C’è chi festeggia la nomina a sottosegretario assistendo ad una cerimonia in ricordo di un noto collaborazionista e propugna l’indipendenza delle Fiandre e l’autonomia dal Belgio (Theo J.E. Francken, NVA, Belgio), chi vuole mettere al bando i partiti secessionisti ed abolire le autonomie locali (Vox, Spagna), chi sostiene che l’idea di una nuova moschea nel centro di Sofia sia “irrispettosa nei confronti degli stessi musulmani” (Vmro, Bulgaria), chi propone la pena di morte per gli scafisti (Kyriakos Velopoulos, leader di “Soluzione Greca”, Grecia), mancano giusto “il Conte Oliver e ancora Geremia e infine il cane spia del Gruppo TNT”…
Un’allegra brigata di tutto e il contrario di tutto, dall’ateismo al fondamentalismo religioso, dall’indipendenza al nazionalismo assoluto, dai sostenitori della solidarietà europea al NO ai coronabond. Ed a capo di un pezzo della banda c’è una donna. Una madre. Una cristiana. C’è lei. Giorgia.
Eletta all’unanimità nella riunione del Consiglio del partito lo scorso 28 settembre, il nuovo presidente del Partito dei Conservatori e Riformisti europei (PECR) è infatti Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia e attualmente l’unica donna a capo sia di un partito politico europeo che di un partito italiano.
Giornalista, non nuova ai record – fu la ministra più giovane della storia repubblicana – cresce nella ex borgata romana della Garbatella ed inizia a far politica a 15 anni, con il Fronte della Gioventù. Nel 1998 è consigliere provinciale a Roma e da allora segue una folgorante carriera che la porterà dapprima all’ennesimo primato (presidente donna di un’organizzazione giovanile di destra) e poi alla Camera, ininterrottamente dal 2006, fino alla leadership del partito europeo.
Ennesimo regalo avvelenato del Regno Unito alla costruzione europea, il partito dei Conservatori e Riformisti Europei nasce dopo la creazione dell’omonimo gruppo politico al Parlamento europeo (ECR), a seguito di una scissione voluta dai Conservatori britannici, che non intendevano più restare nel Gruppo del Partito Popolare Europeo. In previsione delle elezioni europee del 2009, i Tories, allora guidati da David Cameron, cercano alleati per formare un nuovo gruppo politico e cominciano una serie di contatti informali con gli italiani del Partito Pensionati, della Lega Nord, di AN.
La nuova legge elettorale con sbarramento al 4% impedisce però ai Pensionati di tornare a Strasburgo, i leghisti preferiscono l’ineffabile Nigel Farage ed il gruppo EFD – nonostante l’assiduo corteggiamento dell’ex premier della Repubblica Ceca Mirek Topolánek – ed ai Tories non resta che allearsi con i polacchi di Diritto e Giustizia ed un paio di altri partitini di destra, arrivando a 54 eurodeputati provenienti da 8 Paesi membri. Risultato che migliora col tempo, permettendo al gruppo di chiudere la legislatura nel maggio 2014 con 57 MEP di 11 differenti Stati, diventando il quinto gruppo del PE dopo i Popolari, i Socialisti, i Liberali ed i Verdi.
Seguendo la tristemente nota progressione della destra in Europa, nella legislatura successiva sono 70 i parlamentari che scelgono l’ECR, portandolo ad essere il terzo gruppo parlamentare dopo il PPE e S&D, superando i gruppi ALDE e Verdi/ALE. Risultato raggiunto grazie agli eletti di 15 Stati ed all’ingresso di nuovi partiti greci, bulgari, tedeschi e slovacchi. È il conservatore britannico Syed Kamall, primo uomo di colore e di fede mussulmana a presiedere un gruppo parlamentare europeo, a guidare l’eteroclita compagine, che vedrà arrivare dapprima l’eurodeputato di Forza Italia Raffaele Fitto – transfuga del PPE – e poi proprio Giorgia Meloni, che nel 2018 annuncia l’ingresso di Fratelli d’Italia nel gruppo dei Conservatori, pur non avendo eurodeputati.
