In occasione del 45° anniversario della “Rivoluzione dei garofani”, cioè della fine incruenta (25 aprile 1974) del lungo regime autoritario di Salazar in Portogallo, pubblichiamo questo ampio servizio su di un grande portoghese, Aristides de Sousa Mendes.
Le pagine polverose del passato ogni tanto danno segni e spunti relativi a fatti e a personaggi dimenticati, le cui azioni non hanno cambiato la storia, ma hanno salvato vite umane, forti solo del loro coraggio morale. Uno di questi è il portoghese Aristides de Sousa Mendes, console generale in Francia che all’inizio della seconda guerra mondiale, dinanzi alla miriade di profughi, tra cui molti ebrei, in cerca di scampo dalla deportazione e lo sterminio nazista, s’adoperò materialmente per aiutarli. Cominciò dunque a rilasciare visti per permettere loro di entrare in un territorio neutrale e sicuro quale il Portogallo, nonostante il dittatore lusitano Antonio de Oliveira Salazar, per non provocare l’ira del temutissimo Hitler, non fosse affatto propenso ad accogliere quegli esuli. Sousa Mendes non solo deciderà di ignorare le disposizioni del suo governo ma, valendosi della posizione acquisita, diramerà a tutte le sedi consolari portoghesi in Francia l’ordine di fare altrettanto e di assecondare le richieste di visto. Lui stesso, armato di carta, penna e, soprattutto, del sigillo bianco della cancelleria, in appena tre giorni rilascerà ben 30.000 visti.
Così Lisbona diverrà l’ultima porta aperta dell’intera Europa per riuscire a evadere da un campo di concentramento esteso su gran parte del continente.
Nascita e studi.
Aristides, insieme al suo gemello César, viene al mondo il 19 luglio 1885 a Cabanas de Viriato, nel comune di Carregal do Sal, Distretto di Viseu. Il padre, José de Sousa Mendes, è giudice e si preoccupa che i suoi figli acquisiscano il senso della giustizia e dell’amore per la verità; la madre, Maria Angelina Ribeiro de Abranches, ha radici nobiliari, come il marito. Poco si conosce della giovinezza di Aristides, le prime notizie risalgono al tempo degli studi Università di Coimbra dove, nel 1907, i due fratelli si laureano in Giurisprudenza per poi optare per la carriera diplomatica. Alla fine dell’anno, Aristides sposa la cugina Angelina de Sousa Mendes. Riguardo alle idee politiche si sa unicamente che era un conservatore di matrice cattolica e di simpatie monarchiche.
La prima nomina – console di seconda classe – è del maggio 1910. L’incarico lo porta nella Guiana Britannica e più tardi in Galizia; in seguito, divenuto console generale, è destinato a Zanzibar, territorio africano sotto l’amministrazione britannica, dove rimane fino al 1919. Intanto molti avvenimenti hanno riguardato il suo Paese: è divenuto una Repubblica (nell’ottobre 1910), dopo una fase di neutralità è entrato nel primo conflitto mondiale (nel 1916), e nel 1917 è stato teatro di un golpe militare che ha portato alla presidenza il ministro, conservatore repubblicano, Sidonio Pais. L’uccisione di Pais, assassinato da un anarchico, determina il governo ad avviare l’epurazione di tutti i funzionari di tradizione monarchica: nel luglio 1919 Sousa Mendes viene sospeso e collocato nella posizione di disponibilità. Reintegrato un paio di anni dopo, promosso console di prima classe, Aristides è destinato alla sede di Curitiba, in Brasile, e successivamente negli Stati Uniti, a St. Francisco in California, per tornare quindi in Brasile, assegnato prima alla sede di Maranhão e poi a Porto Alegre, dove rimane per due anni. Il 1926 lo vede conseguire una serie di successi, a gennaio è chiamato alla Direzione del commercio estero, ad aprile è segretario del Comitato internazionale per i problemi relativi ai confini tra Portogallo e Spagna, sia nella penisola iberica sia nei territori coloniali. Nel maggio il Paese è travolto da un altro colpo di stato militare. In una manciata di anni ad ascendere al potere è António de Oliveira Salazar, ammiratore di Mussolini, che, già componente del governo dal 1926, nel 1932 instaura il cosiddetto “Estado Novo”, un regime di stampo fascista.
