Barcellona. Erano ben 1.322 i rifugi sotterranei distribuiti in tutta Barcellona. Molti di essi nacquero per iniziativa e con la partecipazione attiva dei quartieri, di chi ci viveva e stava imparando a conoscere il terrore dei bombardamenti delle forze armate di Mussolini e di Hitler, dal mare e dal cielo. La politica del non-intervento, abbracciata da Gran Bretagna e Francia fin dal 25 luglio 1936, appena una settimana dopo l’alzamiento dei generali golpisti contro la Repubblica spagnola, venne sottoscritta nel corso dell’estate anche dalla Germania nazista e dall’Italia fascista, ma solo nominalmente. Mussolini e Hitler iniziarono rapidamente a inviare bombardieri in Marocco, permettendo al generale Francisco Franco di organizzare il primo ponte aereo della storia e sbarcare in Spagna, già nella prima settimana di agosto, 15.000 uomini.
Pochi mesi dopo, a partire precisamente dal 13 febbraio 1937, iniziarono i bombardamenti su Barcellona delle forze armate fasciste e naziste, sia dal mare sia (soprattutto) dal cielo. L’aviazione di Mussolini e di Hitler fece base a Maiorca, che divenne una vera e propria portaerei naturale a poco più di 100 miglia dalla costa catalana. I bombardamenti sulla Spagna repubblicana furono il banco di prova di una pratica, quella di colpire direttamente la popolazione civile (per seminare il terrore e fiaccarne il morale), che sarebbe stata di lì a breve replicata nel corso della Seconda guerra mondiale e avrebbe portato morte e distruzione nelle città europee e non solo.
Dopo Barcellona, nel corso del conflitto spagnolo furono colpite Guernica, Granollers, Alicante, Lleida, la stessa Madrid e molti altri centri urbani. Solo nella capitale catalana, i morti furono circa 2.700. Una cifra straordinariamente alta, sia in termini assoluti sia relativamente alla popolazione dell’epoca.
Incontriamo le compagne e i compagni dell’Anpi Spagna, sezione “Guido Picelli”, in Plaça del Diamant, quartiere Gràcia, dove si trova il primo dei due rifugi che visiteremo. Poco prima dell’inizio della visita il pubblico che si raccoglie davanti a uno dei due ingressi del rifugio è già numeroso: saremo circa 40, fra i quali diversi italiani. Intorno, i cittadini del quartiere si rilassano in questa calda serata domenicale e i ragazzini giocano a pallone.
Con l’aiuto dei pannelli installati a fianco dell’ingresso, Ida dell’Anpi Spagna e Marc del Taller d’Història de Gràcia ci offrono, in italiano e in catalano, il contesto di ciò che a breve vedremo.
I rifugi sotterranei costituivano la più importante delle misure di “difesa passiva” di fronte ai bombardamenti. Di norma, raggiungevano una profondità di ben 11-12 metri sotto il livello della strada ed erano estremamente sicuri. Grazie al puntiglioso impegno di una figura rimasta pressoché sconosciuta fino a tempi molto recenti, l’ingegnere Ramon Perera, non risulta vi sia stata una sola vittima per l’impatto di una bomba su uno dei rifugi di Barcellona.
Iniziamo a scendere le scale e, raggiunta la galleria, ci sediamo sulle “panche” di pietra sistemate lungo i due muri per ascoltare Marc e Ida che ci raccontano la vita quotidiana in questo riparo di emergenza. Lo spazio fra le nostre ginocchia e quelle di chi ci siede davanti è di pochi centimetri. La solidarietà nei rifugi, ci spiegano le nostre guide, era grande, ma forte poteva essere anche la conflittualità, per ovvie ragioni. Fra le altre cose, mentre l’acqua era garantita a tutti, la disponibilità di cibo era spesso legata alle possibilità di ciascuno, almeno fino al momento in cui ci si trovava a consumare le razioni a pochi palmi da chi sedeva accanto e di fronte. La sicurezza delle persone più vulnerabili, a differenza che in altri rifugi “di passaggio” (come quelli ricavati nelle stazioni della metropolitana), era generalmente garantita.
Il rimbombo del pallone dei ragazzini che giocano su Plaça del Diamant crea un effetto suggestivo e inquietante. I colpi, attutiti ma chiaramente udibili, ricreano in scala ridotta i suoni che sentivano le cittadine e i cittadini del quartiere che, in preda all’angoscia, pregavano che gli ordigni dei bombardieri nazisti e fascisti cessassero di piovere sulla città il prima possibile. Un’esperienza che non manca di richiamare a chi è presente la tragedia della guerra che, in quelle ore, infuria in troppe aree del mondo e che ha ripreso da pochi giorni, con rinnovata ferocia, in Medio Oriente.
