Non ce l’ha fatta a rimanere collegata online fino alla fine del convegno in cui, a Civitella in Val di Chiana (Arezzo), insieme allo storico Carlo Gentile e i giornalisti Udo Gümpel e Christiane Kohl, era intervenuta sul tema delle stragi nazifasciste dimenticate: Laura Ewert, giornalista della tv tedesca, era scoppiata in lacrime. “Verrò il 14 luglio alla cerimonia”, aveva detto.
Le lacrime sono state per “tristezza, dolore e vergogna” e la promessa per chiedere scusa e onorare il peso della memoria. Quella della strage di San Polo, avvenuta il 14 luglio del 1944 su ordine di suo nonno, il colonnello Wolf Ewert, comandante del 274° reggimento granatieri della 94esima Infanterie-Division e del sottotenente Klaus Konrad.
Ha scoperto tutto per caso su Wikipedia: il nome del padre di suo padre, figlio di un militare prussiano, amante dell’arte, operativo sulla Linea del Trasimeno, che mai aveva raccontato in famiglia di aver ordinato una delle stragi nazifasciste più efferate in Italia. La linea rossa degli eccidi in provincia di Arezzo prima della Liberazione parte e inizia dal Casentino: 36 episodi, il primo a Bibbiena ad aprile e l’ultimo a Poppi a settembre. Un tributo di sangue che in Toscana ha fatto oltre 4.400 vittime, sempre con le stesse modalità e gli stessi obiettivi: terrorizzare la popolazione civile, annientare la Resistenza, esercitare il proprio dominio su un Paese asservito e disprezzato, la vendetta per una ritirata ingloriosa. Lo documentano oggi lapidi, cippi, monumenti le cui foto da tutta Italia sta raccogliendo MEMO, https://memo.anpi.it/monumenti/, il portale dell’Anpi nazionale che offrirà una mappatura completa e in continuo aggiornamento.
Una violenza che segnò in particolare la primavera e l’estate del ’44 lungo tutta l’area della Linea Gotica. In provincia aretina, il 13 aprile era toccato a Vallucciole, 109 vittime. Il 29 giugno erano morti in 244 a Civitella e San Pancrazio, il 4 luglio 192 persone a Cavriglia. E a San Polo, sulle colline alle porte della città, morirono in 65 tra partigiani e civili, tra cui 8 donne, 8 anziani e un neonato. Sedici furono uccisi in località San Severo, gli altri 48 morirono nel giardino di Villa Gigliosi: interrogati, picchiati, fucilati e fatti salare in aria con la dinamite nelle fosse che avevano fatto loro scavare. Arezzo sarebbe stata liberata due giorni dopo. Al cippo dietro la villa, Laura si è inginocchiata e ha deposto un mazzetto di fiori bianchi insieme ad Alessia Donati, la nipote di una delle sopravvissute all’eccidio. Poi si sono abbracciate.
Subito dopo, durante la messa in ricordo delle vittime nella Pieve di San Polo, ha pronunciato un breve discorso di fronte ai familiari e alle autorità: “È difficile parlare con voi oggi sotto il peso del passato che ci lega. Sono nata 40 anni dopo quel 14 luglio 1944 e altri 40 anni dopo sono qui con voi per commemorare e mantenere viva la memoria di quei terribili crimini – ha detto – di questi, sono responsabili mio nonno e altri. La mia generazione è cresciuta in un Europa pacifica, in circostanze molto più fortunate. Attualmente ci stiamo accorgendo di quanto questa pace possa essere fragile. Questo sviluppo è preoccupante, voi e io siano testimoni di come le conseguenze della violenza e della guerra si tramandino per generazioni. Credo fermamente che l’incontro e il dialogo siano una cura. Mi sta molto a cuore la volontà di capire, riconoscere l’altro, la sua sofferenza. È una condizione necessaria per la comprensione e la comunicazione. Parliamo insieme del dolore: dovrà servire a ricordarci l’importanza di proteggere la coesistenza pacifica con tutte le nostre forze”.