Composto da partiti dell’Unione Europea e non (dal Partito Repubblicano d’Albania agli Indipendentisti Islandesi), il “Partito dei Conservatori e Riformisti europei in Europa” (PECR) vede anche alcuni “associati”, quali il Likud israeliano o i Repubblicani USA, e si distingue dal Gruppo politico al Parlamento europeo dallo stesso nome (ECR) per un certo numero di formazioni nazionali che – pur appartenendo al partito – siedono a Strasburgo in un altro gruppo o, viceversa, appartengono al gruppo parlamentare europeo ma non al partito.
È il caso della N-VA, partito della destra fiamminga, che sta nel gruppo ma non nel partito, sentendosi più a suo agio con la Liga Veneta Repubblica o il partito della Nazione Corsa nell’Alleanza Libera Europea. È anche il caso del “Partito delle famiglie” tedesco, che pur appartenendo al gruppo con il suo unico eurodeputato, ha scelto il Movimento Politico Cristiano d’Europa. Partito europeo con personalità giuridica olandese che pesca alla destra dei Popolari, essendo più conservatore e decisamente euroscettico.
Non a caso, forse, il membro italiano del partito è l’Istituto Dignitatis Humanae, balzato agli onori della cronaca per aver subaffittato la Certosa di Trisulti all’ideologo della destra estrema mondiale Steve Bannon, ex Consigliere del quasi fu Presidente Trump.
Percorso inverso per il Partito dei Veri Finlandesi, che pur avendo sottoscritto la dichiarazione di Reykjavík del 21 marzo 2014, base ideale e programmatica del PECR, condivide gli scranni di Strasburgo con il fior fiore dei movimenti identitari, appartenendo al Gruppo di Identità e Democrazia assieme alla Lega Nord, il Raggruppamento Nazionale di Marine Le Pen, l’FPÖ austriaco, i tedeschi di Alternative für Deutschland o i neofascisti belgi del Vlaams Belang.
La dichiarazione di Reykjavík è un documento interessante, perché oltre a valori universali come la giustizia sociale, la democrazia parlamentare o il ruolo dell’associazionismo e dei sindacati, riconosce sia l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, indipendentemente dall’etnia, dal sesso o dalla classe sociale, rifiutando qualunque forma di estremismo, autoritarismo e razzismo, sia la libertà dell’individuo, che include quella di religione e culto, quella di parola e di espressione, la libertà di movimento e di associazione, la libertà di contratto e di lavoro. Verrebbe quasi voglia d’iscriversi al partito, se poi – andando a leggere meglio – non saltasse fuori che tra le libertà dell’individuo vi è anche quella “dalla tassazione oppressiva, arbitraria o punitiva” (tre aggettivi di cui non si ritrova definizione giuridica), o che la formazione ritiene prioritario valorizzare il ruolo della famiglia nella società, riconoscendo la legittimità democratica dello stato-nazione…
Ed a chi si chiedesse come questi valori permettano a negazionisti, a sostenitori di collaborazionisti, ad indipendentisti e difensori della più stretta sovranità nazionale di ritrovarsi sotto lo stesso tetto a rispettare questi sani principi, non resta che continuare a leggere il testo firmato in Islanda sei anni orsono, per scoprire che il Partito crede in un’Europa di nazioni indipendenti e libere, che “lavorano unitamente per ottenere vantaggi reciproci, mantenendo ciascuna la propria identità e integrità.” Un “ognun per sé e Giorgia per tutti” che ricorda quel “facciamo come c. ci pare” del “Casino delle libertà”, reso celebre dalla satira di Corrado Guzzanti.
Che è forse la principale caratteristica del partito e/o del gruppo, una totale libertà di prediligere turpitudini e sani principi, facendo convivere i dibattiti sull’Olocausto e sui pericoli dell’antisemitismo organizzati dall’europarlamentare polacca Anna Fotyga, recentemente rieletta segretaria generale del partito, con le posizioni della N-VA, che nonostante perfino l’UNESCO abbia tolto il patrocinio al Carnevale di Alost – in cui ogni anno appaiono caricature antisemite – sostiene che esse siano semplicemente di “cattivo gusto”.
E l’onorevole Meloni in tutto ciò?
La “Marine Le Pen italiana”, come l’ha definita il giornale israeliano Haaretz, guida il partito da Roma, avendo scelto di non andare a Strasburgo e di rinunciare al seggio europeo per mantenere quelli italiani della Camera e del Consiglio comunale della capitale.
