Il logo ufficiale per le iniziative del 25 aprile 2025, 80° della Liberazione, del Forum delle Associazioni antifasciste e della Resistenza

L’annuale ricorrenza del 25 Aprile, benché compresa nel nostro «calendario civile», non potrebbe suscitare l’interesse che merita senza che di volta in volta chi dispone di senso di responsabilità istituzionale o della giusta sensibilità per ciò che quella data rappresenta ne recuperi il significato e i riferimenti storici in relazione con i problemi attuali. In questo modo, la Resistenza riacquista, in particolare con il sostegno dell’ANPI, tutto il valore di punto di arrivo di un grande movimento di rifondazione della società e dello Stato in Italia dopo i lunghi anni della dittatura e della guerra, in cui il fascismo aveva trascinato il Paese.

Montecitorio, 19 marzo 2025. Giorgia Meloni dopo aver estrapolato e letto in Aula alcuni passaggi del Manifesto di Ventotene ha attaccato: “Non so se questa è la vostra Europa ma certamente non è la mia” (Imagoeconomica, Sara Minelli)

Il 25 Aprile di quest’anno, al di là dell’impressione che suscita la cifra tonda del numero 80 dell’anniversario, assume però un significato speciale. Capita infatti in un contesto segnato dalla preminenza politica e allo stesso tempo mediatica di forze decisamente contrarie al suo significato storico e civile, forze che non solo tendono a oscurarlo con sempre maggiore arroganza, riducendo quella ricorrenza a una comune festività, ma provano anche a condizionare la percezione dell’opinione pubblica, insinuando una controstoria funzionale alle loro strategie e non alla conoscenza della storia. Ampi settori del pubblico dei mass media sono oggi particolarmente vulnerabili perché esposti a messaggi di facile e immediato consumo e a narrazioni semplificate e banalizzanti, come quelle che da tempo ispira, al Sud per esempio, il neo-borbonismo, intese a far leva più sull’emotività che al desiderio di un’effettiva e proficua crescita culturale.

Milano nei giorni della Liberazione (archivio fotografico Anpi nazionale)

Per contrastare efficacemente la tendenza all’oblio e alla riproposizione di una storia deformata, avviate già negli anni del dopoguerra, diventa dunque sempre più urgente un efficace e competente lavoro di incremento e di promozione del patrimonio culturale dell’antifascismo, fatto di storia, di memoria e di documenti, del quale è parte integrante la stessa storia dell’ANPI, per il ruolo che l’Associazione ha svolto sin dalla sua fondazione.

Uno scorcio dell’archivio documentale dell’Anpi nazionale, tutelato dalla Sovrintendenza dei Beni culturali perché “di rilevante interesse storico”

Riveste oggi un particolare valore l’impegno a scavare in profondità all’interno di questo patrimonio, a esplorare le testimonianze, innanzitutto documentarie, della recente storia d’Italia e dell’antifascismo, e a promuoverne la conoscenza, per consentire a chi lo desidera di poter consultare le fonti non ancora o non più accessibili. Per tutte queste ragioni, gli archivi dell’ANPI, al centro come in periferia, rientrano, a pieno titolo, in quel patrimonio di cultura.

Roma, 6-9 dicembre 1947 (per questa foto ringraziamo Ivano Tajetti, Anpi provinciale di Milano)

Sin dai primi anni del dopoguerra l’ANPI ha considerato la storia della lotta di Liberazione in Italia come un’imprescindibile risorsa da difendere e da offrire alle nuove generazioni che, per motivi anagrafici, non hanno vissuto quella stagione. Nei dibattiti congressuali e nelle dichiarazioni degli organi dirigenti si rileva la consapevolezza che la Resistenza è stata il risultato di un multiforme e variegato universo di movimenti di varia natura e di diverso orientamento, che però, grazie a quell’esperienza, hanno condiviso obiettivi di grande rilievo politico e strategico.

Roma, Archivio centrale dello Stato (Imagoeconomica, Carlo Carino)

Tracce significative di questo paradigma si trovano nelle carte relative agli anni 1944-1959 dell’archivio di Gabinetto del Ministero dell’Interno, conservate all’Archivio Centrale dello Stato. Prefetti, organi di pubblica sicurezza e carabinieri concentrarono infatti la loro attenzione sui progetti e sui programmi di proselitismo delle associazioni combattentistiche.

19 marzo 1949, Si apre nel Palazzo Ducale di Venezia, il 2° congresso nazionale Anpi. Al tavolo della presidenza di spalle Pertini, Longo, Lussu mentre sta parlando Boldrini “Bulow”(archivio fotografico Anpi nazionale)

Una speciale vigilanza fu rivolta proprio verso l’ANPI, autorevole organizzazione dotata di personalità giuridica già dal 1945, ma sempre al centro dei timori e dei sospetti del Governo, che le fu sostanzialmente ostile, a causa delle sue relazioni con i partiti della sinistra. Addirittura la Prefettura di Venezia avanzò un’ipotesi di reato nei confronti di Sandro Pertini a proposito del suo discorso tenuto al 2° Congresso Nazionale dell’ANPI (Venezia, marzo 1949) sul comportamento delle forze di polizia verso i lavoratori e sui processi aperti contro i partigiani!

