Recovery Fund

Foto ImagoeconomicaIl vocabolario Treccani ricorda che l’aggettivo frugale proviene dal latino frugalis, che deriva da frugi – sobrio – e lo definisce utilizzando proprio i vocaboli ‘parco’ e ‘sobrio’, aggiungendo che è “detto di persona moderata e semplice nel mangiare e nel bere, e del vitto stesso”. Il Merriam Webster, che si autopromuove come “il dizionario online considerato il più affidabile d’America”, pone invece l’accento sull’aspetto economico, identificando l’aggettivo con “caratterizzato o che riflette economia nell’uso delle risorse”.

In fin dei conti, la differenza di visione del ruolo che l’Unione Europea potrà giocare nella ripresa del Vecchio continente dopo la crisi indotta dalla pandemia, sta tutta qui.

I “Frugal Four”, ovvero Austria, Paesi Bassi, Danimarca e Svezia, paiono spaventati dall’idea di uno strumento che porti alla mutualizzazione del debito e ad un aumento significativo del bilancio UE. Non rifiutano l’idea di finanziamenti, ma li vedono come prestiti temporanei a tassi favorevoli, nei confronti di chi è stato più gravemente colpito dalla crisi.

Frugalismi e sovranismi
Picasso, “Il pasto frugale”

Non sono né moderati né semplici quindi, ritengono genuinamente di poter continuare a rimpinzarsi di leccornie, invitando i Paesi feriti ad essere parchi “nel mangiare e nel bere”.

Ecco che la definizione coniata per l’occasione appare invertita: non sono ‘loro’ ad essere frugali – secondo l’interpretazione italiana del lemma – ma frugali dovrebbero essere i poveri.

“Siate parsimoniosi!” è l’invito della banda dei 4, “riflettete sull’uso delle risorse”, come l’enunciazione anglofona suggerisce.

I Frugali per procura, insomma, ritengono che gli aiuti a fondo perduto non siano nemmeno da prendere in considerazione e che la spesa legata alla guarigione dal Covid-19 possa invece essere realizzata attraverso un piano di risparmi nel bilancio UE, senza aumentare la percentuale che lo lega al Pil europeo ma cambiando le priorità, sforbiciando nelle spese legate ai settori che è meno probabile che contribuiscano alla ripresa. Quali non è dato sapere.

La cancellera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron, in uno scatto pre-pandemia (foto Imagoeconomica)

A turbare il paradiso degli economisti del nord è innanzitutto la decisione di Berlino di varare una nuova manovra finanziaria che farà salire il rapporto debito/Pil della Germania al 77% nel 2020 e soprattutto la proposta franco-tedesca, che suggerisce invece alla Commissione UE di emettere titoli di debito per 500 milioni di euro, non solo attribuendo l’intero ammontare ai Paesi più colpiti economicamente dalla crisi, ma classificando la spesa come voce del bilancio UE, con una preponderanza delle sovvenzioni rispetto ai prestiti. Frettolosamente arruolata d’ufficio da qualche commentatore tra gli FF (i finti frugali), Angela Merkel sceglie una strada ben diversa da quella dei 4 moschettieri, tanto che la firma sotto la letterina scritta al Financial Times per spiegare la posizione controversa, la mettono il primo ministro svedese, quello danese Mette Frederiksen, il già noto Mark Rutte da l’Aja e il cancelliere austriaco Sebastian Kurz.


I “quattro frugali”: Sebastian Kurz, cancelliere austriaco; Mette Frederiksen, primo ministro danese; Mark Rutte, primo ministro olandese e Stefan Lofven, primo ministro svedese

La missiva, pubblicata martedì 16 giugno sull’autorevole quotidiano economico britannico, si apre definendo la crisi dovuta al Covid-19 “un’emergenza umanitaria globale” e ricordando che l’Unione ha già preso misure “coraggiose”. “Noi, conosciuti come i Frugal 4, vogliamo fare di più”, continua il testo, indicando che il mercato unico deve ripartire a pieno ritmo, perché “i lavoratori svedesi della Volvo dipendono dallo sviluppo economico di Grecia e Slovacchia, così come quelli olandesi della Philips, e se si rafforzeranno le economie di Italia e Spagna, sarà meglio per Austria e Danimarca”.

Bontà loro, il quartetto dei premier ammette senza finti pudori che i loro Paesi hanno bisogno di quelli più colpiti dalla crisi, perché sennò non saprebbero a chi rifilare le loro auto e le lampadine. Il primo firmatario da Stoccolma aggiunge poi che siccome non esiste “denaro nuovo o fresco”, quello che si userebbe per aiutare chi è in difficoltà dovrà essere ripagato dal contribuente (sottintendendo “il nostro”) e sarebbe quindi irresponsabile “chiedere in prestito 500 milioni di euro oggi e spedire la fattura nel futuro”.