Usciti dal primo rifugio raggiungiamo Plaça de la Revolució, dove visitiamo una struttura che, come ci spiegano, era più avanzata della prima: disponeva infatti di servizi igienici, di un’infermeria e di un generatore elettrico che permetteva di ovviare all’oscuramento della città. La maggior parte del rifugio è purtroppo perduta, inglobata in un parcheggio sotterraneo costruito negli anni 90.
Il percorso delle gallerie originarie del rifugio è segnato in rosso sul pavimento del parcheggio e, lungo la parete nella quale si apre l’accesso alla galleria che è stata risparmiata dai lavori e conservata, un ricco apparato di pannelli in tre lingue ricostruisce il contesto e racconta la storia del rifugio. Come sottolineano le nostre guide, la costruzione del parcheggio è un esempio della mancanza di attenzione per la memoria della città e dei quartieri così duramente colpiti dai bombardamenti.
Onore al merito, quindi, di associazioni come Taller d’Història de Gràcia, che negli anni si sono battute per salvare questi preziosi spazi di memoria, e della nostra Sezione spagnola, che si impegna per farli conoscere nel Paese che li ospita e all’estero, alla quale siamo davvero grati per averci coinvolto in questa interessantissima visita.
Madrid. Nella capitale spagnola abbiamo appuntamento con le compagne e i compagni dell’associazione Centro de Memoria de Carabanchel, con cui è nato, per il tramite di Twitter, un rapporto di comunicazione e scambio che dura ormai da diversi anni. Dopo l’emozionante visita di Barcellona, ci diciamo uscendo dalla stazione Eugenia de Montijo della metropolitana, non sappiamo cosa aspettarci, tanto più che il nostro contatto, Jesús Rodríguez, ci ha detto: “Non aspettatevi chissà cosa: non è rimasto praticamente niente”. Invece, i dubbi sono presto dissipati. Incontriamo persone impegnate e appassionate, dedite al recupero della memoria del loro quartiere, che ci accompagnano in una visita lunga, interessante, stimolante ed emozionante.
Il primo colpo d’occhio, obiettivamente, conferma l’avvertimento di Jesús. I resti di quello che era, un tempo, il carcere panottico più grande d’Europa, sono sostituiti da un enorme terreno abbandonato, cui fa da sfondo il Cie (Centro di internamento per stranieri), ora chiuso per lavori di manutenzione.
“Madrid – ci dice Jesús – ha un enorme problema con la memoria. E non solo rispetto al passato franchista”. Prima di raggiungere il perimetro dell’ex carcere ci mostra le foto degli scavi delle vestigia romane che si trovano sotto i nostri piedi. Qui si trova quello che è considerato il giacimento archeologico di epoca romana più grande dell’intera Comunità di Madrid. Qui, nel XIX secolo, venne rinvenuto il bellissimo Mosaico delle quattro stagioni (o Mosaico di Carabanchel) del IV-V secolo d.C., ora conservato al Museo de San Isidro. Dopo gli ultimi scavi esplorativi del 2022, nonostante le pressioni delle associazioni di quartiere, della comunità archeologica e del mondo della cultura, le autorità hanno respinto la richiesta di designazione del sito come Bene di interesse culturale (Bic). “La terra è stata rimessa a posto e qui sopra passerà una bretella stradale”, conclude sconsolato Jesús.
Avvicinandoci al perimetro dell’ex carcere, entriamo in un parcheggio sterrato, un tipico panorama di periferia un po’ degradata, accanto a una chiesa. “Questo ci spiegano è l’edificio più antico di Madrid. E guarda in che stato si trova…”. Si tratta dell’eremo di Santa María la Antigua, eretto nel XIII secolo in stile romanico–mudéjar, con alcuni elementi del XII secolo e la pianta medievale ancora intatta. È la chiesa mudéjar più antica di tutta la Comunità di Madrid, oltre a essere l’unico eremo mudéjar conservato nella sua interezza. “Non dovrebbe forse esserci un pannello, qualcosa che spieghi a chi visita la zona lo straordinario valore di questa chiesa?”. Scuote la testa e ci guida all’interno del perimetro della prigione.
