Ci sono ancora i fascisti? Costituiscono un pericolo reale per la democrazia italiana? E che fare per contrastarli adeguatamente? Nell’editoriale di “Patria Indipendente” Carlo Smuraglia, Presidente dell’ANPI nazionale, apre una riflessione sull’argomento. Rispondono in questo numero Aldo Tortorella, Michele Prospero e Daniele Marantelli.
La denuncia di Smuraglia sul pericoloso sviluppo di attività di gruppi apertamente fascisti o nazisti, nell’indifferenza assai diffusa delle autorità costituite, è più che fondata.
Gli esempi portati sono prova sufficiente e potrebbero essere moltiplicati. È un dato non solo italiano. In tutta Europa formazioni dichiaratamente naziste hanno rialzato la testa e spesso avanzano. Nei Paesi baltici, in quelli del centro Europa, in Grecia, in Germania. Ci si è congratulati con il governo ungherese perché i neonazisti di Jobbik nelle ultime elezioni hanno preso “solo” il 20 per cento. Ma il governo ungherese, a sua volta, è quello che ha messo il bavaglio alla stampa, ha varato una costituzione sanfedista, ha una linea di violenta xenofobia, ha rifiutato le quote dei migranti stabilite da Bruxelles (1.294 su 10 milioni di abitanti). Migranti che il premier ungherese Orban non ha mai definito “rifugiati” ma “parassiti criminali”, “potenziali terroristi”, e via dicendo. Meglio dei nazisti, si dice: ma la cultura non è dissimile. È solo un esempio di quello che avviene in giro per l’Europa.
È importante chiedersi perché questo accade. C’è, certo, la disinformazione su quello che il nazismo e il fascismo sono stati e la mancanza di un’opera di applicazione delle leggi – ove esistono, come in Italia – per reprimere queste forze nemiche di ogni libertà. Ma c’è soprattutto la conseguenza di politiche sbagliate condotte da forze moderate di orientamento democratico talora di centro destra, altre volte di centro sinistra, incapaci di intendere le conseguenze pesanti per le classi lavoratrici della crisi economica prodotta dalle loro stesse politiche neoliberiste. Il neoliberismo che teorizza le virtù assolute del mercato, in realtà quando sopravviene la crisi si dimostra per quello che è: un regime incurante dei prezzi sociali della ricerca del massimo profitto privato mentre, quando viene la crisi, le perdite verranno socializzate.
A pagare per la globalizzazione del capitale finanziario sono i più deboli: ecco l’impoverimento del ceto medio, l’abbassamento relativo del monte salari e la disoccupazione nei Paesi sviluppati e, contemporaneamente, l’allargarsi della forbice tra ricchissimi e meno abbienti o poveri. In più si è aggiunta la conseguenza delle guerre scatenate nel vicino Oriente dalle potenze occidentali, a partire dall’aggressione all’Iraq propugnata da Bush e Blair, e poi dalla destabilizzazione di Siria e Libia soprattutto per opera francese. Milioni di profughi in fuga: più di tre milioni accolti tra Turchia, Libano, Iran, Tunisia, Marocco, centinaia di migliaia bussano alla porta dell’Europa, il Mediterraneo è ridotto a un cimitero, la voce del Papa per l’accoglienza è quella di chi parla nel deserto.
Da tutto ciò viene l’ondata di protesta che può prendere e prende vie pericolose per la pressione della destra estrema. Che ha un programma preciso: il ritorno al nazionalismo sciovinista, il protezionismo, la chiusura delle frontiere. Trump ha vinto, sia pure in minoranza, su questo, e non erano, come dicevano gli ottimisti, chiacchiere elettoralistiche, poiché sul suo programma va avanti senza soste. E su questa via si può rompere l’Europa. È un programma che serve a garantire ai dominanti di ciascun Paese di mantenere il controllo sui fabbricatori della loro ricchezza – i lavoratori del braccio e della mente – dirottando il possibile conflitto di classe in un conflitto tra i poveri (residenti contro immigrati, “garantiti” contro precari ecc.) e, così, rimanendo ben saldi al comando. A favorire questa paradossale conclusione, come è evidentissimo nel caso Trump, sta la campagna di lunga lena contro la democrazia rappresentativa.
Secondo questa campagna i guai di ciascun Paese, compresa la corruzione, non dipendono da un determinato corso politico ed economico guidato da chi manovra le leve del potere finanziario ai fini del proprio vantaggio, ma dai “politici” genericamente intesi, e dai “corrotti” che sono tutti i politici in quanto tali. Viene accuratamente occultato che se ci sono dei corrotti ci devono per forza essere dei corruttori: il politico che favorisce i petrolieri c’è perché ci sono i petrolieri che lo foraggiano, e così è per quelli che favoriscono l’arbitrio dei banchieri oppure i fabbricanti di armi, eccetera. La colpa è dei partiti in quanto partiti. Trump, insediandosi, lo ha detto chiaro: con me non ha vinto un partito, ha vinto il mio “movimento”, ha vinto il popolo. Ciò significa che egli stesso è il popolo. Tale fu la dottrina che creò il “duce” e il “führer”. Il rapporto diretto tra capo e masse, senza mediazioni. Alla parola del capo il popolo deve obbedire e basta perché la parola del capo è la parola del popolo.
Naturalmente, il fascismo e il nazismo sulla base di questa dottrina soppressero del tutto il parlamento per realizzare una tirannide compiuta mentre, oggi, questo passo estremo è (quasi) impossibile da compiere, almeno in Occidente. Ma l’esistenza della garanzia rappresentata dalla rappresentanza popolare può essere aggirata (rimando allo studio dell’autorevole Colin Crouch su la “postdemocrazia”) attraverso il controllo dei mezzi di comunicazione di massa che formano la maggioranza dell’opinione pubblica, cui viene aggiunto un sapiente uso della rete.
Ha dunque ragione Smuraglia, che vede aggiungersi al pericolo fascista esplicito quello delle opinioni reazionarie che portano a simili sbocchi. Perciò è stato sacrosanto difendere la Costituzione democratica italiana. Quella battaglia è stata vinta. Ma non una volta per tutte, altri la attaccheranno. E, soprattutto, la Costituzione salvata ora va applicata. Nuove lotte, non meno dure, si profilano: per un’Europa democratica, per un mondo di pace. Decisivo per vincerle sarà il contrastare nel popolo la demagogia reazionaria alla Trump. In nome del popolo ha dato tutto il potere al peggio di Wall Street, dei razzisti e dei militaristi locali.
Si dice che la storia non si ripete. Certo, non si ripete identica a se stessa. Mutano le forme, ma la tendenza delle classi dominanti a scaricare sulla democrazia la colpa delle crisi economiche, come avvenne durante la grande crisi del 1929, non muta. Allora ne venne travolta la Germania, con le conseguenze tragiche che si sanno. Ora tutta l’Europa è a rischio di ammalarsi, e gli Stati Uniti hanno la febbre alta. È importante che si levi la voce di chi, come l’ANPI, si è incaricata di trasmettere alle nuove generazioni la voce di quelli che sacrificarono la loro vita per affermare la democrazia contro la tirannide.
Aldo Tortorella, studioso, partigiano, dirigente politico
Pubblicato giovedì 2 Febbraio 2017
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