All’inizio degli anni Trenta, Sousa Mendes si trova ad Aversa, in Belgio, dove avvia importanti relazioni diplomatiche e commerciali tra i due Paesi, riscuotendo gli apprezzamenti sia del re belga Leopoldo III – che gli conferisce ben due decorazioni: ufficiale dell’Ordine di Leopoldo e comandante dell’Ordine della Corona, la più alta onorificenza della monarchia – sia di Salazar. Anche il gemello César è nei favori del dittatore, ma l’idillio dura ben poco: nominato ministro degli Esteri si scontra più volte con il capo del regime e dopo appena nove mesi è rimosso. La vendetta politica si abbatte anche su Aristides: accusato ingiustamente di cattiva gestione dei fondi ministeriali, nonostante un’ispezione accerti la non fondatezza delle accuse, si vede limitato nei suoi poteri di gestione e sottoposto a sorveglianza. Non contento, Salazar fa promuovere nei suoi confronti un procedimento disciplinare per abbandono, senza autorizzazione, della sede di Anversa. L’inchiesta accerta però che motivo dell’assenza era stata la partecipazione al funerale del suocero, per cui non viene preso alcun provvedimento. Alla luce di ciò, Aristides scrive al dittatore chiedendo una promozione a «capo missione di 2° classe della legazione cinese o giapponese». Salazar invece gli fa pervenire la nomina a console presso la piccola sede di Bordeaux, in Francia.
L’occupazione nazista della Francia
Il 29 settembre 1938, Aristides Sousa Mendes e la moglie, accompagnati da una parte dei figli (ne aveva ben dodici) e dalla fedele cameriera, Fernanda Dias de Jesus da Silva, arrivano a Bordeaux.
La famiglia si stabilisce al consolato, in un appartamento di quattordici stanze al n. 14 del Quai Louis XVIII, di fronte al fiume Garonna.
Un anno dopo, il 1° settembre 1939, con l’invasione della Polonia, comincia la seconda guerra mondiale. Nella parte occupata dal Terzo Reich si avvia il programma di privazione dei diritti a tutti i polacchi e insieme di pulizia etnica, deportazione e sterminio degli ebrei. Il Portogallo resta neutrale ma il capo del regime, Salazar, non intente affatto inimicarsi Hitler. E, nel novembre 1939, invia a tutte le ambasciate portoghesi in Europa una memoria confidenziale, la Circolare n. 14, con cui si vieta espressamente il rilascio di visti agli ebrei espulsi dai loro Paesi d’origine e ai profughi e agli apolidi muniti del Nansen, il passaporto internazionalmente riconosciuto rilasciato dalla Società delle Nazioni. Il 10 maggio 1940 le divisioni Panzer tedesche occupano Belgio e Olanda e il 10 giugno entrano in Francia, marciando su Parigi. Con l’armistizio di Compaigne, firmato il 22 giugno, il territorio francese verrà diviso in due: la parte settentrionale sarà posta sotto il diretto controllo dei tedeschi, quella meridionale verrà guidata dal collaborazionista maresciallo Petain e conosciuta con il nome “Repubblica di Vichy”. In quest’ultima si trova la cittadina di Bourdeaux. Nel frattempo l’invasione del Nord ha già provocato la fuga verso Sud di migliaia di persone, primi tra tutti gli ebrei e gli oppositori politici. Già dalla fine di maggio, al civico 14 del Quai Louis XVIII, Sousa ha cominciato a firmare qualche lasciapassare per il Portogallo a cittadini belgi e polacchi. Nei giorni successivi la situazione precipita. A Bordeaux la popolazione passa da 300.000 a 700.000 persone, una marea umana che vaga nelle strade in cerca di salvezza. Si sparge la voce sulla possibilità di ottenere un salvacondotto dal consolato portoghese e in centinaia si assiepano dinanzi al portone d’ingresso.
Non possiamo non agire: «Salveremo tutti».
Sousa Mendes è sconvolto; come comportarsi? Negare i visti, come ordina la Circolare 14, oppure aiutare chiunque sia in pericolo di vita o possa essere deportato?