Se la Johns Hopkins University la identificava nel 2018 come la “Femme Fascista”, la “star dell’estrema destra italiana”, Giorgia Meloni appare in Europa come una federatrice, portando sul palco di Atreju, la festa dei giovani di Fratelli d’Italia, Orban e Conte, Tajani, Salvini e Steve Bannon, Berlusconi e Magalli. Capace di rimettere al suo posto il leader della Lega, ricordandogli che “se in Siria si fa ancora il presepe è anche grazie alle milizie libanesi di Hezbollah” – dopo che Salvini li aveva definiti terroristi – riesce a farsi inserire dal Times tra le “venti persone che potrebbero cambiare il mondo nel 2020” e a parteggiare per Trump pur criticando il riconoscimento di Gerusalemme quale capitale d’Israele ed il suo sostegno al premier Conte.
Il commento a caldo – rilasciato al quotidiano La Stampa – mentre oltreatlantico i numeri sul risultato delle presidenziali Usa preannuciavano la vittoria di Joe Biden è stato: “dovrà ringraziare il Covid. Se si fosse votato a febbraio, Trump avrebbe vinto senza problemi”. Assicurando, inoltre, rivolgendosi chissà perché solo alla “sinistra” che il sovranismo è comunque “vivo e vegeto”.
Preparata in politica estera, con il vantaggio di una maturità linguistica che le permette d’esprimersi più che correttamente in inglese, francese e spagnolo, l’ex baby-sitter del figlio di Fiorello si fa apprezzare oltralpe anche per la scelta di non candidarsi alla successione di Virginia Raggi, facendo passare il messaggio che la guida del partito italiano ed europeo siano più importanti di un’ennesima poltrona romana.
La “borgatara della Garbatella” (anche se secondo Wikipedia sarebbe nata nella più signorile – ma meno sexy – Roma Nord) ha successo in Italia e – nonostante non brilli per la diplomazia – anche in Europa. Sia quella della destra, che apprezza il suo “rapporto sereno con il fascismo” – come dichiara al Corriere magazine in un’intervista del 2006 – e la necessità di storicizzare il “personaggio complesso” che fu Mussolini – testimonianza a Piero Chiambretti tre anni dopo – sia quella liberale, che sorride quando la sente asserire che le leggi ad personam fatte da un ex Presidente del Consiglio debbono essere “contestualizzate”, perché sono “leggi che Berlusconi ha fatto per se stesso. Ma sono leggi perfettamente giuste”.
La filosofia che ha portato Giorgia Meloni al vertice del partito europeo dei conservatori, pur non essendo nuova, fa breccia per la sua disarmante semplicità: “L’Europa deve fare meno cose e farle meglio”. Dichiarazione che segue la sua elezione al Parlamento europeo, seggio poi ceduto al produttore di munizioni Pietro Fiocchi, noto anche per aver risposto ai messaggi dei ragazzi dei “Fridays for future” con un roboante “appena posso vado a sparare a un animale pensando a voi”.
Insomma, bisogna lasciare che Bruxelles si occupi di alcune grandi materie “come la politica estera e di difesa, la protezione dei confini esterni, il contrasto al terrorismo” e riportare “agli Stati sovrani tutte le competenze più vicine ai cittadini”.
Equidistante dalle grandi potenze, la presidente del PECR ha sostenuto Putin in Siria ma si è schierata contro Maduro. Apprezza di Trump “la sua idea di patriottismo anche economico e la sua politica di shock fiscale”, ma resta dubbiosa sulle sanzioni all’Iran e alla Russia, “che danneggiano le nostre imprese”.
Un cerchiobottismo spacciato per fine analisi politica, sostenendo la senatrice Segre, ma astenendosi al voto sulla Commissione parlamentare straordinaria per il contrasto ai fenomeni dell’intolleranza, del razzismo, dell’antisemitismo e dell’istigazione all’odio e alla violenza, inviando messaggi di solidarietà all’on. Fiano per le minacce ricevute, ma ospitando in seno a FdI dirigenti che hanno il saluto romano facile.
Insomma, come in Europa così in Italia, novella Emily Dickinson, l’on. Meloni appare “tutto ed il contrario di tutto”.
Filippo Giuffrida Repaci, membro dell’Esecutivo della Federazione Internazionale Resistenti (FIR), corrispondente da Bruxelles
Pubblicato lunedì 9 Novembre 2020
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