Foto Matthias Canapini

Gli effetti delle guerre, gli strascichi più vigliacchi, non finiscono con un cessate il fuoco. La guerra continua ad affliggere, mordere, uccidere le popolazioni coinvolte per lungo tempo. Come succede in Vietnam dove, a oltre cinquant’anni dagli accordi di pace, milioni di persone subiscono ancora le conseguenze degli attacchi statunitensi.

Tra il 1962 e il 1971, gli aerei americani hanno irrorato intere foreste del Vietnam, la Piccola Tigre dell’Asia, con un erbicida prodotto da diverse multinazionali della chimica (tra cui Dow Chemical e Monsanto), denominato Agente Arancio per via della banda arancione che contraddistingueva i suoi fusti. L’obiettivo dell’operazione “Ranch Hand” consisteva nel defogliare le aree agricole dove si rifugiavano i Viet Cong, in modo da renderli visibili e ostacolare l’approvvigionamento dei militari vietnamiti. Si calcola che in meno di dieci anni siano stati rilasciati sul Paese circa quarantadue milioni di litri di veleno.

La diossina rilasciata dall’Agente Arancio ha gravemente contaminato — e continua a contaminare, a distanza di oltre cinquant’anni — il Paese, provocando cancro, malformazioni ossee e severe patologie anche nelle nuove generazioni. 4,8 milioni di persone in Vietnam sono ancora affette dalla diossina bellica, sparata sopra selve rigogliose in cui vivevano e si ammalavano contadini, insegnanti, scolaresche, testimoni.

Alcune aree dell’entroterra, desertiche e sterili, non danno più nulla: terra senza storia, senza memoria, neonati deformi mangiati da tumori e madri disperate. “Dicevano che la guerra era ormai finita, ma le guerre non finiscono mai, sono come l’edera cattiva” direbbe Franco Fontana, staffetta partigiana dell’appennino bolognese. Fino alla sesta generazione, raccontano medici e solidali, non ci sarà segno di miglioramento, né a livello genetico né tanto meno ecologico. Per mezzo secolo ancora questa storia, a tratti invisibile, andrà avanti nell’ingranaggio di un mondo che mangia, stupra, schiaccia vite umane e sputa numeri, fantasmi, percentuali.

Ly Thi Son ha un sorriso disarmante. Sopravvive vendendo Chewing Gum e lattine di Red Bull davanti casa. Suo figlio Tran Van Thi è accucciato in un angolo dello stanzino, due sbarre a restringere una finestra angusta. «Mio marito è morto pochi mesi fa ed è stato contaminato dall’Agente Arancio mentre era al fronte. Nessuno in tempo di guerra sapeva cosa potesse essere quel gas verdognolo che cadeva dal cielo. Sentivamo la pelle bruciare, unta come olio. Una nube violacea si addensava sui nostri raccolti, sui tetti delle nostre capanne. Quando è nato nostro figlio abbiamo fatto degli esami medici e abbiamo capito. Abbiamo scoperto la verità». Tran non si muove, non si lava, non mangia e non beve se non grazie all’aiuto della madre. Ha le ginocchia sbucciate e lo sguardo perso. Si sposta gattonando, non emette parole. Fine guerra mai.

Matthias Canapini, scrittore, giornalista e fotografo. Nato a Fano nel 1992, dal 2012 viaggia per il mondo per raccontare storie con taccuino e macchina fotografica. Per Prospero editore il libro “La pelle. Diari dal Kurdistan iracheno”