Il 16 giugno 1940, domenica, il console prende la sua decisione: firmerà ogni richiesta richiamandosi a un articolo della Costituzione portoghese, varata proprio da Salazar: «a nessun straniero può essere negato di accedere in territorio portoghese per le sue idee politiche, religiose o per la razza». Il personale condivide l’interpretazione e asseconda la scelta di «Salvare tutti». Quel giorno secondo Yehuda Bauer, storico contemporaneo, cominciò: «la più grande operazione di salvataggio effettuata da una persona durante la shoah», dopo quella compiuta dal diplomatico svedese Raoul Wallenberg che strappò alla morte 100.000 ebrei, contando però sul pieno sostegno del suo governo.
La situazione di Sousa è ben diversa, e per riuscire nell’intento fin dalla mattina crea una vera e propria catena di montaggio: alcuni addetti sono incaricati di riempire i moduli, altri di apporre la foto per poi passare il documento a Sousa per la firma e infine al segretario Jose Seabra per il timbro. «Religione ebrea, cattolica o protestante? Non importa! Origine “etnica”? Ininfluente! Russo? Iscrivilo! Apolide? Iscrivilo!». Bisogna far ancora più presto, velocizzare ulteriormente le pratiche. Sousa decide di firmare con il solo nome Mendes, quindi dispone che il Consolato rimanga aperto dalle 9 del mattino sino alle 19, senza alcuna pausa. Inoltre, forte del suo ruolo e della sua esperienza, decide di coinvolgere i colleghi di altre sedi in Francia e invia al console di Tolosa, Emile Gissot e al vice console di Baiona, Faria Machado, un telegramma con l’ordine di rilasciare il maggior numero di permessi. Mentre il primo asseconda, l’altro s’attiene alla Circolare 14 e si rifiuta. Sousa non si scompone, delega alla firma il segretario, si precipita a Baiona, al consolato prende un tavolo, lo pone dinanzi alla porta e inizia a rilasciare visti. Inutili le proteste del viceconsole che, adirato, decide di allertare Lisbona su quanto sta accadendo.
Nel frattempo alla frontiera portoghese-spagnola vengono fermate e respinte in territorio spagnolo ben 18.000 persone munite del visto Sousa. Madrid è in allarme, ha da poco firmato un trattato di non belligeranza con la Germania e il Generalissimo Franco non intende affatto essere accusato di tradimento. Le pressioni spagnole sul governo portoghese sono tali che il direttore della famigerata Polícia de Vigilância e Defesa do Estado (Pvde), Agostinho Lourenco, è costretto a riaprire il confine e a permettere il lento afflusso del fiume umano. La reazione di Salazar non si fa attendere, incarica l’ambasciatore portoghese a Madrid di esautorare il collega e lo richiama in Portogallo. Sousa l’8 luglio rientra in patria.
Non appena rientrato, Aristides chiede di poter conferire con Salazar, ma la richiesta viene rifiutata, non s’arrende e invia una petizione in favore dei profughi, che però viene cestinata. Anzi è il dittatore in persona ad avviare un’inchiesta, incaricando il capo dipartimento degli affari economici del ministero degli Esteri, Francisco de Paula Brito Júnior, di redigere l’atto di accusa nei confronti di Sousa Mendes. Il funzionario basa l’accusa sulla testimonianza di tre persone: il capitano Lourenco, capo della polizia politica, Armando Lopes Simeone, console a Baiona, e Teotonio Pereira, ambasciatore a Madrid, il più intransigente e spietato.
La storica Bessa Lopez ha dimostrato che il processo disciplinare è stato una farsa, infatti Salazar in una comunicazione riservata inviata all’ambasciatore portoghese a Londra Armindo Monteiro (padre dello scrittore Louis Sttau Monteiro), affermò, ancor prima che l’indagine fosse giunta al termine, la colpevolezza dell’ormai ex console portoghese a Bordeaux.
