“La rosa della Memoria non appassisce mai”. Primo Levi, sopravvissuto ad Auschwitz, in una vignetta gentilmente donata a Patria Indipendente dall’architetto Fernando Innocente, disegnatore e vignettista

Ottanta anni fa, il 27 gennaio 1945, le truppe sovietiche dell’Armata Rossa entrarono nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, dove oltre un milione di deportati avevano trovato la morte. Quello di Auschwitz è solo uno degli oltre 15.000 campi di concentramento installati in Europa dal regime nazista durante la guerra (anche l’Italia aveva partecipato fedelmente a questo disumano universo concentrazionario) in cui furono rinchiusi e uccisi 6 milioni di ebrei. Ma gli ebrei non furono le uniche vittime di Hitler e del suo progetto politico e razziale. Vanno ricordati anche le altre vittime della guerra di Hitler: politici, zingari, testimoni di Geova, “asociali” e persone omosessuali. Tutto ciò che rientrava nell’etichetta della “diversità” finiva nei lager tedeschi nell’indifferente complicità di molti, troppi. È l’orrore del genocidio nazista e fascista.

Tabella dei contrassegni diramata nel 1940 e nel 1941 a tutti i comandanti dei lager

A eterna memoria di tutto ciò gli Stati membri dell’Onu, con risoluzione 60/7 del 1° novembre 2005, istituirono il Giorno della Memoria, adottando come data proprio quella dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz. Ma già prima l’Italia, grazie soprattutto alla caparbietà del senatore Furio Colombo, recentemente scomparso, con la legge n. 211 del 20 luglio 2000 aveva scelto il 27 gennaio quale giornata commemorativa, “al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, e a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati” (art.1).

La legge, ricordandoci il dovere della memoria, ci invita infatti ogni anno alla riflessione su questo “tragico e oscuro periodo della Storia affinché simili eventi non possano mai più accadere” (art.2). È una chiara esortazione a “fare memoria” nell’archivio dell’anima di ognuno di noi, a “ricordare” ogni anno quello che è stato per dare significato “propositivo” alla ricorrenza, per guardarci intorno e per guardare avanti, fino a che questa attenzione diventi una definitiva acquisizione di “valore civile” da spendere nel comportamento quotidiano ogni qualvolta, nel mondo, sentiamo in pericolo la Libertà, la Giustizia, la Dignità umana; al fine di evitare la retorica delle celebrazioni rituali che è l’anticamera della pigrizia intellettuale, della indifferenza, della assuefazione.

Il lager di Dachau (Archivio fotografico Anpi nazionale)

“Chi non ricorda il passato è condannato a ripeterlo” è la frase incisa, in tutte le lingue conosciute nel mondo, sul monumento all’ingresso del campo di concentramento di Dachau. Ecco perché il ricordo delle leggi razziali, la negazione della dignità umana, la privazione dei diritti, il ricordo dello sterminio di bambini, donne e anziani nei campi di concentramento deve restare ben saldo nella memoria di noi tutti. Ciò che è successo nella “civile e colta” Europa nel secolo scorso appartiene a tutti, non solo agli ebrei. Auschwitz è solo geograficamente nel territorio della Polonia, ma l’orrore che rappresenta pesa come un macigno nel cuore del mondo, e affinché tutto resti vivo nella memoria di ogni generazione futura, è necessario vigilare che quanto accaduto non abbia mai più a ripetersi.

27 gennaio 2025, Giorno della Memoria.Il Presidente Mattarella e i capi di Stato giunti da tutto il mondo ad Auschwitz per l’80° della liberazione del lager (Imagoeconomica, Paolo Giandotti)

Abbiamo dunque il dovere di parlarne, parlarne e parlarne… soprattutto alle nuove generazioni, e di indignarci quando e in qualunque parte del mondo accade. “Coltivare la Memoria è ancora oggi un vaccino prezioso contro l’indifferenza e ci aiuta, in un mondo così pieno di ingiustizie e di sofferenze, a ricordare che ciascuno di noi ha una coscienza e la può usare”, Liliana Segre

Come possiamo usare oggi, in un mondo così pieno di ingiustizie e di sofferenze, il ricordo di quelle terribili immagini che rivedremo sicuramente, come ogni anno, più orribili che mai, appressandoci alla Giornata della Memoria? “Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici” è l’incipit di una poesia del celebre libro-testimonianza di Primo Levi: “Se questo è un uomo”. Lo scrittore, sopravvissuto all’Olocausto, non abbellisce l’orrore, obbliga il lettore ad ascoltare, si rivolge direttamente a ognuno, scandisce con spietata lucidità le forme oscene della bestialità umana, invita a educare i figli a tramandarne il ricordo e si scaglia, con una forte ed energica condanna, quasi una maledizione biblica, con immenso dolore e angoscia, contro un’umanità che tende a dimenticare, che già semina indifferenza: “O vi si sfaccia la casa, la malattia vi impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi”.

