Anno 1915, uno dei treni della deportazione turca degli armeni

In questa intervista, esploriamo le radici della negazione turca, la lotta per il riconoscimento e le conseguenze di un silenzio che dura da troppo tempo. La voce di Ani Balian, consigliera Unione degli Armeni d’Italia, ci guida in una realtà che non può essere dimenticata: lo sterminio genocidiario armeno non è solo una tragedia passata, perché è una ferita ancora aperta che continua a influenzare la geopolitica e i diritti umani nel mondo di oggi. La memoria del genocidio armeno è la memoria di una lotta per la verità, per la giustizia, e per il rispetto della dignità umana.

Civili armeni in marcia forzata verso il campo di prigionia di Mezireh, sorvegliati da soldati turchi armati

Perché la Turchia non riconosce il genocidio degli armeni?

La questione è complessa. Riconoscere il genocidio armeno significherebbe per la Turchia rimettere in discussione le fondamenta stesse della Repubblica, nata nel 1923 in continuità con la politica dei Giovani Turchi. Quando Mustafa Kemal fondò la Repubblica Turca, nel suo entourage erano presenti diversi esponenti di quel movimento. Nel 1919 alcuni di loro furono processati dalla Corte marziale ottomana e condannati a morte per il ruolo avuto nello sterminio degli armeni. Le condanne furono eseguite. Però nel frattempo i capi erano fuggiti e sono stati condannati a morte in contumacia. Altri, catturati dagli inglesi e deportati a Malta per essere processati, furono però scambiati con 22 prigionieri britannici detenuti da Mustafa Kemal, in assenza di una normativa internazionale che regolasse il crimine di genocidio. La Corte marziale è stata chiusa da Kemal e coloro che stavano scontando la pena vennero da lui graziati. A tal proposito, lo storico turco Taner Akçam, tra i pochi intellettuali del Paese a riconoscere il genocidio armeno, ha dichiarato senza mezzi termini: “La Turchia dovrebbe ammettere che i suoi padri fondatori sono degli assassini”. Poiché alcuni di loro furono autori o complici del genocidio.

Un militare statunitense nella base Nato di Incirlik, in Turchia

Ammetterlo cosa comporterebbe?

C’è una questione di natura economica e patrimoniale. Se la Turchia riconoscesse il genocidio, dovrebbe restituire i beni confiscati agli armeni deportati, uccisi e sterminati. Di questi beni si sono appropriati lo Stato e famiglie turche, e il loro valore è enorme. Un esempio concreto riguarda le basi militari. Il terreno su cui sorge la base Nato di İncirlik appartiene a un armeno. Lo stesso vale per l’aeroporto di Diyarbakır, che si trova su un terreno di proprietà di una famiglia armena. Ci sono ancora gli eredi di quest famiglie. Il Palazzo presidenziale di Çankaya ad Ankara, sede ufficiale dei presidenti turchi dal 1923 al 2014, originariamente apparteneva a Ohannes Kasparyan, un facoltoso armeno che lo aveva fatto costruire nell’Ottocento. Durante i massacri, Kasparyan fu costretto alla fuga e il palazzo venne espropriato. Successivamente una famiglia turca se ne impossessò, e in seguito l’edificio fu donato a Mustafa Kemal che fu il primo inquilino. Da allora e fino al 2014, Çankaya divenne la residenza ufficiale dei presidenti della Turchia. Molte delle ricchezze delle grandi famiglie turche, anche quelle imprenditoriali, sono basate su beni sottratti agli armeni. L’economia nazionale della Repubblica turca è fondata sui beni espropriati agli armeni. È chiaro che non può riconoscere pubblicamente questo aspetto. Inoltre, in Anatolia esistevano circa 2.500 chiese, oltre a monasteri, scuole e ospedali, tutti distrutti e depredati. Oggi di quelle chiese sono rimaste in piedi solo le mura di una decina di esse.

Donne armene deportate con i loro figli dopo essere scampati al genocidio del 1915. La foto che ha più di un secolo, è del 1923, riassume il dolore, la paura, la disperazione di un intero popolo

Come giustificano questo negazionismo?