Il problema è quindi metodologico, l’idea di investire perché il mercato possa assorbire i loro manufatti non li sfiora nemmeno, il concetto che vogliono far passare è quello turbo-capitalista (e vagamente sovranista) che si riassume in “ti presto i soldi perché tu possa comprare i miei prodotti e pagarmi due volte, la prima con l’acquisto dei miei beni, la seconda con gli interessi sul prestito”.

Di fronte alla proposta della Commissione Europea battezzata ‘Next generation EU’, ovvero l’Unione Europea della prossima generazione – che suggerisce d’investire 750 miliardi di euro, di cui 500 a fondo perduto e 250 sotto forma di prestiti a condizioni favorevoli – i Frug-Four si fanno venire l’orticaria e controbattono con la riduzione dell’ammontare totale, soprattutto nella parte a fondo perduto. E sono ovviamente contro la scelta d’emettere titoli di debito europei da piazzare sul mercato ed all’introduzione di nuove risorse proprie dell’Unione, che sottrarrebbero introiti alla casse nazionali.

Per la prima volta dallo sciagurato referendum britannico, quasi non si rimpiange la dipartita dei sudditi di Elisabetta, il cui governo avrebbe quasi certamente trasformato l’opposizione nei 4+1.

Danimarca, Paesi Bassi e Svezia, memori di quanto riscosse il Regno Unito con Margaret Thatcher, hanno infatti già ottenuto una riduzione dei loro contributi al bilancio in scadenza, quello 2014-2020, di rispettivamente 130 milioni di euro, 695 milioni e 185 milioni di euro. Visto che proprio di bilancio europeo si discute in questi giorni, esiste il rischio che gli ‘sconti’ non vengano automaticamente rinnovati nella prossima finanziaria europea – come suggerito dalla Commissione – e la mossa dei “Cetra del Nord” potrebbe sembrare un avvertimento preventivo, un mettere le mani avanti su un bilancio che deve ancora essere finalizzato.

Nel 2018, dopo otto anni, la Grecia usciva dal commissariamento, ma le misure draconiane hanno solo implementato disoccupazione e debito pubblico, con un crollo del Pil

Uno sguardo alle realtà dei quattro Paesi – ed un’occhiata a quanto sta per succedere a Bruxelles – può forse aiutare a meglio comprendere le dinamiche che stanno dietro alla posizione dei falchi.

Mark Rutte, primo ministro olandese liberal-conservatore, che condivide la maggioranza con i cristiano-democratici, i liberali di sinistra ed una manciata di altri piccoli partiti, ha insistito più volte sull’idea di lavorare “solo con prestiti e non con sovvenzioni”. E ha suggerito con veemenza che l’uso delle risorse sia “condizionato all’effettiva attuazione delle riforme strutturali”. Un approccio molto simile a quello usato in passato con la crisi greca, che pare non aver insegnato nulla a quella latitudine.

La socialista danese Mette Frederiksen ha ricevuto un mandato negoziale dal suo gruppo e dal Blocco rosso, l’insieme dei partiti di sinistra che sostengono l’esecutivo, che individua la priorità assoluta proprio nel mantenere lo sconto sul bilancio, qualificando gli altri temi come “secondari”.

In Svezia il socialista Stefan Lofven guida un governo di minoranza, tenuto assieme dagli eterni alleati rossoverdi con l’appoggio esterno di liberali e centristi, eletti nel centrodestra ma passati al centrosinistra dopo 4 mesi di stallo pur d’evitare nuove elezioni e soprattutto una vittoria dell’ultradestra di Jimmie Akesson. La ministra degli Esteri, Anne Linde, ha cercato di rafforzare la vacillante posizione del premier sostenendo che “la posizione della Svezia è quella di Lofven”, che durante la riunione del Consiglio Europeo del 23 aprile scorso aveva dichiarato: “Non diciamo no, ma vogliamo garanzie sui prestiti, … con rigide modalità di rimborso”.

Venti di tempesta in Austria invece, dove benché il cristiano-democratico Sebastian Kurz – che convive a Vienna con i Verdi – sia stato tra i più vocali nell’esprimere contrarietà e scetticismo sulla proposta europea, ribadendo che la solidarietà agli Stati più colpiti dalla crisi debba esprimersi con prestiti e non a fondo perduto, l’aria nella maggioranza si è fatta difficile. Gli alleati di governo sono stati infatti tra i primi ad accogliere l’appello dei Verdi italiani ad assumere una posizione più costruttiva nei negoziati. Il paradosso è che la proposta che si contrappone al deciso “no ai finanziamenti” usa gli stessi argomenti del primo firmatario della lettera al FT, almeno nelle parole di Michel Reimon, portavoce europeo del Consiglio nazionale dei Verdi che ha definito la proposta della Commissione come “un buon punto di partenza”, anche perché “L’economia austriaca è strettamente intrecciata con i Paesi vicini del sud e dell’est. Chi aiuta l’Italia aiuta l’Austria. Se non ci sono investimenti nel nord Italia, avremo un aumento della disoccupazione anche in Carinzia e Tirolo”.