“Il carcere di Carabanchel – ci dice Jesús – è qui davanti a voi. Ai vostri piedi”. Si china e smuove un pezzo di vetro spesso; lo pulisce dal terriccio e ce lo porge. “Questo è un frammento del vetro delle grandi finestre che circondavano la cupola centrale, da cui partivano i bracci del carcere, e che permettevano l’ingresso di un po’ di luce naturale”. Fa qualche passo, si china di nuovo e raccoglie un frammento di graniglia: “Questo invece è un pezzo di pavimento”. Ci spiega che, dopo la demolizione del carcere, gli inerti non sono stati portati via, ma sono stati frammentati e compressi sul terreno.
Il carcere viene edificato fra il 1940 e il 1944 grazie al lavoro forzato di circa 1.000 prigionieri politici. Costruito con una struttura a raggiera, con un corpo circolare centrale sormontato da una cupola dal quale si dipartono quattro bracci (a cui se ne aggiungeranno altri quattro nei decenni successivi), nel 1944 apre le porte a 2.000 detenuti. Nodo centrale del sistema penitenziario della dittatura, ospiterà in buona parte prigionieri politici e altri detenuti considerati pericolosi dal regime. Per un certo periodo ospiterà anche un settore femminile per prigioniere politiche. Durante la dittatura, nel carcere vengono eseguite diverse condanne a morte con la crudele garrota.
È questa la terribile fine che fanno, a esempio, nell’estate di 60 anni fa, gli anarchici Francisco Granados Gata e Joaquín Delgado Martínez. Arrestati per un attentato che causa 20 feriti, ma nessun morto, di cui si proclamano innocenti fino alla fine, trascorrono appena 17 giorni in detenzione; è sufficiente una confessione estorta dopo sei giorni di torture per portarli al garrote vil. Nel 1975, prima di essere fucilati a Hoyo de Manzanares, tre delle cinque vittime delle ultime esecuzioni del franchismo trascorrono nel carcere di Carabanchel la loro ultima notte.
Nelle celle della prigione passano, fra gli altri, il sindacalista Marcelino Camacho, fondatore e primo segretario generale delle Comisiones Obreras (quasi nove anni), Gerardo Iglesias, minatore, sindacalista, successore di Santiago Carrillo alla guida del Pce nel 1982, e Simón Sánchez Montero, sindacalista e dirigente comunista, che nel carcere trascorre, in totale, ben 25 anni. E ancora, l’attore e umorista Miguel Gila, l’artista Fernando Arrabal Terán, sodale di Jodorowsky, Beckett, Ionesco e Warhol e lo scrittore anarchico scozzese Stuart Christie, che all’età di 18 anni da Glasgow si reca in autostop in Spagna con un chilo di esplosivo al plastico con il quale avrebbe voluto uccidere Francisco Franco.
Dopo 55 anni di attività, Carabanchel viene chiuso nel 1998. Trasferiti i detenuti (2.000 uomini e 500 donne), per il carcere inizia il lento declino: diventa meta di persone in cerca di un tetto e viene via via spogliato dell’arredamento e degli infissi, fino a diventare un polo di degrado che preoccupa le autorità e il vicinato. Alla fine, il Ministero degli Interni spagnolo decide di demolirlo e, nel luglio 2008, firma un accordo con il Comune di Madrid che prevede la costruzione, al posto del carcere, di 650 alloggi, un ospedale, aree verdi e uffici pubblici.
Nel frattempo, gli attivisti che si sono riuniti nella Piattaforma per un centro per la pace e la memoria dell’ex carcere di Carabanchel ribadiscono con forza le loro richieste, che vanno sottoponendo alle autorità da diversi anni. Chiedono che sul terreno dell’ex carcere venga costruito l’ospedale che mezzo milione di cittadini e cittadine dei distretti di Latina e Carabanchel attendono da tempo, a lungo promesso dal governo regionale e mai realizzato; in secondo luogo, chiedono che venga realizzato un centro per la memoria che renda giustizia al luogo e alla sua storia, perché il sacrificio di tante donne e tanti uomini che si batterono per difendere la Repubblica e patirono la repressione della dittatura non sia condannato all’oblio.
Ma ormai la sorte dell’edificio è segnata: il 23 ottobre 2008 iniziano i lavori di demolizione. In queste settimane, per il 15° anniversario, l’account Twitter Salvemos Carabanchel sta facendo una cronistoria di quei giorni, con le immagini del lento smantellamento della cupola centrale del carcere, che le attiviste e gli attivisti si erano battuti per salvare per tanti anni.