Nel 1915 , quando i Giovani Turchi hanno dato inizio alle deportazioni, fu emanata una legge ad hoc che giustificava l’espropriazione dei beni armeni sostenendo che i proprietari li avessero “abbandonati” e che fossero morti durante la deportazione a causa di malattie, senza spiegare perché si trovassero a centinaia di chilometri da casa loro, nel deserto. Oltre alla questione patrimoniale, la Turchia ha cercato di negare il genocidio appellandosi allo stato di guerra. Nel tempo, i negazionisti turchi hanno adottato diverse versioni. Inizialmente, sostenevano che gli armeni fossero una “quinta colonna” al servizio dei russi. Tuttavia, questa teoria non regge: nel 1915 non esistevano aerei, e gli spostamenti avvenivano a cavallo su distanze enormi, basta guardare una mappa. Inoltre, l’intellighenzia armena inizialmente riponeva speranze nei Giovani Turchi, prima che questi rivelassero il loro volto di feroci ultranazionalisti. Non a caso, il 24 aprile 1915 furono proprio gli intellettuali armeni, che avevano creduto nel nuovo governo, i primi a essere arrestati, torturati e uccisi. La teoria della “quinta colonna”, dunque, si smentisce facilmente. Oggi, la narrazione negazionista più diffusa è che gli armeni siano semplicemente morti durante la guerra. La tesi di Erdoğan, secondo cui tutti sono morti durante la guerra, è falsa. Lui afferma che sia i turchi sia gli armeni hanno avuto delle perdite, ma senza specificare chi ha ucciso chi. È vero che c’era la guerra, e anche i turchi hanno avuto delle perdite, ma è indiscutibile che i turchi hanno massacrato gli armeni: hanno eliminato i propri cittadini. Era questa, secondo Behaeddin Sakir, capo dell’Organizzazione Speciale, la soluzione della questione armena. Alcuni arrivano persino a sostenere che i turchi non avrebbero avuto le capacità organizzative per compiere un genocidio, e in maniera ancora più assurda, attribuiscono la responsabilità dell’organizzazione ai tedeschi. Ma la realtà storica è chiara: furono i turchi, usando l’esercito e con la complicità della popolazione locale, a pianificare ed eseguire la deportazione e lo sterminio degli armeni. L’intento era chiaro: l’annientamento di un popolo. Esistono i documenti. Anche se i turchi hanno ripetutamente ripulito gli archivi.

Perché il genocidio armeno è meno noto rispetto all’Olocausto?

Non era affatto meno conosciuto. Negli Stati Uniti e in Europa, i giornali ne parlavano quasi ogni giorno. Inglesi, francesi, russi, americani, protestavano contro la Turchia nel tentativo di fermare i massacri. Fu proprio in riferimento al genocidio armeno che, nel 1915, un documento statunitense utilizzò per la prima volta l’espressione “crimini contro l’umanità”. Ci sono talmente  tanti documenti, che è assurdo negare. Nel settembre 1915 viene fondata l’organizzazione umanitaria: American Committee On Armenian Atrocities. Perciò l’Europa e l’America sapevano bene cosa stava accadendo: esistono innumerevoli articoli e documenti dell’epoca che lo dimostrano. Ma cosa è successo dopo? Nel 1923, con la nascita della Repubblica turca, la narrazione cambiò. La Turchia divenne improvvisamente “un baluardo contro il comunismo”, e sotto questa giustificazione l’Occidente scelse di chiudere gli occhi per convenienza. Non solo Ankara riuscì a passare indenne da quella tragedia, ma continuò a vessare gli armeni anche oltre gli anni 50, senza che nessuno chiedesse conto di nulla. Perché? Perché la Turchia era un grande mercato e conveniva così.

L’Affiche Rouge, il Manifesto Rosso, con cui gli occupanti nazifascisti nel 1944 tappezzarono i muri parigini per descrivere i partigiani del gruppo guidato dall’armeno Missak Manouchian come criminali

Il genocidio armeno del 1915 non fu solo il primo del XX secolo ma anche il precedente diretto che ispirò i meccanismi dell’Olocausto. 

Hitler era senz’altro a conoscenza dell’eliminazione degli armeni in Turchia. Nel 1920 in Germania aveva conosciuto l’ex console tedesco a Erzurum, che era stato testimone delle deportazioni e le aveva denunciate. Inoltre Hitler era senz’altro a conoscenza di un processo a Berlino nel 1921 che aveva fatto molto scalpore. Certamente l’assenza di una condanna alla Turchia era incoraggiante. L’impunità di cui godeva la Turchia non sfuggiva di certo a Hitler nel ’39.

Parigi, il Panthéon illuminato con le proiezioni dei volti dei partigiani di Manouchian

Molti armeni della diaspora, sopravvissuti allo sterminio, avevano combattuto nella Resistenza europea.