A Mauthausen (Archivio fotografico Anpi nazionale)

Lo diciamo con chiarezza, subito e senza equivoci: paragonare l’Olocausto e qualsiasi altro evento della Storia, seppure di enormi proporzioni, è una forzatura inammissibile, sempre strumentale. Non solo per l’enormità dei numeri ma per il carattere di sterminio programmato su base razziale da parte della Germania nazista e dei suoi conniventi, per il suo sorgere imprevisto, appunto, nel cuore dell’Europa, per l’essere stato colpevolmente sostenuto dalla complicità dei “buoni e rispettosi” cittadini. Proprio per questo la sua memoria è fondamentale, perché parla a tutti noi, uomini e donne normali di questo secolo. Ci interroga sui nostri rapporti con gli altri, i meno fortunati e, in un mondo sempre più fatto di muri, fisici o mentali, ci consiglia sul da farsi, ci obbliga a prendere posizione, a schierarci e, finanche, a coltivare un futuro in forza del quale si possa dire, con Martin Luther King: “Fino a che tutti non sono liberi, nessuno è libero”. I have a dream.

E comprendiamo Levi, il suo pessimismo sulla natura umana e il suo accorato appello alla vigilanza. Ma aveva ragione. Se ci guardiamo intorno, infatti, non vediamo che macerie, morali e materiali: un mondo dove l’odio, la sopraffazione del forte contro il debole, la violenza armata, la violazione dei diritti e della dignità umana nei campi di detenzione (o di concentramento?) vengono sopportati, giustificati, addirittura proposti, come soluzione dei problemi nazionali, nell’Europa nata libera e solidale come voleva il Manifesto di Ventotene. Nel tepore del nostro presunto benessere siamo diventati semplicemente spettatori di tragedie di popoli e minoranze in ogni parte del mondo e non mancano vicino a noi, guerre combattute come quella fratricida tra la Russia e Ucraina, a causa, certo, della volontà di potenza della prima ma non senza il cinico e violento contributo della NATO che ancora ci “protegge” (non si sa bene da cosa) nell’afonia completa e succube dell’UE e nell’interesse dei mercanti di armi. Morte e distruzione. Mentre crescono allegramente nei bilanci nazionali le spese militari sottraendo risorse al welfare dei cittadini.

(Imagoeconomica, Carlo Lanutti)

Ma è il massacro, “la soluzione finale”, operativa e dichiarata, da parte del Governo israeliano, del suo “volenteroso” esercito, della stragrande maggioranza dei cittadini di Israele contro il popolo palestinese che sconvolge le nostre coscienze. Uno Stato, come quello israeliano che si proclama democratico ma non esita ad uccidere anziani, donne e bambini per colpire i terroristi di Hamas ; uno Stato che permette ai suoi Ministri di aggiungere al massacro l’idea della “pulizia etnica”; uno Stato con un esercito furiosamente motivato da vendetta e rappresaglia; uno Stato che attraverso il suo primo Ministro Benjamin Netanyahu porta avanti un progetto condiviso dai fondamentalisti razzisti di espellere definitivamente i palestinesi dai loro territori e costruire la Grande Israele; uno Stato che uccide oltre 200 giornalisti per tentare di censurare l’orrore che sta cinicamente compiendo. “Falciare il campo”, dicono i coloni, con una metafora che esprime un pensiero molto diffuso purtroppo per la maggior parte degli ebrei israeliani: espellere definitivamente i palestinesi dai loro territori. Un odio con pari intensità, bisogna dirlo, ricambiato da un popolo per decenni oppresso dagli ebrei e complici.

Papa Francesco (Imagoeconomica, Andrea Panegrossi)

L’orrenda strage del 7 ottobre 2023 da parte dei terroristi palestinesi di Hamas (circa 1.200 i morti, 250 le persone portate in ostaggio nella Striscia) è stato terribile, un atto di barbarie, assolutamente indifendibile, ha permesso e autorizzato la sconsiderata reazione di Israele. Un “diritto alla difesa” sproporzionato nel numero dei morti e nella furia devastatrice e disumana dell’annientamento. Allora bene fa Papa Francesco ad alzare la voce quasi quotidianamente contro la barbarie dell’eccidio di massa. E bene hanno fatto l’Onu e la Corte penale internazionale a intervenire più volte per condannare il governo israeliano e dichiarare il suo primo ministro Netanyahu e il ministro della difesa criminali di guerra, insieme a due esponenti di Hamas. “Decisione antisemita della Corte penale internazionale che equivale al moderno processo Dreyfus”, dichiara, senza vergogna, Netanyahu, e ancora: “Israele respinge con disgusto le azioni e le accuse assurde e false da parte di un organismo politico parziale e discriminatorio”.