Il 2 agosto l’atto accusatorio è depositato. Le imputazioni sono abuso di potere, emissione di visti falsi, non rispetto delle direttive ministeriali. A Sousa vengono concessi dieci giorni per replicare e depositare la memoria difensiva. Mendes scrive venti pagine e allega la lettera dello scrittore Gisèle Allotini, dove si legge: «Ti voglio testimoniare la profonda ammirazione che le persone che ti hanno conosciuto, nei Paesi dove hai prestato servizio come console, hanno nei tuoi confronti. Sei la migliore pubblicità del Portogallo, fai onore alla tua patria. Tutti quelli che ti conoscono lodano il tuo coraggio, il grande cuore e lo spirito cavalleresco. Sei in Portogallo il meglio della pubblicità, è un onore per la tua patria. Tutti quelli che lo conoscevano lodarono il suo coraggio, il grande cuore, lo spirito cavalleresco», aggiungendo: «se i portoghesi assomigliano al console generale Mendes, sono un popolo di gentiluomini ed eroi».
Contestando ogni colpa, Sousa afferma che il suo operato è stato dettato da ragioni umanitarie perché «molti di loro erano ebrei perseguitati e cercavano disperatamente di sfuggire all’orrore di nuove persecuzioni. Alla fine c’era un numero di donne di tutti i Paesi invasi che hanno cercato di evitare di essere lasciati alla mercé della sessualità teutonica. A questa situazione s’è aggiunto lo spettacolo di centinaia di bambini che, seguendo i propri genitori, partecipavano alle loro sofferenze e angosce. […] Posso sbagliarmi, ma se ho sbagliato è perché ho seguito i dettami della mia coscienza, che non ha mai cessato di guidarmi a rispettare i miei compiti con cognizione delle mie responsabilità».
Il 29 agosto, il Consiglio disciplinare apre il procedimento contro Aristides de Sousa Mendes per disobbedienza, premeditazione, recidiva e abuso di potere. La sentenza di condanna è del 29 ottobre. L’indomani Salazar firma la sanzione: un anno di sospensione e il dimezzamento dello stipendio fino al pensionamento.
Tempi difficili
Nonostante la condanna, Aristides de Sousa Mendes non si scoraggia e il 28 novembre, presenta ricorso al Tribunale amministrativo di Lisbona, per violazione del diritto alla difesa dell’imputato, dal momento che non gli è stata concessa la parola. La corte non prende una decisione e Aristides si ritrova in gradi difficoltà economiche dovendo gestire una famiglia molto numerosa famiglia, pertanto decide di scrivere a Salazar dichiarandosi «assolutamente privo di risorse», senza però ricevere risposta. Ad aiutarlo è solo la comunità ebraica di Lisbona, che lo sostiene con un assegno mensile.
Il 19 giugno 1941 il Tribunale amministrativo respinge il ricorso. Ciò non impedisce all’ex console di continuare a coltivare la speranza di un cambiamento che intravede il 30 aprile 1945 con il suicidio di Hitler. Inutile dire che non avviene niente di quanto sperato, per cui nel dicembre dello stesso anno Mendes si appella all’Assemblea nazionale per far dichiarare incostituzionale la Circolare 14 perché in contrasto con l’articolo 8 della Costituzione portoghese, garante della libertà individuale e dell’inviolabilità delle idee religiose e politiche anche a persone perseguitate. Nessuna risposta. Neppure questa volta Sousa si abbatte e nel novembre del ’45, sostenuto da quattro figli (Aristide, Geraldo, Carlos e Pedro Nuno) e dal Movimento di unità democratica (Mud), promuove una petizione per chiedere libere elezioni. La risposta è immediata: la polizia politica arresta i leader del Movimento e imbavaglia la stampa. Dinanzi a tali difficoltà qualunque altro uomo si sarebbe arreso ma non Mendes, che nel febbraio 1946 decide di rivolgersi, nuovamente, a Salazar. E di nuovo non ha riscontri. Tenta dunque l’ultima carta e si rivolge al Cardinale Manuel Gonçalves Cerejeira, Patriarca di Lisbona, intimo amico di Salazar, affinché perori la sua causa. Non è stato mai chiarito il reale comportamento tenuto dall’alto prelato, l’unica certezza è il permanere di Mendes in una condizione d’indigenza e di prostrazione.