Durante la Seconda guerra mondiale molti armeni combatterono tra le file della Resistenza. Alcuni giunsero in Italia con l’Armata Rossa e oggi riposano nel cimitero di Torino. In Francia operava il celebre gruppo Manouchian, i partigiani comunisti dell’Affiche Rouge. Una formazione eroica, guidata da Missak Manouchian, un orfano sopravvissuto al genocidio, fuggito in Francia, apolide, senza neanche i documenti francesi. Divenuto combattente della Resistenza francese, fu catturato dai nazisti e fucilato il 21 febbraio 1944 insieme ai suoi 22 compagni, armeni e di altre nazionalità, c’era anche un italiano tra loro, il calciatore Rino Della Negra. Dal 21 febbraio 2024, le salme di Missak Manouchian e sua moglie Mélinée riposano nel Panthéon di Francia. Da sopravvissuto al genocidio al Panthéon: un simbolo di Resistenza e Memoria.

Raphael Lemkin, giurista ebreo polacco, elaborò il crimine di genocidio

La parola genocidio è stata coniata per lo sterminio degli armeni. 

Proprio così. Il termine “genocidio” è di Raphael Lemkin, un giurista ebreo polacco. C’è anche un video del 1949  in cui Lemkin stesso parla di come coniò questo termine proprio in riferimento al genocidio armeno.

Soghomon Tehlirian: “Io ho ucciso un uomo, ma non sono un assassino”

Lemkin come elaborò il crimine di genocidio? 

A Berlino, nel 1921, un giovane armeno di nome Soghomon Tehlirian, che era sopravvissuto al genocidio, e aveva visto la madre violentata, uccise in piena strada il responsabile di quella tragedia, Talat Pasha noto come capo dei perpetratori del genocidio armeno, insieme a Enver e Cemal (tutti e tre condannati a morte in contumacia nei processi del 1919). Inizia così un processo che suscita una grande eco in tutta Europa. Durante il processo emergono testimonianze, tra cui quelle di soldati tedeschi, generali, pastori protestanti e missionari che si trovavano sul posto. Da queste testimonianze viene rivelato tutto l’orrore di quella tragedia. Tant’è che il giovane Tehlirian viene giudicato non colpevole. Questa vicenda ha provocato una grande risonanza e attirato l’attenzione di Raffael Lemkin, che segue con interesse il caso. Lemkin si rende conto che è accaduto qualcosa che non aveva un nome. Si chiede perché un giovane debba farsi giustizia da sé: perché non esiste una legge che punisca un crimine di tale portata. Ciò ossessiona ulteriormente Lemkin e lo spinge a lavorare per anni affinché venga riconosciuta una definizione precisa per questo crimine.

Orfani Armeni

Ci riuscì Lemkin?

Oggi la parola “genocidio” viene usata in maniera indiscriminata per descrivere qualsiasi massacro, ma in realtà “genocidio” è un termine molto preciso. Prima di tutto, implica un intento: non è necessario che ci sia una guerra, anche se spesso viene sfruttata la guerra come pretesto, come circostanza favorevole. Ciò che conta è l’intento di eliminare un’intera etnia o popolazione in quanto tale. Basato su un odio etnico puro. Nel 1949, un anno dopo la ratifica della Convenzione sul genocidio, Quincy Howe, celebre intervistatore della CBS, chiede a Raphael Lemkin, allora professore di diritto all’Università di Yale, il motivo per cui abbia coniato il termine “genocidio”. Lemkin risponde: “Perché è successo agli armeni”. E lo ripete due volte: “Perché è successo agli armeni”. In questa intervista, Lemkin afferma chiaramente che il concetto e la parola “genocidio” sono nati dalle atrocità subite dagli armeni e dall’annientamento di un popolo. Se l’inventore stesso della parola lo dice, e lo dice nel ’49, è inutile cercare altre spiegazioni.
Benché Lemkin si sia speso per  quasi venti anni per far accettare il concetto e la parola genocidio, morì senza un soldo e solo.

Mappa delle deportazioni degli armeni, 1915-1923

Quindi gli elementi per definirlo giuridicamente genocidio ci sono da tempo. 