È stato il giornalista tedesco e studioso Udo Gümpel ad accompagnare Laura Ewert nel suo viaggio in Italia ma soprattutto, a partire dal 1999, è stato tra i primi ad indagare sulle stragi nazifasciste con l’intento di dimostrare al suo Paese quanto fosse ancora lontano da una vera presa di coscienza sui fatti avvenuti durante l’occupazione in Italia e a chiederne conto ai diretti responsabili in Germania. Come il sottotenente Klaus Konrad, incontrato nel 2004. Ex parlamentare, esponete dell’Spd, aveva affiancato come consigliere il cancelliere socialdemocratico Willy Brandt, che nel 1970 fece scalpore perché si inginocchiò davanti al monumento in memoria della distruzione del Ghetto di Varsavia. Konrad ammise di aver assistito ai violenti interrogatori, che la dinamite servì a camuffare le tracce delle torture e le esecuzioni dei prigionieri e che non era pentito. Dopo l’intervista fu indagato dal Tribunale militare di La Spezia ma morì prima della sentenza. Si era dichiarato non colpevole.
Ewert invece era morto nel 1994, prima che partissero le indagini. Nel 1972 la Germania aveva chiuso il caso San Polo perché era impossibile attribuire le precise responsabilità esecutive tra Konrad, Ewert e un terzo ufficiale. Come ricostruisce Gümpel, il colonnello Ewert era stato raggiunto da alcuni colpi di fucile che gli presero il berretto mentre viaggiava a bordo di una decappottabile e decise di reagire. I militari tedeschi catturano un disertore per avere informazioni e in base alle sue confessioni, partì l’operazione. Furono incendiate fattorie e abitazioni e rastrellate le aree intorno al comando: Molin dei Falchi, Pietramala Vezzano, Castellaccio e Villa Mancini.
Durante la marcia dei prigionieri verso la villa dove si trovavano gli ufficiali, alcune donne, anziani e bambini vennero uccisi perché incapaci di tenere il passo. Venne uccisa anche una donna incinta e il garzone di bottega che la mattina stessa aveva portato pane e prosciutto ai soldati tedeschi. Gli altri vennero interrogati e torturati fino a che non si decise per l’uccisione di tutti perché tra loro si riteneva ci fossero alcuni partigiani. Allineati sulle fosse, chi le aveva scavate venne fucilato con un colpo alla nuca.
Poi le buche vennero fatte esplodere. Il giorno dopo le truppe tedesche lasciarono San Polo. Le testimonianze sono raccapriccianti: la popolazione si accorse dell’accaduto dopo due giorni. Alla villa c’erano sangue e parti umane sugli alberi. Molti erano morti per asfissia. Dissotterrati i resti dei cadaveri, li trasportarono sui carri fino al cimitero. Gli alleati girarono le immagini di quel drammatico ufficio.
“È una rarità che la discendente del responsabile di un eccidio, prendendo atto di quanto accaduto, si faccia avanti e chieda scusa come nel caso di Laura – ha commentato Gümpel coi giornalisti – Chi è tornato dall’Italia, partecipando a stragi ed episodi di violenza ha preferito tacere e nascondere anche ai propri cari cosa era accaduto”. Ma conta che succeda e sia già successo. Qualche anno fa uno dei nipoti del “boia di Falzano”, Josef Eduard Scheungraber, il primo a essere condannato sia dalla giustizia italiana sia da quella tedesca, arrivò in visita in Italia da Ottobrunn, in moto. Rinnegata la sua famiglia, sul luogo dell’eccidio, avvenuto il 26 giugno 1944 nel Comune di Cortona, volle incontrare l’unico superstite della strage, Gino Massetti, la cui testimonianza era stata decisiva per il processo.
Nel 2014, a Civitella, in occasione della visita del ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier nel giorno del 70° anniversario dell’eccidio, il comitato “Civitella ricorda”, organizzò un incontro tra i discendenti degli autori della strage e i familiari delle vittime. Anche Andreas Schendel, il cui zio Heinrich Schendel, uno degli assassini di Sant’Anna di Stazzema, scrisse una lettera al superstite Enrico Pieri, raccontando come la sua famiglia negasse ancora i fatti avvenuti. Anche lui volle visitare il luogo della strage e incontrare i familiari delle vittime. E piangere.
Sara Lucaroni, giornalista e autrice di libri tra cui, nel 2022 per le edizioni Librerie Pienogiorno del volume “Sempre lui. Perché Mussolini non muore mai”, e nel 2024 per People di “La luce di Singal. Viaggio nel genocidio degli Yazidi”, è anche vincitrice di premi, quali nel 2023 il premio giornalistico nazionale “La matita rossa e blu”
Pubblicato sabato 20 Luglio 2024
Stampato il 30/10/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/servizi/fu-mio-nonno-a-ordinare-la-strage-di-san-polo-lho-scoperto-per-caso-su-wikipedia/