«Mio nonno rimase traumatizzato quando fu chiamato, nell’estate del 1944, per il riconoscimento dei resti del figlio alle Fosse Ardeatine ed ebbe un primo attacco di cuore». Cosi Teresa Caracciolo in una intervista di alcuni anni fa descriveva tutto il dramma familiare per la morte del padre, Emanuele Caracciolo, sceneggiatore e regista, nato a Tripoli, ma la sua famiglia era originaria di Gallipoli. «Io sono cresciuta con mia nonna a Gallipoli. Ritornammo subito dopo la strage. Si parlava poco di quella tragedia che aveva segnato tutta la mia famiglia. Una sorella di mia nonna una volta ci raccontò di aver visto in faccia colui che per alcune migliaia di lire aveva compiuto la delazione».
Caracciolo collaborò con Roberto Rossellini nel film “La nave bianca” e iniziò le riprese di “Troppo tardi t’ho conosciuta”, unico suo lavoro. Il regista e sceneggiatore Luigi Zampa affermò lapidariamente: «Era il più bravo di tutti noi, verso il ’42-’43 entrò nella Resistenza e ci rimise la pelle».
Il 24 marzo 1944 furono eliminati, con un colpo alla nuca nelle cave di Pozzolana lungo la via Ardeatina a Roma, 335 italiani, come rappresaglia all’azione partigiana di via Rasella in cui il giorno prima erano morti 33 tedeschi. Le vittime delle Ardeatine rappresentavano l’insieme della società nazionale per credo religioso (75 erano ebrei), per condizione sociale e professionale (militari, insegnanti, operai, artisti, commercianti, artigiani, studenti e due sacerdoti un cattolico e un pentacostale) e per scelte politiche (socialisti, azionisti, cattolici, liberali, comunisti, monarchici).
Gran parte delle vittime era emigrata da diverse regioni italiane, molti i meridionali provenienti dall’Abruzzo, dalla Campania, dal Molise o dall’entroterra del Lazio. Tra questi 19 erano pugliesi, emigrati a Roma tra le due guerre con una esplica caratterizzazione per aver manifestato un esplicito dissenso nei confronti delle politiche guerrafondaie e discriminatorie del fascismo. Cresciuti nel mondo dell’emigrazione con tutte le incertezze legate allo sradicamento dai paesi d’origine e alle difficoltà per la crisi economico sociale degli anni Trenta e in seguito per le devastazioni dei bombardamenti e per la violenta occupazione nazista, la vita di ognuno di loro si caratterizzava per i sacrifici estremi, provenienti da famiglie numerose e in difficoltà.
Gioacchino Gesmundo, rimasto orfano assieme a cinque fratelli, dopo il diploma di maestro all’istituto magistrale Bianchi Dottoli a Bari si trasferì a Roma, e ottenne l’incarico di maestro; continuando a studiare, si laureò in filosofia e passò a insegnare nei licei, “lui si ricordava come guardavano i gattini quando la zia scolava la pasta. Noi avevamo fame diceva lui”. Originario di Terlizzi, Gesmundo ebbe un ruolo attivo nella Resistenza, Medaglia d’Oro al Valore Militare e ancor prima nell’antifascismo (è stato assistente del filosofo Guido De Ruggero, esponente del movimento clandestino liberal socialismo, arrestato nella primavera del 1943 assieme a Guido Calogero e Tommaso Fiore); erano noti i legami con famiglie pugliesi di esuli, in particolare con Filippo D’Agostino e sua moglie Rita Maierotti, noti per le battaglie pacifiste del primo dopoguerra e protagonisti della difesa di Bari Vecchia e della Camera del Lavoro nell’agosto 1922 (D’Agostino arrestato nel gennaio del 1944 fu deportato e finì i suoi giorni a Mauthausen).