I negazionisti parlano di una cifra di 300.000 morti, ma questa è una stima casuale. La realtà è che la popolazione armena era di circa 2,8 milioni di persone, di cui due terzi furono sterminati. E poi ci furono quelli che sono sopravvissuti, gli “avanzi della spada”, come li chiamano ancora oggi i turchi: bambini orfani, persone mutilate, donne e bambine rapite, violentate, vendute, e costrette a conversioni forzate. Queste atrocità non sono qualcosa di nuovo. Oggi ci si scandalizza per le storie di schiavi venduti, ma tutto questo è già successo. I treni che trasportavano gli armeni verso la morte esistevano già. C’era infatti la ferrovia che collegava Costantinopoli a Baghdad, e ci sono foto con vagoni pieni di gente che documentano queste atrocità. Le camere a gas esistevano già: non erano quelle che conosciamo oggi, ma c’erano chiese dove venivano bruciati vivi gli armeni, o caverne dove venivano rinchiusi e bruciati con la sterpaglia. I concetti di sterminio sistematico erano già presenti, solo che le modalità erano diverse.

Campo profughi armeni. la foto è della missionaria norvegese Bodil Katharine Biørn. Testimone del genocidio, fu insieme ad altri missionari europei tra coloro che cercarono di aiutare le vedove e gli orfani

Il genocidio armeno è riconosciuto da numerosi Paesi, tra cui l’Italia e l’Unione Europea. Cosa può dirci?

L’Italia ha riconosciuto ufficialmente il genocidio armeno in due occasioni: la prima nel 2001 e la seconda nel 2019. Il 2 giugno 2016, anche il Parlamento tedesco ha riconosciuto i massacri del 1915 come genocidio, ammettendo al contempo una responsabilità storica della Germania poiché, pur essendo presenti sul territorio, i tedeschi non intervennero per fermare lo sterminio. Sono gli alleati stessi dei turchi, quindi, ad affermare che è stato un genocidio, pertanto è patetico che i turchi lo neghino ancora.

Papa Francesco, Karekin II Catholicos di tutti gli Armeni, e Aram I Catholicos di Cilicia della Chiesa Apostolica Armena (Imagoeconomica, Stefano Spaziani)

Come ha reagito Erdoğan al riconoscimento del genocidio armeno da parte della comunità internazionale?

Quando si parla di riconoscimento, la reazione di Erdoğan è sempre scomposta. Per esempio, era il 12 aprile 2015, il Papa fece una dichiarazione forte davanti al mondo in occasione del centenario del genocidio armeno, che fu un momento straordinario. Io ero a San Pietro. È stato un momento emozionante per tutti gli armeni. Come al solito Erdoğan richiamò il suo ambasciatore e i giornali riportarono che l’ambasciatore era stato richiamato, ma poi gli ambasciatori tornano, ma in silenzio. Questo è un dettaglio che viene sempre omesso. La Turchia sbraita, fa polemiche, ma poi tace, poiché la Turchia non è nella posizione di poter fare a meno dell’Occidente. Poi ci sono anche dei gruppi di turchi più estremisti, che negano il genocidio e compiono atti di vandalismo, come accade in Germania e in Francia, dove danneggiano monumenti e memoriali dedicati alla memoria del genocidio armeno.

Armenia, Memoriale del genocidio

Quindi è una pagina di storia rimossa dai libri scolastici in Turchia. 

Peggio. Nelle scuole turche insegnano che sono stati gli armeni a uccidere i turchi. Addirittura organizzano gare per vedere chi riesce a scrivere meglio questa versione dei fatti, e premiano gli studenti. Ci sono anche rappresentazioni teatrali nelle scuole turche, dove il “bravo e coraggioso turco” difende la patria uccidendo “il cattivo e traditore armeno”. Ecco, sono tutte queste narrazioni che vengono propagate. Così crescono i ragazzi turchi. D’altronde, ci sono scuole, vie con i nomi dei perpetratori, c’è il Mausoleo di Talaat…

La bandiera armena

E nelle scuole italiane ed europee?

Ultimamente si trova qualche riga nei libri di scuola italiani, qualche accenno anche in Germania, un po’ di più in Francia, visto che i francesi sono più avanti su questo fronte, infatti in Francia si commemora il 24 aprile, è la Giornata nazionale in ricordo del genocidio armeno, inoltre è reato negare il genocidio armeno. Mentre in Turchia è reato nominarlo (legge 301). Per il resto, non molto. Comunque, è importante sottolineare che il genocidio armeno è ormai riconosciuto da tutti gli studiosi e ricercatori. È riconosciuto come il primo genocidio del XX secolo, e questo è un aspetto fondamentale. La sua importanza non risiede solo nel fatto che sia stato un genocidio, ma anche nel fatto che sia il primo del secolo scorso, e questo lo rende un caso emblematico. Gli armeni oggi non sono solo vittime e martiri. Sono persone fiere, colte, energiche, creative, vitali. Protagonisti, partecipi della storia contemporanea danno un contributo enorme al mondo, nell’arte, nella scienza. Solo per fare qualche nome: l’economista Abel Aghambegyan, l’icona francese Charles Aznavour, lo scrittore William Saroyan, i registi Rouben Mamoulian e Henri Verneuil, il gruppo rock System of a Down, il calciatore dell’Inter Henrikh Mkhitaryan … Ci sono persino due premi Nobel, in medicina e in economia.

