Era l’ottobre 2021, a Gorizia Mattarella celebrava la nomina a Capitale europea della cultura 2025 delle città di Gorizia e Nova Gorica (Imagoeconomica, Francesco Ammendola)

Nova Gorica e Gorizia nel 2025 saranno Capitale europea della cultura. La nomina congiunta è stata accolta con grande gioia da molti cittadini nella speranza che l’evento potesse superare definitivamente i lunghi anni di guerra fredda che avevano segnato la città.

Sergio Mattarella e Borut Pahor, presidente della Repubblica di Slovenia, celebrano la nomina a Capitale europea della cultura 2025 delle città di Gorizia e Nova Gorica (Imagoeconomica, Francesco Ammendola)

Gorizia aveva conosciuto, tra Prima e Seconda guerra mondiale, un trentennio drammatico. Il nazionalismo irredentista che aveva trascinato l’Italia nel conflitto si era trasformato precocemente nel fascismo che considerava “razza inferiore” la componente slovena, presente in città dalla sua fondazione nell’anno 1000 e che nei secoli era progredita e aveva raggiunto posizioni economiche di rilievo. Già nel 1848, nel periodo della cosiddetta “primavera dei popoli”, il movimento politico “Slovenia Unita” si era proposto di raggruppare amministrativamente tutte le aree in cui si parlava sloveno all’interno dell’impero austroungarico. La Grande guerra aveva vanificato il progetto, ma la volontà nazionale slovena non era morta e l’Italia, durante il “fascismo di frontiera” aveva applicato duri provvedimenti di snazionalizzazione.

Alcune cifre e leggi rendono l’idea: 100.000 furono i cognomi italianizzati, i toponimi sloveni vennero cancellati, la lingua slovena vietata nei luoghi pubblici, 488 furono le scuole slovene chiuse e 1.200 gli insegnanti rimossi e trasferiti, i dipendenti pubblici furono licenziati e il clero sloveno perseguitato, 1.500 furono gli sloveni che subirono il carcere o il confino politico, 89 i processi celebrati dal Tribunale Speciale nella Venezia Giulia con 350 accusati e 27 condanne a morte, 15 furono i goriziani uccisi dalle squadre fasciste tra il 1921 e 1922.

Autunno 1942, militi fascisti e soldati italiani esibiscono come trofeo la testa del partigiano sloveno Andrej Arko, commissario politico del Fronte di Liberazione del popolo sloveno

Allo scoppio del conflitto gli sloveni furono inviati nei cosiddetti “battaglioni speciali” nel centro e nel sud Italia per scongiurare il rischio che rivolgessero le armi contro gli italiani. La guerra a fianco dei nazisti fu costellata di stragi, incendi di villaggi, rastrellamenti, deportazioni, saccheggi. Dopo anni di lavoro da parte degli storici locali, la storia del fascismo, della guerra e della Resistenza è nota nel resto del Paese.

Partigiani italiani della Garibaldi-Natisone in Slovenia (Archivio fotografico Anpi nazionale)

La collaborazione tra italiani, sloveni e croati nella lotta di Liberazione, pur con i conflitti che ci furono, rappresenta un modello dell’internazionalismo resistenziale.

Meno noti nella coscienza pubblica cittadina sono invece gli anni della Guerra fredda, nei quali, attraverso l’Ufficio Zone di Confine guidato da Giulio Andreotti e sotto l’egida della Presidenza del Consiglio dei Ministri di De Gasperi, fu perseguita, almeno per i dieci anni successivi al trattato di pace, una politica di controllo e discriminazione degli sloveni, considerati come possibili “quinte colonne” della Jugoslavia comunista, foraggiando con milioni delle vecchie lire le associazioni nazionalistiche che facevano, come sosteneva il prefetto Giovanni Palamara, “professione di italianità”.