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Questi posizionamenti avvengono alla vigilia di un paio di eventi di peso. Il primo è la riunione di Consiglio che dovrebbe cominciare a dibattere della proposta della Presidente von der Leyen, il secondo è l’inizio del semestre di presidenza tedesca.

L’ambasciatore di Berlino presso l’Unione Europea ha già fatto sapere che la fine dei negoziati sulla Brexit ed un nuovo quadro finanziario per il bilancio a lungo termine dell’UE saranno i criteri principali per definire se la Presidenza avrà avuto successo. E se sul primo punto pochi sono i dubbi, vista l’intransigenza del negoziatore UE Barnier e la nota elasticità teutonica, l’impegno sul cosiddetto QFP, il Quadro finanziario pluriennale, non sarà da meno. Nei contatti informali che preparano il Semestre, la cancelliera tedesca Angela Merkel non ha perso occasione per sottolineare il ruolo che il Paese – ed il suo governo – intendono avere nel risorgimento europeo, riuscendo a convincere anche il presidente del Parlamento europeo,

presidente del parlamento europeo, David Sassoli
Il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli

David Sassoli, che dopo il recente incontro con la signora Merkel si è dichiarato convinto che “questo sia il momento giusto per rafforzare l’Unione, ed è quello che ci chiedono i cittadini: una Ue utile alle nostre società e alle persone. Abbiamo bisogno di affrontare la crisi con un’Europa più forte, capace di affrontare le sfide del mondo globale, di collaborare e di proteggere lo spazio europeo”. Un assist verso Berlino che si è concluso con un potente tiro destinato ad altri: “Per questo faccio appello a tutti, perché siano responsabili”.

Poco spazio per gli irresponsabili dunque, stretti in una manovra a tenaglia che vede la Presidenza del Consiglio – cioè il Paese che detta l’agenda – tra gli autori del piano che ha ispirato la proposta della Commissione, l’Eurocamera in favore di una vera e propria rinascita europea e la Commissione disposta per la prima volta a rivedere i parametri del bilancio europeo, tentata dalla proposta di aumentare le risorse proprie dell’Unione, ovvero quei cespiti che vengono incamerati direttamente nelle casse di Bruxelles senza transitare per i ministeri del tesoro degli Stati membri, e portatrice di una visione moderna e rinnovata dell’Europa, che non ritrovavamo più dai tempi del visionario “Libro Bianco su competitività crescita ed occupazione” di Jacques Delors. Ed era il 1993…

Il Parlamento europeo ai tempi della pandemia

In una risoluzione adottata il 18 giugno, alla vigilia della prima riunione del Consiglio convocato per discutere di come rispondere ai postumi dell’emergenza Covid-19, con 528 voti favorevoli, 124 contrari e 45 astensioni, il Parlamento ha approvato la proposta di una Conferenza sul futuro dell’Europa, che dovrebbe aprirsi in autunno. Nella dichiarazione dopo il voto, i deputati hanno voluto ricordare che “10 anni dopo l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, 70 anni dopo la dichiarazione Schuman e nel contesto della pandemia di Covid-19, i tempi siano maturi per ripensare l’Unione europea”. Gli eurodeputati aggiungono che “il numero di crisi rilevanti che l’Unione ha attraversato dimostra la necessità di riforme istituzionali e politiche in molteplici settori della governance”. La Conferenza sul futuro dell’Europa sarà organizzata dal Parlamento, dal Consiglio e dalla Commissione e durerà due anni, con la partecipazione dei cittadini di ogni estrazione, dei rappresentanti della società civile e delle parti interessate a livello europeo, nazionale, regionale e locale, per definire le priorità dell’UE, “in linea con le preoccupazioni dei cittadini in un approccio dal basso verso l’alto, trasparente, inclusivo, partecipativo ed equilibrato” scrive il PE.

Un quadro di riferimento che lascia spazio ad un certo ottimismo, sottofondo nemmeno troppo sfumato alle discussioni della videoconferenza tra i capi di Stato e di governo di venerdì 19 giugno. Alla vigilia della riunione, un alto funzionario del Consiglio segnalava due elementi da seguire con attenzione.

