Una tessera Anpi in tasca non appena è diventato maggiorenne e tanta voglia di fare. Gabriele Minelli, ventitreenne eletto presidente di una storica sezione del capoluogo toscano Medaglia d’Oro della Resistenza, nonostante la giovane età ha alle spalle un’esperienza di rappresentante della Rete degli studenti medi, che è riuscita finora a bloccare le infiltrazioni neofasciste nelle scuole. È stato anche coordinatore dell’Unione degli universitari.
Qual è il primo ricordo nell’associazione dei partigiani?
È molto legato alla storia della mia famiglia, antifascista e dallo spiccato impegno politico. Da parte materna, mio zio e mio nonno anche per la loro storia professionale hanno da sempre operato in favore dei lavoratori. Mio zio mi portava alle manifestazioni dell’Anpi fin da quando ero molto piccolo. La mia prima tessera risale al 2016, non appena ho compiuto 18 anni.
Com’è andata l’elezione a presidente?
È stato molto emozionante sia perché la sezione Centro di Firenze è una sede storica, un punto di riferimento cittadino che ospita molti simboli della Resistenza, come i documenti dei partigiani, le bandiere e i medaglieri originali. E sia perché, per la prima volta, nel comitato che elegge il presidente, il numero di studentesse e di studenti è stato forte, così per la segreteria, dove su cinque componenti tre sono donne e tutti più giovani di me. Sento molto la responsabilità a cui sono stato chiamato e così tutti nel direttivo. Però abbiamo tanta voglia di fare.
I tesserati più anziani hanno favorito il passaggio di testimone?
Certo. L’Anpi è una comunità di persone con molta esperienza a cui si aggiunge l’autorevolezza dei partigiani e con l’arrivo di noi giovani antifascisti si arricchisce di un tassello importante che è il dialogo intergenerazionale, molto spesso marginalizzato o frutto di retorica. Gli anziani protagonisti della lotta di Liberazione ancora tra noi erano dei giovani allora e hanno la consapevolezza che a chi è giovane oggi manca un terreno di rappresentanza e la possibilità di incidere concretamente nelle cose. Grazie all’associazione dei partigiani, nel segno del cambiamento e nei valori della Resistenza, vogliamo proporre la nostra voce. Molti miei coetanei non conoscevano questo tipo di realtà politica e quando l’hanno scoperta non ci hanno pensato due volte a tesserarsi. Attualmente abbiamo un centinaio di iscritti, tra cui moltissime nuove leve.
E cosa si aspettano dall’Anpi i giovani della tua generazione?
Soprattutto vogliono partecipare concretamente alla vita politica e sociale ed essere rappresentati. E se noi giovani antifascisti siamo oggi protagonisti della nostra storia associativa è anche grazie a chi ha operato e si è speso per far sì che dai progetti si arrivasse alla realtà. Fa parte della lungimiranza della tradizione Anpi che incarna i valori di res publica e in questo ci sentiamo al centro di una lotta in difesa dei valori costituzionali. Nell’associazione dei partigiani possiamo offrire una prospettiva con gli occhi di chi non ha vissuto né le trasformazioni del Novecento, e per ragioni anagrafiche neppure poteva incidere sui cambiamenti sociali di inizio Millennio illustrati anche nel documento congressuale nazionale. Vorremmo costruire uno spazio dove fare politica nella società, in un modo che non è, e non vuol essere, quello dei partiti, ma possa rispondere ai bisogni attuali. Vogliamo fare politica con il nostro alfabeto.
Qual è il vostro programma di lavoro?
Prima di tutto valorizzare il valore politico delle nuove generazioni e al contempo il confronto generazionale, dando adeguato spazio alle ragazze e ai ragazzi i giovani che militano e che militeranno nell’Anpi. Per esempio io stesso, ho potuto apprendere solo sui libri, studiando Scienze politiche all’università, perché si sono ridotti i luoghi di confronto e dibattito all’interno dei partiti definiti di massa nei manuali. E allargando lo sguardo, prendiamo atto che non c’è nella politica istituzionale e negli organi intermedi, e mancava pure all’interno dell’Anpi, una rappresentanza effettiva per portare avanti le nostre istanze.
Quindi ci sono già progetti in cantiere?
Altroché, ne abbiamo diversi e numerosi e ci siamo subito impegnati. Vogliamo per esempio aprire la sezione a tutta la cittadinanza, in modo che sia aula studio e luogo pubblico di dibattito. Un aspetto emblematico, perché in questo modo il mondo universitario ha la possibilità di dialogare con un luogo di aggregazione del centro della città, entrambi “desertificati”: l’uno ormai privo da tempo di dibattito tra varie scuole di pensiero che sembra essersi adattato al mercato del lavoro, l’altro frutto della mercificazione del turismo. L’intenzione è di scuotere il mondo giovanile, perché la politica non la fanno solo i politici dei partiti. Anche chi non prosegue gli studi universitari è invitato a partecipare, a essere protagonista del dibattito. Un altro progetto prevede l’utilizzo delle pagine social legate al circolo universitario Sandro Pertini per divulgare dall’1 gennaio 2022 la storia democratica nazionale e internazionale, arricchita da disegni, fumetti o fotografie eseguiti da militanti e detenuti. La scelta di ogni vicenda da raccontare è ragionata insieme, approfondita e frutto di un confronto. In questo modo vogliamo riappropriarci della storia e della memoria che non abbiamo potuto vivere. In programma ci sono anche diverse iniziative all’interno dell’università.
Altri progetti su cui volete lavorare o state lavorando?
Vorremmo intervistare personalità come i partigiani, la rettrice dell’università di Firenze, il direttore dell’Accademia di Belle Arti per ascoltare e capire la politica sia da un punto di vista valoriale sia per avere un’opinione. Le interviste saranno realizzate da membri della segreteria, del comitato o anche dai tesserati Anpi della sezione.
Cosa vuol dire essere antifascisti oggi?
Riconoscersi nel modello democratico, capire i propri bisogni ma soprattutto ascoltare quelli degli altri e tenere tutto insieme, riconoscere anche chi non è antifascista in maniera assoluta. Perché c’è un altro terreno di impegno che è anche quello al contrasto ai neofascismi e da questo punto di vista Firenze non è affatto immune. Le infiltrazioni neofasciste violente e razziste avvengono perché c’è un sistema di persone che non si ascoltano, non hanno la capacità di stare insieme. Questo si può superare solo partendo da un consenso profondo di consapevolezza per dialogare e fare comunità, ripristinare la capacità e il valore dello stare insieme. Anche questo significa fare politica.
Pubblicato domenica 5 Dicembre 2021
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