Processi alla Resistenza, il dirigente comunista e partigiano Luigi Longo visita i partigiani incarcerati (archivio fotografico Anpi nazionale)

Rapporti e valutazioni di carabinieri, prefetti e questori, spesso uniti a documenti dell’ANPI in originale o in copia, diventano, per chi va alla ricerca di informazioni sulla vita dell’Associazione in quei primi anni, interessanti tracce di un’attività diretta a salvaguardare l’unità e, come scrisse Claudio Pavone, la «moralità» della Resistenza di fronte alla vasta e spregiudicata campagna diffamatoria e denigratoria, diretta contro gli ex combattenti. Chi aveva creduto nei principi dell’antifascismo militante e aveva rischiato la vita per affermarli si trovò a far fronte anche al «processo alla Resistenza», concetto sviluppato da Michela Ponzani in un recente volume, cioè la lunga serie di procedimenti penali e di atti persecutori a cui furono sottoposti, nel dopoguerra, molti protagonisti della lotta di liberazione, anche in relazione alle operazioni condotte nell’ambito della guerra partigiana.

Nel clima di tensione e di contrapposizione ideologica che si andò incrementando a partire dalla conclusione del secondo conflitto mondiale, fino a sfociare in quella che, forse impropriamente, continuiamo a chiamare «guerra fredda», l’ANPI, prese le giuste distanze da quei movimenti di natura diversa dalla sua, che non facevano onore alla Resistenza, subì pesanti scissioni interne, con conseguenti divisioni e lacerazioni mai veramente ricucite all’interno della galassia partigiana. Proprio per far fronte a questo problema, l’ANPI, in quei primi anni, fece della difesa dell’unità delle forze interne alla galassia partigiana, compreso il Mezzogiorno, una delle sue principali preoccupazioni.

Come attestano i rapporti sui congressi nazionali, non mancarono mai infatti un teso dibattito interno e tentativi di instaurare forme di dialogo e di convergenza con i fuoriusciti, nella speranza di evitare la dispersione delle forze che avevano lottato contro l’occupazione tedesca, per farla finita con la dittatura fascista, per instaurare la pace e per rifondare il Paese su basi democratiche.

ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Ministero dell’Interno, Gabinetto, Enti ed associazioni, 720 E2, b. 282, ANPI (comunicazione 462/2025)

Significative le testimonianze documentarie sulle occasioni in cui toccò all’ANPI e ad alcune Amministrazioni comunali democratiche ricordare alle autorità di polizia che la Resistenza e la Costituzione avevano reso anacronistiche e inapplicabili norme emanate durante il regime. Esemplare, a tale proposito, appare la risposta, inviata il 2 settembre 1952 (si veda la fotografia) di Giuseppe Dozza, sindaco di Bologna (e Padre Costituente), al Ministero dell’Interno relativamente alla contestazione dell’inopportunità dell’esposizione del gonfalone del Comune al 3° Congresso nazionale dell’ANPI (Roma, giugno 1952). L’invio del gonfalone municipale, spiegava il sindaco, non solo aveva fondamento nel diritto, ma era anche coerente con «le norme sancite dalla Costituzione della Repubblica», in vigore dal 1948.

Nel 1955, poi, toccò all’avvocato difensore di Pietro Verdi, segretario provinciale dell’ANPI di Grosseto, sollevare l’eccezione di costituzionalità a proposito dell’articolo del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza (R.D. 18 giugno 1931, n. 773), che stabiliva l’obbligo di richiedere l’autorizzazione della polizia per affiggere manifesti, norma poi effettivamente considerata illegittima e quindi abrogata l’anno successivo con una sentenza della Corte Costituzionale.

(Imagoeconomica, Carino)

Pertanto, benché possa sembrare paradossale, è anche in archivi come quello del Ministero dell’Interno, l’organo governativo specificamente incaricato del controllo e della gestione dell’ordine pubblico, che si riflettono, sia pure in controluce, alcuni tratti significativi della vita dell’Associazione e delle partigiane e dei partigiani che le hanno dedicato le proprie energie.

Oggi, per un più efficace «lavoro culturale» con cui far maturare quella che chiamerei «civiltà dell’antifascismo» e alimentare la memoria collettiva, diventa quanto mai necessario riscoprire e tornare a esplorare le fonti di questa storia, sia quelle interne che quelle esterne all’ANPI, rendendole accessibili a tutti, attraverso l’adozione di adeguati strumenti archivistici.

Paolo Franzese