Foto Imagoeconomica

“e in tutto il paese le arance dorate pendono dal ramo tra il fogliame verde scuro degli alberi, e nascosti tra gli alberi i custodi armati di fucili sono autorizzati a sparare contro il primo straccione che si lasci tentare a staccare un frutto …” (cit. Steinbeck, Furore, America 1929)

No. Tranquilli. Questa è StraBerry, 15 chilometri dalle guglie del Duomo, piccolo mondo giovane, green e smart, creatura di un trentenne bocconiano blasonato che, acquisito “l’ok di mamma”, come precisa in una intervista, dei 60 ettari di famiglia siti nel Parco Sud Milano, ne dedica una porzione a coltura di fragole, ortaggi e piccoli frutti.

Guglielmo Stagno d’Alcontres in caschetto arancione al centro della foto tratta dal suo profilo fb

Magistralmente Straberry narra se stessa in rete, offre se stessa aperta anche la domenica per eventi, acquisti in loco, visite didattiche, feste di famiglie, giochi per bambini, nuotate nell’incredibile piscina di chicchi di grano.

E sorride, Straberry, con il sorriso del giovane bocconiano pluripremiato da Coldiretti per questa sua creatura, che, con i suoi colorati apecar, corre veloce per la consegna a domicilio perché sulle tavole non manchino le fragoline volanti, così come vengono chiamate, o le succose more che, da cibo di tutti, colte tra i rovi, trasmutano ora in ammiccante simbolo di status.

La magia del “posto delle fragole” finisce con il finire dell’estate.

La start-up, come alcune altre progettata e realizzata per indurre ad un bisogno e per imporsi, grazie a questo profittevole e spesso drogato bisogno, sull’ampiezza dei mercati, viene chiusa con accuse pesanti: caporalato e sfruttamento illecito della manodopera. Gli inquirenti avrebbero ravvisato anomalie nelle procedure di assunzione e di retribuzione dei lavoratori (4,50 euro l’ora, circa metà di quanto previsto dal contratto collettivo nazionale), gravi violazioni delle norme di impiego dei braccianti, qui obbligati a turni di oltre 9 ore, svolte in condizioni degradanti, ritmate dalle vessazioni pressanti e dai perentori incitamenti alla velocizzazione della raccolta da parte della vigilanza. Nessun rispetto, inoltre, delle norme anti covid 19.

Per chi scrive, “StraBerry” non è solo una azienda che chiude.

Straberry è il luogo fisico, vicino a noi, in cui la asimmetria tra la narrazione aziendale e la realtà delle cose si fa tanto potente da provocare lo schianto del meccanismo e il disvelamento del brutale mondo reale, nascosto sotto la poetica green del virtuale.

StraBerry: caporalato e sfruttamento dei braccianti alle porte di Milano (da https://milano.corriere.it/foto-gallery/cronaca/20_agosto_26/straberry-lavoro-campi-senza-tutele-45-euro-all-ora-22d9b4f0-e76c-11ea-a28c-2ebec2233fa4.shtml)

Straberry è il luogo fisico in cui la miscela tra sfruttamento e razzismo raggiunge il punto di saturazione, tanto da produrre una esplosione che, chiusi i cancelli dell’azienda (oggi in amministrazione controllata) ripropone nell’agenda della nostra riflessione il nodo dell’oscuro sogno padronale di onnipotenza, ben incarnato nelle bieche parole pronunciate al telefono dal giovane bocconiano blasonato e pluridecorato : “questo deve essere l’atteggiamento perché con loro devi lavorare in maniera tribale, come lavorano loro, tu devi fare il maschio dominante, è quello il concetto, io con loro sono il maschio dominante…è così…io sono il maschio dominante! Ed alla fine non cambia un cazzo che sono il datore di lavoro, perché se loro capiscono che tu hai gli stessi metodi che son quelli che funzionano (…) posso scrivere un libro, non è che li ho inventati io e sono orgoglioso, sono più orgoglioso di avere inventato StraBerry che avere questi metodi coercitivi, chiamiamoli così, nei loro confronti! Ma sono i metodi con i quali bisogna lavorare” (Corriere della Sera, 20 agosto 2020).

Una delle apecar di StraBerry

Non sappiamo se il padrone di StraBerry mostri ancora il sorriso delle sue note fotografie, ma sappiamo che la sua giovane creatura innovativa ha testato a Cassina de Pecchi una modalità di sfruttamento peggiore del peggiore arcaismo, aggiungendo ad essa l’umiliazione razzista e la induzione al terrore sui lavoratori.

Il giovane bocconiano e il suo staff, per il tramite del caporalato, sperimentano nel Parco Agricolo Milano la glaciale modalità della riduzione dell’uomo a merce e della trasmutazione di questa merce, composta di carne e di sangue, in spregiato anello della catena produttiva.

Niente di meno, niente di più della modalità individuata e praticata dalla nascente borghesia che, “spietatamente lacerati tutti i variopinti vincoli feudali che legavano l’uomo al suo superiore naturale” (cit. Il manifesto Karl Marx), e fattasi classe dirigente mette al centro del mondo, che va creando ad immagine e somiglianza di sé, lo sfruttamento aperto e spudorato.

In questo mondo ricreato ex novo, una classe sociale intera “si vende per vivere” (cit. Lavoro salariato e capitale, Karl Marx ) alla classe proprietaria di materie prime, macchine e mezzi e, in cambio di salario, produce merci e beni che troveranno sbocco su mercati che la classe proprietaria vuole sempre più infiniti, in un pianeta dove, più liberamente degli uomini, le merci possano viaggiare, e dove i capitali, più facilmente delle persone, possano trovare asilo e buona accoglienza.

Così, non diversamente da una azienda manifatturiera, di cui Engels mirabilmente descrisse le condizioni di vita (Le condizioni della classe lavoratrice inglese, 1845), StraBerry, parata dietro il volto green e innovativo, apre i propri cancelli nel solo interesse dei propri profitti.

E, non diversamente dal padrone di una antica azienda manifatturiera, in cui il filo per tessere è una merce come il corpo di chi lo tesse, con la sola differenza che l’uno si paga a metri e l’altro a ore, il padrone di StraBerry sogna un mondo in cui la merce umana possa impunemente essere succhiata a morte.

Sogna un mondo governato dal principio razziale bianco, plasmato dal proprio ego maschio e vincente, permeato da una vena di familismo amorale, molto italiano, che privilegia i propri legami parentali sulle regole statuali, irrorato dal persistente bipolarismo, molto italiano anche questo, verso lo Stato: utile finché da esso si possano trarre vantaggi, vetusto e fastidioso quando esso imponga una norma restrittiva dei propri interessi.

È il sogno dell’onnipotenza padronale, nella felice definizione di Angelo Tasca (cit. Nascita e avvento del fascismo).

È il sogno dell’onnipotenza padronale che, ripresa quota da decenni, ora dilaga e con una finezza lessicale, certo più apprezzabile del rozzo sbotto telefonico di Guglielmo Stagno d’Alcontres di Straberry, viene rilanciato da Carlo Bonomi, presidente di Confindustria nelle sue recenti dichiarazioni.

A StraBerry è intervenuto lo Stato, forte di una democrazia conquistata.

Ma per futuro a venire, quanto ancora lo Stato democratico potrà sui sogni che albergano nei cuori dei potenti?

Annalisa Alessio, vice presidente Comitato provinciale Anpi Pavia