(Imagoeconomica, Canio Romaniello)

“Cosa cambia per chi muore sotto le bombe se definiamo la sua morte massacro o genocidio? Le distinzioni verranno dopo, nei processi, che speriamo ci siano, delle corti internazionali” scrive Anna Foa nel suo ben equilibrato, coraggioso e prezioso libro: Il suicidio di Israele. E poi ancora, “Come possiamo celebrare la Memoria della Shoah oggi, senza parlare del 7 Ottobre e di Gaza?… L’uso cinico e spregiudicato che Netanyahu fa della Shoah ha messo a rischio anche quello su cui tanto si era costruito, per cui i testimoni dei campi hanno parlato nelle scuole con tutto il loro dolore, sul cui insegnamento, “mai più a nessuno”, volevamo costruire il nostro futuro.” Paradossalmente e giustamente alla cerimonia di commemorazione dell’80° anniversario della liberazione di Auschwitz, quest’anno non sarà presente il primo Ministro dello Stato sorto dalle ceneri dell’Olocausto perché ricercato per crimini di guerra e, se accetterà l’invito sconsiderato del Governo polacco, la sua presenza sarà una vera profanazione.

Buchenwald

E ora, qualcuno dice “finalmente” la tregua. Una tregua con alle spalle morte e distruzione infinita, un odio reciproco moltiplicato e la promessa, già dichiarata, di ricominciare al più presto. Così sarà anche tra Russia e Ucraina e altri conflitti in corso. “…la strada non dico per la pace ma per una semplice convivenza è lunga. Le ferite devono rimarginarsi, quello che è stato distrutto deve almeno iniziare ad essere ricostruito”, Anna Foa

Per molti ebrei, per fortuna, tra i quali non pochi israeliani, il Giorno della Memoria ha lo scopo di far ricordare oltre alla Shoah anche altri crimini contro l’umanità. “C’è una tomba di massa palestinese in una popolare spiaggia israeliana, confessano i veterani”, è un titolo recente sul quotidiano israeliano Haaretz. Da documenti finora tenuti segreti sono uscite le conferme dei massacri compiuti dalle truppe ebraiche nella guerra dalla quale è nata Israele e anche le prove che i vari governi israeliani hanno fatto di tutto per distruggere o seppellire documenti e testimonianze. Nel Giorno della Memoria, c’è da augurarsi che tempi non troppo lontani, queste rivelazioni dall’interno spingeranno gli israeliani ebrei a riconoscere le sofferenze dei palestinesi e ad aiutare i due popoli semiti, in guerra per la stessa terra, a trovare la via della pace. E a stringersi la mano in nome di una tragica memoria comune. Gli ebrei israeliti oppositori della politica del governo Netanyahu, gli ebrei della diaspora, i giovani di tutto il mondo che manifestano in solidarietà con i palestinesi e contro la guerra, tutte le guerre, e la vendita delle armi sono la nostra speranza e il nostro futuro.

C’è da dire infine che riflettere su come fare un «buon uso» della memoria riguarda infatti anche e soprattutto l’Europa, responsabile del colonialismo, delle guerre mondiali, delle leggi razziali, della tragedia della Shoah. Inutile ed ipocrita autoassolversi. E allora a che serve pensare che lo scandalo del mancato buon uso della memoria sia in Israele e non a casa nostra, dove, tra l’altro, migliaia di migranti muoiono ai confini d’Europa, dove milioni di migranti sono rinchiusi nei campi profughi delle città o deportati (!) fuori dai nostri territori nazionali, dove governano gli eredi di quella cupa esperienza genocidaria e concentrazionaria tutta europea? È dunque irresponsabile continuare a pensare che il male è altrove e a non prenderci la nostra parte di responsabilità. Cominciamo invece da noi!
“Giurai di non tacere mai e ovunque gli esseri umani sopportano sofferenza e umiliazione. Dobbiamo schierarci. La neutralità aiuta l’oppressore, mai la vittima. Il silenzio incoraggia il tormentatore, mai il tormentato” scrive Elie Wiesel ebreo, attivista dei Diritti umani e superstite dell’olocausto.

Comitato Anpi provinciale Latina