Gorizia, 1946. Manifestazioni pro-Italia a Gorizia nel 1946 in occasione della visita della Commissione Alleata
Il Trgovski dom di Gorizia venne devastato dai fascisti il 4 novembre 1926, condividendo la sorte dei Narodni Dom di Trieste e di Pola

Dopo le violenze del 1947, giudicate dalla stampa slovena un vero e proprio pogrom, le organizzazioni cattoliche e socialiste e i sacerdoti furono controllati e seguiti passo dopo passo dalle forze dell’ordine e gli sloveni dovettero lottare per anni per la restituzione del Trgovski dom, la Casa del Commercio slovena, incamerata dai fascisti nel 1926, per il riconoscimento delle scuole slovene, avvenuto appena nel 1964, per la legge di tutela delle minoranze del 2001.

Manifestazione pro Jugoslavia a Gorizia nel 1946 in occasione della visita della Commissione Alleata

Le forze al potere della città hanno usato il dramma delle foibe del maggio 1945 per nascondere ciò che aveva fatto il fascismo e rinfocolano a ogni scadenza elettorale il ricordo della seconda redenzione di Gorizia e la difesa dell’italianità tra il 1945 e il 1947, minacciata e ferita dalla barbarie “titina”.

La visione vittimistica di una città sempre alla ricerca di un risarcimento per le perdite territoriali, trattata ingiustamente dalle “grandi potenze”, umiliata nella volontà di conoscere la sorte dei propri deportati in Jugoslavia, ha consentito per anni di non fare i conti con il ventennio fascista, con il collaborazionismo, con il disastro bellico, con il rifiuto di consegnare alla Jugoslavia i criminali di guerra italiani.

Gruppo di deportati per lavori coatti della Tods

Nova Gorica/Gorizia città della cultura poteva essere una grande occasione per riflettere sul passato. A Gorizia le autorità non celebrano il 25 aprile, perché la vera Liberazione della città è avvenuta il 12 giugno 1945 con l’arrivo degli angloamericani; il 27 gennaio, Giornata della Memoria si ricorda solo la deportazione degli ebrei e non quella delle migliaia di antifascisti sloveni e italiani mandati nei campi di lavoro o chiusi nei lager di Auschwitz e Dachau, il 10 febbraio le “complesse vicende del confine orientale” danno il via alla commemorazione delle foibe e dell’esodo con una retorica nazionalista, separando questi fatti dal contesto storico e accusando di negazionismo chiunque lo faccia.

La richiesta del ritiro della cittadinanza onoraria a Mussolini sembrava un’occasione giusta in questa occasione unica. La mozione presentata da Eleonora Sartori del gruppo consigliare “Noi mi noaltris Go”, insieme ai partiti di centrosinistra, chiedeva la revoca della scandalosa onorificenza.

L’intervento del sindaco di Forza Italia è stato particolarmente aggressivo. Rodolfo Ziberna ha parlato di una volontà di damnatio memoriae e di cancel culture, paragonando i consiglieri di opposizione a talebani che distruggono le statue del Buddha. Muta la maggioranza, mentre alcuni consiglieri hanno sostenuto che i tempi non sono ancora maturi per prendere una decisione e non hanno partecipato al voto. Assenti alcuni componenti sloveni che non hanno ritenuto di prendere una decisione.

Rodolfo Ziberna (FI), sindaco di Gorizia (Imagoeconomica)

La bocciatura della mozione ha avuto una grandissima eco a livello internazionale, con importanti prese di posizione sia del sindaco di Nova Gorica, Samo Turel, sia di esponenti del governo di Lubiana e di parlamentari europei. Una grande occasione persa di dimostrare che questo lembo di terra è in grado di elaborare una politica di conoscenza e rispetto dei vicini di casa.

Ma non è finita qui. Il sindaco ha rassicurato il suo elettorato che anche quest’anno riceverà i reduci della Decima mas nell’atrio del Comune con fascia tricolore. L’ennesimo sfregio a Gorizia da cui gli stessi nazisti cacciarono i marò in quanto poco valorosi in combattimento e fomentatori di dissidi etnici.

Gorizia è l’unica città in Italia dove i reduci vengono accolti con tutti gli onori, nonostante le prese di posizione e le denunce dell’ANPI locale e nazionale.  Sicuramente in piazza ci saranno molti antifascisti italiani e sloveni a protestare.

Anna Di Gianantonio, storica, presidente  Anpi Vzpi Gorizia-Gorica