Bambini armeni deportati, forse nessuno di loro è sopravvissuto

Cosa fa la comunità internazionale?

La situazione è tristemente chiara: la comunità internazionale potrebbe fare molto, ma in realtà non fa nulla. Non solo tace, ma continua a fare affari con i discendenti di chi ha perpetrato il genocidio. Il trauma del genocidio armeno è ancora vivo, radicato nella memoria collettiva e trasmesso di generazione in generazione. La paura non è mai scomparsa. Quando nel 2020, in piena pandemia da Covid, l’Azerbaigian ha attaccato l’Artsakh, la Repubblica del NK, il mondo ha guardato altrove. Poi, per dieci mesi, ha imposto un blocco sul corridoio di Lachin, lasciando la popolazione senza cibo né medicinali, fino a ridurla allo stremo. Neonati morti, aborti per mancanza di farmaci e nutrimento, questo è stato. Infine, il 19 settembre 2023, ha lanciato un nuovo attacco. E i giornali di qui? Hanno celebrato la “vittoria azera in due giorni!”. Ma quale vittoria? Come avrebbe potuto resistere una popolazione già decimata dalla fame e dalle malattie, combattere e difendersi? Gli armeni sarebbero stati sterminati ancora una volta. Così è avvenuta una pulizia etnica: 140.000 armeni hanno dovuto abbandonare le loro terre ancestrali e fuggire in Armenia per evitare un nuovo genocidio. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si è “riunito d’urgenza” solo due giorni dopo, eppure aveva avuto due anni per prendere atto dello stato delle cose e oltre dieci mesi di blocco per intervenire. Intanto, Ursula von der Leyen firmava accordi sul gas con il presidente azero Aliyev, come se nulla fosse. E nel silenzio generale, il genocidio bianco continua: demolizione di chiese, distruzione di croci medievali, cimiteri rasi al suolo… È in atto la cancellazione di un popolo e della sua cultura. Come allora in Turchia adesso in Azerbaigian, nell’indifferenza della comunità internazionale. Ilham Aliyev l’anno scorso è stato rieletto per il quinto mandato col 92% dei voti e nessuno ha aperto bocca: tutto normale… prima il padre e dopo lui, è dal 1993 che sono al potere, altro che regime!

Un bimbo armeno durante la pulizia etnica del 2023. Quale futuro?

Quindi la persecuzione degli Armeni continua. Anche in Azerbaigian si nega il genocidio? 

Aliyev falsifica la storia, chiama l’Armenia: “Azerbaigian occidentale”, nell’attesa del momento propizio per il prossimo attacco per annientare l’Armenia stessa. Nel silenzio complice dell’Occidente. Altro che i “valori europei”! E si riscrive la storia: nella mostra a Roma al Colosseo riguardante un sito archeologico in Turchia non c’era l’Armenia. Abbiamo dovuto protestare col ministero della Cultura. Sui depliant turistici dell’Anatolia non si nominano gli armeni. In Azerbaigian si dice “gli armeni sono stati portati lì nell’800”, e altre menzogne del genere. Ma se loro ci cancellano, non significa che noi siamo cancellati! Ci hanno provato. E non ci sono riusciti. Ci riproveranno. Ma noi siamo resistenti, siamo lì da oltre 3.000 anni, quando non c’era l’ombra né di azeri né di turchi! Loro erano in Asia centrale. Dicono: “i Romani erano in Azerbaigian”, sì, ma allora non c’era né l’Azerbaigian, né gli azeri! C’era il Regno di Tigrane il Grande, re d’Armenia. Segnalo che la vendita di armi all’Azerbaigian, con in testa Israele col 61%, è senza sosta. Questa è l’ipocrisia dell’Occidente, col blabla dei suoi “valori” che fa affari sul sangue della gente! L’Occidente che cent’anni fa ha assolto la Turchia, adesso assolve l’Azerbaigian. In assenza di una condanna, i crimini contro l’umanità sono destinati a ripetersi. La non punizione del genocidio, porta ad altri genocidi.

Linda Di Benedetto