Il Gruppo di Visegrad:: Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia Ungheria

Il primo riguarda la posizione dei Paesi del Gruppo di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria). Praga e Budapest appaiono i più vicini alle posizioni dei Frugali, Varsavia e Bratislava si limitano – al momento –a far notare che i maggiori beneficiari saranno Italia e Spagna.

Ma come faceva appunto notare l’alto funzionario a Bruxelles, includendo nel ragionamento anche il quartetto dei Frugali, quando si caccia in muta si parte tutti assieme e ci si fa forza l’uno con l’altro. Ma arrivati davanti alla preda, ognuno pensa innanzitutto al suo stomaco, ai vantaggi ed agli svantaggi di determinate posizioni ed i compagni di caccia possono trasformarsi in avversari in un attimo. E la trasformazione può avvenire solo a battuta di caccia realmente cominciata…

L’emergenza Corononavirus ha influito in maniera sottile e quasi impercettibile – almeno per i non addetti ai lavori – su abitudini radicate.

Il Consiglio non si riunisce più fisicamente da mesi. Tutto avviene in videoconferenza, con una telecamera piazzata davanti al ministro di turno. Non ci sono collaboratori (i cosiddetti sherpa) che passeggiano nei corridoi fuori dalla sala di riunione e si scambiano pezzetti d’informazione cercando di carpire la vera posizione degli altri Paesi, scendono in sala stampa per fare quattro chiacchiere con i giornalisti, dare qualche notizia – vera o quasi vera – che influenzi il dibattito e rubacchiare sensazioni ed anteprime. Non ci sono le pause caffè in cui un primo ministro ed un presidente di una repubblica possano scambiare senza farlo in pubblico, non ci sono i pasti che interrompono i lavori, in cui protagonisti e comparse costruiscono strategie.

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In videoconferenza c’è solo l’immediato e magari qualche telefonata tra assistenti che però non si annusano, non si vedono e perdono la metà del lavoro della politica.

Quello a cui stiamo assistendo in questi giorni è dunque solo la preparazione della battuta. Le bande, le correnti, i gruppi, cercano di mostrarsi coesi, latrano ad una sola voce e gonfiano il pelo per apparir più grossi.

E di un sovranista alla manovra nessuno ovviamente si fida, perché se “vengono prima i miei dei tuoi”, possiamo anche proporre tutto ciò che vogliamo in tandem, ma sotto quale documento metto la firma… lo decido io, nell’interesse innanzitutto dei ‘miei’ prima che dei ‘nostri’.

Una riunione del Consiglio UE a palazzo Europa, Bruxelles, prima dell’emergenza coronavirus (foto Imagoeconomica)

Ma, come la nostra fonte al Consiglio ammette con un sorriso, la Presidenza tedesca riporterà le riunioni a Bruxelles, “nel pieno rispetto delle misure di sicurezza”. La decisione finale sul Recovery Fund e sul malfamato Fondo Salva Stati sarà presa con persone fisiche che siedono attorno allo stesso tavolo. Con collaboratori che passeggeranno nello stesso corridoio e che dietro mascherine variopinte ricominceranno a fare qual lavoro politico che porta alle decisioni finali. Soprattutto a quelle che devono essere prese all’unanimità.

Vedremo allora cosa sarà messo sul peso della bilancia per – chessò – compensare una procedura per violazione degli impegni europei che potrebbe portare alla sospensione del diritto di voto in Consiglio (giusto per pensare alla Polonia o all’Ungheria) o per confermare alcuni sconti ai contributi che ogni Stato membro deve versare al bilancio UE, i famosi “rebates” tanto cari alla Perfida Albione un tempo, e ad almeno 3 dei Frugali Quattro oggi.

Frugalismi, sovranismi e visione le parole chiave. In un’Europa che ha la possibilità di cambiare, di rimettersi in gioco, di riprendere quel necessario vigore.

Altiero Spinelli (da http://www.educational.rai.it/materiali/immagini_speciali/1656.jpg)

Scriveva Altiero Spinelli: “La sovranità assoluta degli Stati nazionali ha portato alla volontà di dominio di ciascuno di essi. (…) Questa volontà di dominio non potrebbe acquetarsi che nella egemonia dello stato più forte su tutti gli altri asserviti. (…) Se ci sarà nei principali Paesi europei un numero sufficiente di uomini che comprenderanno ciò, la vittoria sarà in breve nelle loro mani, poiché la situazione e gli animi saranno favorevoli alla loro opera. (…)

Poiché sarà l’ora di opere nuove, sarà anche l’ora di uomini nuovi: del movimento per l’Europa libera ed unita”.

Filippo Giuffrida Repaci, membro dell’Esecutivo della Federazione Internazionale Resistenti