Gesmundo strinse un intimo sodalizio con un conterraneo, Don Pietro Pappagallo, “sette tra fratelli e sorelle e prete per vocazione”, entrambi non celarono, nella scuola e nella Chiesa, l’opposizione alle leggi razziali e alla guerra. Pappagallo, noto per la sua opera umanitaria nei quartieri più poveri di Roma, fu arrestato con l’accusa di aver nascosto ebrei e soldati sbandati (la sua vicenda venne contemplata nel notissimo film di Rossellini “Roma città aperta”). Medaglia d’Oro al Merito Civile ha ricevuto recentemente l’alto riconoscimento di “Giusto tra le nazioni”.
Al mondo dell’emigrazione erano legati quasi tutte le vittime pugliesi e delle altre realtà regioni italiane. “L’emigrazione è la strada di uscita dalla povertà dal Sud” scriveva il prof. Alessandro Portelli in una straordinaria ricostruzione di alcuni anni fa, “L’ordine e già stato eseguito”(1999) e ora è stato pubblicato un bellissimo e compiuto lavoro d’insieme di Mario Avagliano e Marco Palmieri, “Le vite spezzate delle Fosse Ardeatine”, presentato pochi giorni fa a Roma con il presidente nazionale Anpi, Gianfranco Pagliarulo, e di cui Patria so che proporrà una recensione.
Tra i pugliesi trucidati alle Ardeatine si trovarono alcuni intellettuali, artisti, e artigiani noti per le idealità di libertà e giustizia sociale: Gaetano Lavecchia di Barletta, Giuseppe Lotti e Vincenzo Saccottelli di Andria (la bottegha di Lavecchia nel cuore di Roma era punto di ritrovo per gli antifascisti), il tenore Ugo Stame di Foggia (subì atroci torture dopo l’arresto), due giuristi, Teodato Albanese di Cerignola e Ugo Baglivi di Alessano (noti per i loro scritti controcorrente), un venditore di giornali e suo figlio Umberto e Bruno Bucci originari di Lucera (arrestati per delazione, in casa furono rinvenuti giornali clandestini).
Tra le vittime ci furono diversi militari che parteciparono alla Battaglia per la difesa di Roma tra cui il maggiore dell’esercito Antonio Ayroldi di Ostuni (persi i genitori Ayroldi si era fatto militare a 19 anni per mantenere la famiglia (sei figli); il capitano di Cavalleria Manfredi Azzarita, nato a Venezia ma di famiglia molfettese (il padre era uno dei più noti giornalisti pugliesi); il maggiore dei Carabinieri Ugo De Carolis (famiglia di Taranto); l’ufficiale di Marina Antonio Pisino di Maglie e due ufficiali dell’Esercito, i fratelli, Federigo e Mario Caroli, originari di Lecce, molto attivi nella Resistenza; Cosimo Di Micco, un sottoufficiale dell’esercito, nato a Porto Said da genitori originari di Trani, dopo il trasferimento in Italia per prestare il servizio militare sposò nel 1942 Serafina De Caro di Triggiano (la sua vicenda è una delle più drammatiche perché non fu possibile allora l’identificazione e la moglie e il figlio Matteo in seguito si trasferirono in Australia); anche uno studente Ferruccio Caputo di Melissano (arrestato con l’unica colpa di trovarsi per strada in via Rasella, luogo dell’attentato contro i militari tedeschi).
Per diversi giorni secondo le straordinarie testimonianze raccolte da Portelli, Roma fu percorsa da donne in cerca dei mariti, dei figli dei padri. “I tedeschi il 1° aprile fecero saltare le volte delle gallerie per impedire il pellegrinaggio”. Aldo Moro, venti anni dopo, nel 1964 da presidente del Consiglio dei ministri, affermò: “L’eccidio delle Fosse Ardeatine va collegato a quel vasto e decisivo movimento ideale che ha preso il nome di Resistenza”.
Ancora oggi quell’orrendo misfatto, compiuto, sotto gli occhi del Papa, non cessa di suscitare l’indignazione unanime della coscienza civile italiana.
Vito Antonio Leuzzi, presidente Istituto Pugliese per la Storia dell’Antifascismo e dell’Italia Contemporanea “Tommaso Fiore” di Bari
Pubblicato domenica 24 Marzo 2024
Stampato il 23/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/servizi/fosse-ardeatine-quei-martiri-di-puglia-vittime-del-fascismo-oltreche-del-nazismo/