“Ci sono stato anch’io. Tre anni. Sono stato torturato – ci dice uno dei compagni presenti– sia qui sia a Puerta del Sol, subito dopo l’arresto”. Scopriamo così di avere di fronte Luis Suárez-Carreño, la prima vittima della dittatura franchista ad aver intentato una causa individuale, in Spagna, contro la polizia del regime. La storia di Luis può essere letta sul sito de La Comuna, l’associazione di ex prigionieri politici di cui è attivista, e su decine di articoli (a esempio sull’Huffington Post) dedicati all’azione legale presentata nel giugno 2017 contro tre agenti della famigerata Brigada Político Social, che agiva nella Dirección General de Seguridad (Dgs) di Puerta del Sol, nel centro di Madrid. Uno dei tre ex agenti denunciati da Luis è figura arcinota: Juan Antonio González Pacheco, detto Billy el Niño, un uomo che torturava, come ricorda Luis nell’intervista, con sadico piacere, non come “un semplice dovere”. Il racconto di Luis rompe il ghiaccio e, nella sorprendente semplicità del dialogo fra due lingue sorelle che non ha quasi bisogno di traduzione, Manuel Ruiz García ci racconta dell’assassinio del fratello Arturo, sindacalista delle Comisiones Obreras, ucciso dai fascisti a Madrid durante la tragica manifestazione per l’amnistia dei prigionieri politici del 23 gennaio 1977.
“C’è un anello importante fra l’assassinio di mio fratello e il terrorismo nero nel vostro Paese – ci spiega Manuel – che ruota attorno al nome di Pierluigi Concutelli”. Il 10 luglio 1976, a Roma, Concutelli uccide il giudice Occorsio. L’omicidio viene eseguito con una mitraglietta Ingram Mac-10. Come si scoprirà, l’arma faceva parte di una fornitura riservata di un centinaio di esemplari venduti due anni prima dal produttore statunitense alla polizia politica franchista, che la fornì a Concutelli, il quale negli anni precedenti aveva partecipato con Delle Chiaie, come mercenario, alla guerra sporca della dittatura spagnola contro gli oppositori.
L’omicidio di Arturo innesca la “settimana nera di Madrid” culminata nel “massacro di Atocha”, nel quale tre avvocati del lavoro del Pce e del sindacato vengono assassinati, insieme a uno studente e a un impiegato, da un commando neofascista. Del gruppo di fuoco, stando a un rapporto ufficiale delle autorità italiane emerso anni dopo, faceva parte Carlo Cicuttini, membro di Ordine Nuovo e segretario di una sezione locale del Movimento Sociale Italiano, autore della strage di Peteano del 1972 insieme a Vincenzo Vinciguerra.
All’altra estremità del terreno, prima di emergere su Avenida de Los Poblados, ci mostrano un modellino del carcere, di un metro circa di diametro, realizzato in cemento e mattoni. “Qui – dice Jesús – teniamo in genere i nostri presidi”. Ci mostrano i buchi sulla cupola di cemento, “ogni tanto qualcuno prova a distruggerlo a picconate”.
Dopo un’ultima occhiata a ciò che rimane del portale principale, proprio di fronte al Cie, ci avviamo verso la stazione Aluche della metropolitana. “La nostra battaglia continua. Al momento ci battiamo per ottenere la realizzazione di uno spazio di memoria, per quanto modesto. Chiediamo anche che, prima di erigere nuovi edifici, si scavi nel punto in cui si trovava la cupola centrale. Siamo dell’idea che gli ambienti sotterranei si possano almeno in parte recuperare e rendere visitabili. Una di quelle stanze, quasi sicuramente, ospitava la garrota”. Ci abbracciamo, non prima di aver strappato loro la promessa di una visita in Italia, magari il prossimo anno, in occasione del 50° anniversario della strage di Piazza della Loggia. “Nos vemos en Brescia”, ci assicurano.
Le carrozze che ci portano verso il centro, dove si sta celebrando il Día de la Hispanidad, la festa nazionale spagnola, sono puntellate di bandiere e piene di singoli e famiglie agghindati a festa, molti in giallo e rosso. Non siamo troppo dispiaciuti di aver lasciato il centro a queste celebrazioni di segno un po’ troppo sciovinistico e sorridiamo, pensando alla citazione con la quale ci ha salutato Jesús: “La solidaridad es la ternura de los pueblos”, “La solidarietà è la tenerezza dei popoli”.
Carlo Gianuzzi, Commissione scuola Anpi “Dolores Abbiati”, Brescia
Pubblicato mercoledì 15 Novembre 2023
Stampato il 21/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/servizi/in-spagna-alla-scoperta-dei-luoghi-della-resistenza-antifranchista/