Mussolini non voleva che si parlasse di cronaca nera, la Fiat ha vietato per decenni che sul suo giornale La Stampa si citasse la marca delle automobili coinvolte in incidenti stradali, Donald Trump non vuole si parli di “feti” nei documenti di bilancio del governo americano.
Proprio così: al ministero della sanità americano hanno appena comunicato che le parole “feto”, “transessuale”, “diversità”, “diritti”, “scientificamente provato”, “basato su prove” e “vulnerabile” non devono essere usate nelle pubblicazioni del Center for Disease Control, il dipartimento che si occupa della ricerca e delle emergenze sanitarie.
La censura opera efficacemente solo in segreto: quando viene alla luce assume un aspetto inevitabilmente ridicolo, come quando il regime fascista, nel 1940, ordinava ai giornali di “astenersi dall’illustrare la bontà del pane con la nuova miscela” oppure di “non toccare l’argomento delle code davanti ai negozi” (probabilmente nel timore di far sprofondare il poco di credibilità che ancora conservavano i quotidiani italiani).
Negli Stati Uniti, le prime reazioni sono state, quindi, ironiche: molti hanno pensato a una trovata geniale di The Onion, il celebre settimanale satirico. Il senatore Jeff Merkley ha chiesto se si trattava di uno scherzo, citando il più celebre romanzo mai scritto sul tema della censura, “1984” di George Orwell, dove lo slogan del partito al potere era “L’ignoranza è forza”. Quella dello scrittore inglese era fantascienza, il libro fu pubblicato nel 1948, ma Orwell non poteva immaginare che invece, 70 anni dopo, nel cuore della democrazia americana si sarebbe installato un presidente che censura il linguaggio, quanto meno nei documenti pubblici (alla censura della stampa non si è ancora arrivati, benché siano in atto varie forme di intimidazione contro i giornalisti).
In realtà non si tratta affatto di uno scherzo, ma di una politica che da un lato ha un valore simbolico: dare soddisfazione ai fondamentalisti cristiani e alle forti componenti antiabortiste che di regola votano per il partito repubblicano. Dall’altro, si tratta di rovesciare silenziosamente le politiche a vantaggio dei più poveri, quindi sopprimere ogni riferimento ai loro diritti in materia sanitaria. Per esempio, l’amministrazione Trump si è ferocemente opposta alla richiesta di giovani immigrate in carcere per violazione delle leggi sull’immigrazione di ottenere un’interruzione della gravidanza e solo l’intervento della magistratura ha costretto il governo a consentire l’aborto, un diritto costituzionalmente garantito.
C’è di più: la cancellazione dell’espressione “scientificamente provato” (science-based o evidence-based) fa parte della pluridecennale battaglia in difesa delle lobby petrolifere e farmaceutiche che i repubblicani hanno intrapreso. L’aspetto più noto di questa crociata è quello contro il riscaldamento globale, definito “un imbroglio” o un “complotto cinese” dallo stesso Trump in campagna elettorale. La ragione sta nel fatto che accettare la realtà dell’aumento della temperatura media del pianeta conduce inevitabilmente a restrizioni nell’uso di combustibili fossili, regolamenti ferocemente contrastati dalle aziende petrolifere e carbonifere che vedono minacciati i loro profitti.
Per eliminare ogni limitazione allo sfruttamento di petrolio e carbone i repubblicani hanno speso miliardi di dollari in propaganda, riuscendo a convincere un terzo degli americani che il riscaldamento globale non esiste o che, se esiste, dipende da fattori naturali e non dall’opera dell’uomo.
La guerra contro la scienza è un dato costante della politica di Trump, che cerca di nascondere al meglio i provvedimenti presi a vantaggio di amici e finanziatori, oppure di eliminare le notizie su argomenti scomodi come l’Aids, l’omosessualità, i transessuali. Oltre a bandire l’uso della lista di sette parole che abbiamo citato, i siti web dei vari ministeri hanno infatti cancellato le sezioni che trattavano di questi argomenti, oltre che degli accordi di Parigi sul clima, o quelli sugli effetti dell’aumento della temperatura media del globo, che tra l’altro provocherebbe, quando seguita da un innalzamento del livello medio dei mari, immensi disastri nelle città costiere degli Stati Uniti: già quest’anno gli effetti del ciclo autunnale di tifoni provenienti dai Caraibi sono stati catastrofici.
Il controllo del linguaggio è da sempre il sogno di ogni regime totalitario, o anche semplicemente autoritario: la censura in Cina è capillare e attivissima, nella Turchia di Erdogan centinaia di giornalisti sono in carcere, moltissimi altri sono stati licenziati, i giornali di opposizione chiusi. In Russia i giornalisti talvolta pagano con la vita il loro impegno nella ricerca della verità, com’è stato nel caso di Anna Politovskaja, assassinata nel 2006.
La battaglia per la libertà di stampa non ha mai fine, da Washington a Vladivostok.
Fabrizio Tonello, docente di Scienza politica all’Università di Padova. Ha pubblicato, fra l’altro, “Desolation Row: from Democracy to Oligarchy, 1976-2016”, Feltrinelli 2016, e “L’età dell’ignoranza”, Bruno Mondadori, 2013. Scrive regolarmente sul Manifesto e su Professione docente
Pubblicato giovedì 21 Dicembre 2017
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