L’uomo buono muore, ma non le sue azioni
Le testimonianze sugli ultimi anni della vita del console concordano su un punto: anche nei momenti più difficili e umilianti, quando si sentiva rifiutato, ha sempre mantenuto un atteggiamento benevolo nei confronti della vita. Alla fine del 1947 decide di abbandonare il Portogallo, per stabilirsi con la famiglia negli Stati Uniti, ma ai primi di gennaio del 1948 la moglie Angelina è colpita da un’emorragia cerebrale e sei mesi dopo muore. Aristides abbandona l’idea d’emigrare, nonostante la situazione economica si aggravi sempre più. Addirittura nell’inverno del 1953, citato da alcune banche per insolvenza dei prestiti contratti, è condannato per estinguere il debito al pagamento di 3.900 pesetas al mese, pari a un terzo della sua pensione.
Quest’ultima notizia lo prostra e mina uno stato di salute già compromesso. Il 3 aprile 1954 Aristides Sousa Mendes si spegne per le complicazioni di una polmonite. Un eroe scompare, ma non il ricordo del bene elargito.
Infatti, Israele e il popolo ebraico non dimenticano l’operato di quel «Giusto» e nel 1967, a New York, il console generale d’Israele, consegna alla figlia Joanna la Medaglia del Yad Vashem, l’ente nazionale israeliano per la memoria della shoah.
È l’inizio della riabilitazione. Il 25 aprile 1974, in Portogallo, la “Rivoluzione dei garofani” pone fine, in modo incruento, al lungo regime autoritario; vengono indette le elezioni; nasce la Repubblica democratica. Il cambiamento permette alla famiglia Sousa Mendes di far riprendere al ministero degli Esteri il fascicolo dell’ex console e chiedere di restituirgli l’onore.
Trascorrono due anni durante i quali l’ambasciatore Bessa Lopes raccoglie testimonianze e materiale sul comportamento tenuto da Soussa nei giorni della disfatta francese. Al termine consegna al ministro un dossier, pubblicato nel 1976. L’indagine si conclude a favore di Mendes e giustifica il suo comportamento con la dizione «dettato da fini umanitari». È il primo passo verso la riabilitazione ufficiale. Il secondo avviene, nel 1987, all’ambasciata portoghese a Washington, dove il presidente della Repubblica portoghese, Mario Soares, consegna ai figli di Sousa Mendes la decorazione dell’Ordine della libertà. Nel febbraio 1988 il Parlamento inizia a discutere una proposta di legge, presentata dal deputato socialista Jaime Gama, per restituire l’onorabilità ad Aristides. Il 13 marzo 1988, quarantotto anni dopo gli avvenimenti di Bordeaux e quattordici anni dopo la fine della dittatura, il Parlamento all’unanimità approva la riabilitazione del console, promuovendolo ambasciatore.
Ma l’opera di riscatto non si ferma, nel 1990 la città di Montreal (Canada) gli intitola un parco, seguita l’anno successivo da Bordeaux. Nel 1998 in Francia viene pubblicato il libro “Le Juste de Bordeaux”, e in quello stesso anno il Parlamento europeo onora Sousa Mendes, conferendogli un’importante onorificenza. Nell’aprile 1999 il consiglio comunale di Rio de Janeiro gli conferisce una medaglia, e nel maggio il Presidente della Repubblica Jorge Sampaio si reca nella cittadina natale dell’eroe per rendergli omaggio. Il 23 febbraio 2000 a Lisbona viene istituita la Fondazione Aristides Sousa Mendes; un mese dopo, nel Palazzo dei Bisogni, il ministro degli Esteri portoghese consegna alla fondazione la somma di 50.000 euro.
Stefano Coletta, docente
Bibliografia
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Rui Afonso, “Um homem bom. Aristides de Sousa Mendes, il Wallenberg português”, Lisbona, Caminho, 1995.
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José Alain Fralon, “Aristides de Sousa Mendes. Le juste de Bordeaux ”. Bordeaux, ed. Mollat, 1998
Novais Granada, “Português que salvou 30 mil recordado na estação do parque: metro de Lisboa homenageia herói da humanidade”, in “Correio da Manhã”, 26 marzo 1995.
Mascarenhas e M. J. Martins, «Aristides de Sousa Mendes. A coragem da tolerância”, ed. Biblioteca, Lisbona, 1996.
Avraham Milgram, “Os cônsules portugueses e a questão dos refugiados judeus”, in “História”, n. 15, giugno 1999.
Pubblicato martedì 23 Aprile 2019
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