia di San Fruttuoso.
E proprio in quel mare, nella notte tra il 2 e il 3 dicembre 1944, finirono i corpi di ventidue antifascisti – ventuno partigiani e un civile – detenuti nelle carceri genovesi di Marassi, fucilati da un plotone di esecuzione comandato dal tenente Reimers, su ordine del colonnello delle SS Siegfried Engel, comandante della Sichereitspolizie e conosciuto come “il boia di Genova”: condannato all’ergastolo in contumacia per la strage della Benedicta (147 fucilati), quella del Turchino (59 vittime), l’Eccidio di Portofino – i cosiddetti Martiri dell’Olivetta – e infine quello di Cravasco, nei pressi di Campomorone, con altri 20 partigiani fucilati, morirà quasi centenario ad Amburgo nel 2006.
Quella notte di dicembre gli uomini prelevati da Marassi, fatti scendere sulla Piazzetta di Portofino – ora intitolata al loro ricordo – vennero incatenati l’uno all’altro e condotti nella piccola spiaggia dell’Olivetta, uccisi a raffiche di mitra; i loro corpi, legati l’uno all’altro con filo di ferro, furono gettati in mare al largo della baia, zavorrati con sassi e pesanti tombini e non furono mai ritrovati. Solo al termine della guerra, peraltro, venne ricostruita la vicenda, accertati i loro nomi e la loro tragica fine.
Portofino sapeva bene cos’era accaduto, anche perché qualche testimone aveva sussurrato di cos’erano stati capaci gli uomini di Reimers, acquartierati nella fortezza, l’attuale Castello Brown. Anche per questo i movimenti dei nazisti tra le stradine del borgo, nelle ore concitate del 23 aprile, quando a Genova iniziava l’insurrezione popolare che avrebbe portato alla liberazione della città il giorno seguente, allarmarono la baronessa von Mumm, a cui molti portofinesi si erano rivolti perché lei, forte della sua autorevolezza – era in ogni caso una nobildonna tedesca – intercedesse presso Reimers.
Le voci raccolte dagli abitanti erano che il borgo doveva saltare in aria per ordine di Hitler, senza altra ragione – non è mai stato ritrovato un ordine scritto firmato da Engel – che quella di non lasciare traccia di uno dei luoghi più amati nella vita prima della guerra da Eva Braun, con lui destinata a vivere gli ultimi, tragici giorni nel bunker della Cancelleria a Berlino. La sera del 23 aprile 1945 Jeannie fece chiamare l’ufficiale tedesco e sprezzantemente gli impose di non far eseguire gli ordini in base ai quali aveva già fatto minare il porto e la strada.
“Voi non potete fare questo, non massacrerete tanti innocenti!” è la frase che, secondo testimoni del drammatico colloquio la baronessa avrebbe intimato a Reimers: e, visto che l’ufficiale si appellava agli ordini ricevuti, gli replicò: “Questo delitto ricadrà sulla vostra testa”, aggiungendo la frase “Domani il sole sorgerà ancora”. L’ufficiale abbandonò il castello di corsa, e un’ora dopo tornò garantendo che Portofino sarebbe stata salva. Al mattino del 24 aprile, la guarnigione aveva abbandonato il borgo e un giorno dopo, anche le postazioni difensive sul Monte.
Che sia stato l’intervento di San Giorgio o, più probabilmente, qualcosa nelle frasi dette da Jeannie von Mumm – qualcuno ha ipotizzato anche una maledizione – a convincere il nazista Reimers, non si sa. La certezza è che la baronessa, anche per questo evento che destò grande impressione tra la gente, che per lungo tempo ne avrebbe ricordato la figura severa ma gentile e i lunghi abiti chiari con cui passeggiava, ottenne nel 1949 la cittadinanza onoraria di Portofino, dove morì a 83 anni nel 1953 e dove, insieme al marito, è sepolta.
Reimers, a differenza di Siegfried Engel (che peraltro non fu estradato e non fece mai nemmeno un giorno di carcere), non venne mai processato. Peraltro, osò tornare da civile a Portofino negli anni 50 ma, riconosciuto da alcuni residenti, dovette fuggire facendo perdere le sue tracce. Si è saputo solo che è morto nella sua casa presso Amburgo, ormai novantenne, nel 2012.
Sul Monte di Portofino, come possono vedere i tanti escursionisti che ne percorrono i sentieri, restano invece i bunker – dotati anche di lunghe gallerie che raggiungono il cuore del Monte – voluti da Hitler e, vista la loro eccezionale posizione sul mare aperto, potenziati con cemento armato e lastre d’acciaio a partire dall’autunno del ’43 quando passarono al 619° Battaglione dell’artiglieria costiera della Marina tedesca, la Kriegsmarine di cui faceva parte Reimers, e dotati di potenti cannoni antinave per respingere eventuali avvicinamenti di navi inglesi.
Donatella Alfonso, della Redazione di Patria, è autrice di numerosi libri, tra cui
Pubblicato domenica 2 Febbraio 2025
Stampato il 02/02/2025 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/servizi/jeannie-watt-von-mumm-la-baronessa-che-salvo-portofino-dalle-mine-naziste/